von mas 05.06.2024 18:30 Uhr

Heimat, una storia 12° – Ore 22.00

„…Quella terra, ormai la sentivano come se scorresse nel loro sangue, tanto era forte il sentimento di appartenenza, di identificazione con essa – Fabrizio Rebolia racconta la Heimat attraverso la storia di suo nonno –  nato Joseph Hofer, morto Giuseppe Offer. 

Symbolbild Pixabay

Ormai eran quasi due ore che seguitava ad andare avanti e indietro come un forsennato, dapprima tra una vacca e l’altra a mungere, poi dalla stalla al cortile coperto coi bandoni del latte, poi col forcone a dare il fieno alle vacche, poi dalla stalla al mucchio del letame che stava laggiù nel campo tutt-ingiazzaà con la carriola della grassa, poi su e giù per la scala della teza con le reti del fieno, per lasciarlo lì, vicino alla mangiatoia, dove la Catina avrebbe potuto darlo agevolmente il mattino dopo, quando si sarebbe risvegliata sola, all’alba della seconda parte della sua vita, quella da vedova.

Lui s’era categoricamente rifiutato di rientrare nel letto ed alle prediche ed alle minacce di sua moglie aveva replicato con il suo tipico “òh” che voleva dire tutto ciò che non poteva essere esplicitamente detto perché troppo brusco o semplicemente inutile a dirsi perché sarebbe stato “come parlare agli asini”.

Lei quindi, con un altro “òh” ancora più sdegnato e gutturale di quello del Bepi rientrò nella cucina “a fare i suoi mestieri” e lo lasciò a sbattersi come un indemoniato nei suoi lavori prettamente diurni, nonostante fosse ormai da un pezzo notte fonda e ci si dovesse muovere intorno alla casa alla luce della torcia elettrica.

Infine, alle dieci di sera, stremato e finalmente tranquillo, si diresse verso la scala che portava alle camere, richiuse dietro di sé la rebalza e ne serrò il lucchetto e infine entrò nella camera da letto dove la Catina lo attendeva. Si spogliò, depose ordinatamente sulla sedia, per l’ultima volta i poveri pantaloni da lavoro tenuti da una cinta ove i buchi aumentavano con l’incedere degli anni e della magrezza, la camicia da contadino, poco più di una maglia a cui era sostituito periodicamente il solo sparato ed i soli polsini per darvi una parvenza di dignità, e infine si infilò sotto il piumino, senza alcuna intenzione di dormire.

 

Erano arrivati in valle da Oltrebrennero, quando esattamente non si sa, si sa solo che gli Hofer erano originari del Tirolo austriaco ed erano lì da più di duecento anni, c’è chi dice che il patriarca fosse un gendarme che poi si convertì a fare il contadino, chi lo dipinge semplicemente come un contadino e basta, in ogni caso un suo discendente, il nonno del Bepi, alternando come tutti in valle il lavoro di contadino a quello di operaio o pastore o kromero nella stagione morta, si ritrovò come operaio nella costruzione della ferrovia del Brennero dove assunse in più di uno scontro per un salario meno da fame la posizione di capopolo e addirittura di cacciatore di crumiri, visto che gli operai italiani presenti in cantiere, per quella paga da fame erano disposti a lavorare eccome, spaccando così l’unità del sindacato ed il senso della protesta.

Comunque fosse andata, loro era da più di duecento anni che si spaccavano la schiena, generazione dopo generazione, uomini donne e bambini indifferentemente, su quella terra, ormai la sentivano come se scorresse nel loro sangue, tanto era forte il sentimento di appartenenza, di identificazione con essa, l’avevano santificata col loro sudore, con le immense fatiche per dissodarla e renderla produttiva e mai e poi mai doveva essere ceduta: purtroppo nonostante fosse una valle di lingua e tradizioni tedesche, nella Val dei Mòcheni non era presente l’istituto del maso chiuso, pertanto ogni proprietà agricola era a rischio frazionamento, alienazione e disgregazione, in poche parole la fine del legame vitale tra la terra e la famiglia.

Ecco!  Questo era l‚incubo ad occhi aperti del Bepi, quello che gli impediva in quel momento di prender sonno nonostante fosse esausto ed allo stremo delle forze: l’idea che ciò per cui era stato versato tutto quel sangue e quel sudore, generazione dopo generazione, non gli sarebbe sopravvissuto.

Nessuna delle sue figlie aveva sposato un contadino, l’unica era la Elsa che aveva sposato un pastore di Roncegno, ma oltre che badare alle bestie, lui non sapeva e soprattutto non voleva fare. Le altre, manco a parlarne, una poi viveva addirittura a Genova, sposata ad un professore universitario che disprezzava loro, la loro gente, il loro modo di vivere e, temeva il Bepi e non a torto, pure quel figlio adottivo che si ritrovò obtorto collo a dover sopportare per potersene sposare la madre diciottenne.

 

La morte non lo spaventava, aveva imparato che faceva parte del ciclo naturale delle cose, come l’avvicendarsi delle stagioni, e la sua ultima stagione ormai era giunta al termine; ciò che invece lo angustiava era la parola “fine” che ormai sentiva avvicinarsi al suo maso: tutto sarebbe stato smembrato alla sua morte, la baita alla Bolpis anzitutto, chi avrebbe più portato le vacche all’alpeggio ogni estate? Chi avrebbe più tagliato il fieno su quei prati in pendenza, spazzati d’inverno dalle valanghe?

Il Pomini stesso, che senso avrebbe poi avuto senza il necessario complemento dell’alpeggio estivo? In Sudtirolo e nel Tirolo austriaco, no, le cose erano diverse, ogni maso chiuso era un’unità inscindibile, calibrata sulle esigenze di una famiglia contadina, per dare il sostentamento a tutti i componenti, senza frazionamenti, suddivisioni, ed altre disgrazie che si vedevano in giro per il Trentino e per la parte italiana e francese delle alpi: la perversione della prevalenza del diritto dell’individuo sulla continuità della famiglia, del focolare, della stirpe.

Così gli avevano detto i suoi parenti della Sarntal: anno dopo anno la proprietà si consolidava nella famiglia e la famiglia si consolidava nella proprietà, i contadini dei masi più alti, quelli a quote impossibili, isolati dalla neve per tutto l’inverno al disgelo raggiungevano la loro chiesa in fondovalle “con in braccio i neonati da battezzare e sulle spalle i morti da seppellire” così si narrava soprattutto nella zona di Texel, a cavallo tra la Passeiertal e la Schnalstal, dove le nevi eterne guardano l’avvicendarsi delle stagioni e delle generazioni.

Questo era il Tirolo!

 

 

Jetzt
,
oder
oder mit versenden.

Es gibt neue Nachrichten auf der Startseite