von mas 24.04.2024 18:00 Uhr

Heimat, una storia 6° – Ore 9.00

“… Che cosa c’entrassero loro, con l’Italia, lui non riuscì mai a capirlo: lui parlava in famiglia tedesco, la famiglia di sua moglie, i Laneri di Frassilongo, parlavano italiano, ma la Patria era sempre stata una sola, l’Austria…” – Fabrizio Rebolia racconta la Heimat attraverso la storia di suo nonno –  nato Joseph Hofer, morto Giuseppe Offer. Oggi la terza parte

Trento, il Monumnento a Dante (Cartolina del 1899 - Archivi Storici PAT)

Si avviò per il portico coperto, ad ogni passo i giazzini delle dalmedre facevano il loro rumore sordo e scomposto a contatto con il selciato, disincastrò il manarot dal zoc e cominciò a far legna, con colpi secchi e sapienti, ritmici, uno dopo l’altro, sino a formarne una piccola catasta di tronchetti perfettamente spezzati in mezzo, pronti per la fornasela.

Si ricordò poi che la caura per segare i tronchetti più lunghi era da riparare: ne distaccò il pezzo da sostituire e lo portò al piano di sopra, dal pontesel coperto, col suo immenso tavolo da lavoro.  Strinse il pezzo difettato con pochi giri di morsa e gli diede qualche deciso colpo di raspa: ora era perfettamente a posto.

Soddisfatto lo rimirò ed il suo sguardo cadde sull’incudine di ferro brunito: un bossolo di cannone (o forse di mortaio) che lui aveva recuperato da ragazzo negli anni immediatamente successivi alla grande guerra, quando i cannoni avevano finalmente taciuto e la valle s’era risvegliata italiana.

Aveva solo dodici anni quando scoppiò la guerra contro l’Italia, o meglio, quando l’Italia con un giro di valzer cambiò alleato e decise di proseguire nell’ultima guerra del risorgimento, quella per le città irredente di Trento e Trieste.

Che cosa c’entrassero loro, con l’Italia, lui non riuscì mai a capirlo, certo, una parte della popolazione della bassa valle, soprattutto verso Sant’Orsola e Frassilongo, parlava correntemente italiano, ma il bilinguismo c’era sempre stato: lui parlava in famiglia tedesco, la famiglia di sua moglie, i Laneri di Frassilongo, parlavano italiano, ma la Patria era sempre stata una sola, l’Austria.

Loro si sentivano tutti indifferentemente, anzitutto tirolesi e poi austriaci, a prescindere dalla lingua parlata, un po’ come gli svizzeri, che non sono ne’ tedeschi, ne’ francesi, ne’ italiani, ne’ romanzi, sono svizzeri e basta!

Forse così invece non la pensava qualcuno a Rovereto o a Trento dove addirittura si arrivò a far costruire il monumento a Dante come evidente richiamo all’Italia, ma qui l’Austria non vi vide null’altro che un legittimo e sacrosanto attaccamento linguistico, non certo un fuoco che covava sotto la cenere.

E invece il fuoco scoppiò eccome!

Dopo un anno di guerra in cui tutti gli uomini abili erano impegnati sul fronte galiziano contro la Russia, i tirolesi si risvegliarono col nemico alle porte, ed a difenderli inizialmente furono solo i vecchi ed i ragazzi, ossia gli unici che non erano già partiti nel 1914.

Il fronte italiano passava proprio lì, dai monti del Lagorai e della Valsugana, risalendo poi verso gli altipiani: la valle si trovò quindi nelle retrovie del fronte, se non, come nel caso della linea Sette Selle – Fravòrt – Panarotta, direttamente sul fronte.

Soldati andavano e venivano per le strade e le mulattiere della valle, chi aveva l’età per tenere un fucile, lo teneva, e chi non poteva, portava masserizie e vivande, come le donne mòchene che si ammazzarono di fatica per portar gerle di cibo ai soldati, oppure chi fungeva da staffetta portaordini, come i ragazzi e come il Bepi, che conosceva a menadito tutti i sentieri della valle, avendoli percorsi mille e mille volte.

Le strade e le mulattiere furono poi ricostruite ed allargate dai prigionieri di guerra russi, che spesso venivano assegnati alle fattorie per dare una mano nella coltivazione dei campi, visto che i maschi eran tutti al fronte.

Furono giorni tremendi per l’incessante rumore delle artiglierie e per le cose orrende che si raccontavano:

Dopo la battaglia di Sant’Osvaldo tutti parlarono con angoscia e terrore di come gli arditi della compagnia Baseggio passeggiarono sotto il fuoco nemico, incuranti della morte, per raccogliere i loro caduti e di come tra questi ci fossero anche molti trentini.

Ancor più scalpore fecero poi le notizie giunte dalla Vallarsa, quando non ci si riusciva a capacitare di come i soldati italiani conoscessero a menadito le disposizioni delle artiglierie austriache, sinchè si catturò colui che li guidava: un ex ufficiale austriaco che aveva disertato e che guidava gli alpini contro i suoi ex commilitoni, un trentino di nome Cesare Battisti.

Alla fine la guerra finì. Come non si sa, visto che gli italiani non erano entrati di un solo metro in Tirolo, ma comunque finì, e con essa finì la fame.

Il primo saluto degli italiani alla popolazione della valle fu la distribuzione di un cibo che il Bepi  ormai quindicenne non aveva mai assaggiato ne’ visto prima: la pasta al pomodoro!

 

 

 

Le “puntate” precedenti:

Per chi si fosse “perso” qualche pezzetto di questa storia, ecco i link alle “puntate” precedenti:

HEIMAT, una storia – Ore 6.00

HEIMAT, una storia – Ore 6.30

HEIMAT, una storia – Ore 7.30

HEIMAT, una storia – Ore 8.00

HEIMAT, una storia – Ore 08.30

 

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