von mas 15.05.2024 18:33 Uhr

Heimat, una storia 9° – Ore 12.00

“… Quel giorno il Bepi non si sentì di mangiare: il malessere che lo opprimeva al petto dal risveglio non lo lasciava, ed anzi la sensazione si stava via via mutando in dolore. Si sentiva debole e affranto, si sentiva vecchio, si sentiva alla fine… – Fabrizio Rebolia racconta la Heimat attraverso la storia di suo nonno –  nato Joseph Hofer, morto Giuseppe Offer. 

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Giusto a mezzogiorno la Catina lo chiamò a tavola, discese la scala esterna ed aprì lentamente la porta che dal portico coperto dava direttamente nella stube: lì lo accolse il tepore della california, la stufa che fungeva anche da cucina. La Catina diede un’ultima rimescolata col mestolo alla polenta ed estrasse il paiolo dal fondo annerito dal cerchio di ferro che lo serrava alla cucina ed alla fiamma.

Diede due colpi secchi al cerchio rovente e questo si discostò dal paiolo con un gran clangore di ferro.

Ribaltò la polenta fumante sul tabiel e lo dispose in centro alla tavola, vicino a questo un pezzo del formaggio del casel che spettava loro in quota, in quanto conferitari del latte utilizzato per la produzione: ecco il loro pranzo, immutabile negli anni, cadenzato solo dal mutare delle stagioni.

 

Quel giorno il Bepi non si sentì di mangiare: il malessere che lo opprimeva al petto dal risveglio non lo lasciava, ed anzi la sensazione si stava via via mutando in dolore. Si sentiva debole e affranto, si sentiva vecchio, si sentiva alla fine.

La Catina invece, a cui l’appetito non mancava, a fine pasto lavò i piatti di metallo bianco dal bordo blu e si avviò verso l’uscio: sarebbe andata a trovare i suoi parenti ai Laneri, cento metri più sotto, badando però a non passare dal sentiero tut-ingiazzà che univa direttamente i due masi, ma passando dallo stradone, libero dal ghiaccio e dalla neve.

Al Bepi non piacevano moltissimo i parenti di sua moglie: certo li rispettava e riconosceva nel Nanetto e soprattutto nel Lorènz gran voglia di lavorare e fondamentale onestà, e poi il Lorènz era il barbiere del paese, visto che era l’unico a possedere la macchinetta per taiar i cavei e soprattutto a saperla usare (che poi i risultati fossero di alta scuola, questo è un altro paio di maniche, ma ricordiamoci che a Frassilongo l’unico taglio concesso era quello “alla todesca), infine col Lorènz c’era un patto di mutua assistenza per far-zo certi mestieri come dare una mano nello sfalcio dei prati o nell’andare a portar giù con lo slitton il fieno della Bolpis.

Questa era un’impresa pericolosissima, che veniva compiuta facendo scivolare sulla neve gli slittoni carichi di fieno, ed a volte di legna, dai 1500 mt della Bolpis agli 800 mt di Frassilongo, guidando la slitta col peso e coi movimenti del corpo e soprattutto frenandosi puntando gli scarponi nella neve e nel ghiaccio. Roba da paura, soprattutto per il rischio costante di farsi sfuggire lo slittone e finire schiantati contro un albero o peggio giù in qualche forra.

Altro lavoro da fare in comune, decisamente più tranquillo, era l’uccisione annuale del maiale e la preparazione delle luganeghe, operazione quest’ultima a cui era delegata tutta la famiglia ed a cui assistevano spesso estasiati i nipoti.

Eppure, nonostante tutto questo comune vivere e lavorare, il Bepi non era completamente a proprio agio coi Laneri, forse perchè lui era taciturno quanto loro ciarlieri (andare con lui in due alla Bolpis spesso significava per una settimana rivolgersi solo il buongiorno e la buonanotte, tutto il resto del tempo invece era lavorar e tasèr), o forse era la loro eccessiva religiosità a disturbarlo:  il Bepi di sicuro non era un empio, ma nemmeno un baciapile, lui era per una religiosità più nelle opere che dell’apparenza, e poi proprio non gli andarono mai più giù le divisioni ereditarie che fecero con la Catina, quando i vecchi Laner se ne andarono … insomma tutte queste cose insieme valsero loro l’appellativo di “frati falsi del Vaticano” con cui lui li aveva soprannominati.

Dunque la Catina se ne andò da sola dal Lorenzo e dalla Minica, dalla Rosina e dalla Teresina giù ai Laneri, a chiacchierare un po’, per poi tornar solo a pomeriggio inoltrato.

 

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