von mas 22.05.2024 18:30 Uhr

Heimat, una storia 10° – Ore 15.00

„…Quando il medico si congedò dalla Catina, non appena si allontanarono dal Bepi, le suggerì comunque di andare a chiamare il prete – Fabrizio Rebolia racconta la Heimat attraverso la storia di suo nonno –  nato Joseph Hofer, morto Giuseppe Offer. 

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Lo ritrovò riverso e incosciente sul pavimento della cucina.

Non appena si rese conto della situazione gli si avvicinò per vedere se respirasse ancora, e per fortuna respirava, anche se a fatica, così la Catina provò a scuoterlo per svegliarlo sinchè il Bepi farfugliando qualche frase sconnessa riprese conoscenza.

Ritrovate poi le forze per appoggiare la schiena contro la parete, risalì gradualmente raccontando alla moglie di come si fosse adagiato spontaneamente per terra non appena sentì che cominciava a girargli la testa, quando questo fosse accaduto e per quanto tempo avesse perso conoscenza lui non ne aveva minimamente idea.

Nel maso non v’era un telefono e l’unica cosa che potè fare la Catina, una volta assicuratasi che il Bepi stava via via riprendendo le forze, fu quella di avviarsi di gran fretta alla casa dei Pruner  che stava ad un chilometro di distanza verso la chiesa ed il centro del paese, a cercare aiuto e soprattutto per telefonare a un medico.

Non appena raccontò tutta trafelata ciò che stava accadendo al Bepi, la Irma Pruner le indicò immediatamente il telefono a scatti e le compose il numero di telefono del medico condotto della valle, che stava a Sant’Orsola; pochi cenni a ciò che era successo ed il medico capì immediatamente la situazione: sarebbe arrivato prima possibile.

 

Dire “prima possibile” era però non più d’una semplice buona intenzione: Sant’Orsola stava esattamente dalla parte opposta della valle, e quindi per arrivare a Frassilongo occorreva scendere sino al fondovalle per una strada tortuosa, attraversare la Fersina al ponte di Canezza e poi risalire per una strada altrettanto tortuosa, oppure, arrivare fino alla testata della valle, a Palù, e poi riscendere dal lato di Fierozzo, per un tracciato ancor più tortuoso di quello della soluzione precedente. In ambo i casi una trentina di chilometri complessivi di tornanti su di una strada ghiacciata.

Il medico arrivò all’imbrunire, più di un’ora dopo, lasciò la macchina posteggiata di lato, sul ciglio della strada e fu immediatamente accolto dalla  Catina che lo condusse al primo piano, verso le camere da letto: trovò il Bepi vestito ed adagiato sul letto, dalle coperte spuntava solo il viso scarno e terreo, le mani scheletriche serrate sul petto come a trattenere a se‘ le coperte,  il dorso delle mani e le tempie ricoperte dalla rete bluastra delle vene completamente in vista, insomma la fame che quel povero corpo aveva patito in un’intera esistenza di stenti e sacrifici ora si vedeva tutta: la vita stava presentando il conto.

Il quadro generale era pessimo; ciò nondimeno il dottore procedette nella visita e formulò la sua diagnosi: il Bepi aveva avuto un infarto e l’unica cosa che in quel momento si poteva fare era giusto fargli prendere qualche medicina ed aspettare il mattino dopo per vedere come si sarebbe evoluta la situazione per un eventuale ricovero al Santa Chiara di Trento.

 

Quando il medico si congedò dalla Catina, non appena si allontanarono dal Bepi, le suggerì comunque di andare a chiamare il prete.

 

 

 

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