von fpm 24.04.2024 10:00 Uhr

La Blutsonntag – domenica di sangue di Bozen

Il 24 aprile 1921 uno squadrone di squallide camicie nere agli ordini di Achille Starace, assaltò con armi da fuoco e bombe a mano una sfilata in costumi tradizionali di cittadini südtirolesi.

Foto UT24, elaborazione grafica fpm

In quell’occasione – come ben descrive Historegio – i fascisti provocarono il ferimento di almeno una quarantina di südtirolesi e l’uccisione del maestro di Marling Franz Innerhofer. La vicenda, che ha segnato una profonda ferita, non ricevette sulla stampa italiana particolare risonanza. I fascisti proposero con un breve trafiletto sul “Popolo d’Italia” la loro interpretazione di ciò che era avvenuto. Sulla dinamica dei fatti il quotidiano fascista non dava alcuna informazione, parlando sbrigativamente di un “conflitto tra tedeschi e fascisti”. Il giornale si dilungava piuttosto nell’individuare le cause, con il solito linguaggio irriverente. Secondo l’analisi del “Popolo d’Italia” la politica dei due governi Nitti e Giolitti non poteva che sfociare in fatti di sangue. Sulla base di questa lettura la responsabilità per l’episodio di Bozen non era da attribuire ai fascisti, bensì alla “folle politica di viltà” praticata per due anni dal giorno dell’armistizio dalle autorità italiane, le quali avevano lasciato piena libertà ai “pangermanisti”. Senza spiegare come questa situazione avesse potuto concretamente portare alle violenze avvenute a Bozen, il giornale elencava le numerose iniziative imposte dai pangermanisti in Südtirol, ritenendosi evidentemente con ciò esonerato dal dover dare spiegazioni sul comportamento dei fascisti.

È interessante osservare che la versione del “Corriere della sera” non si distingueva in molto da quella del “Popolo d’Italia”. Il giornale liberale di Milano, pur non negando la presenza di gravi colpe dei singoli agitatori, sminuiva le responsabilità politiche dei vertici fascisti. Inoltre, il “Corriere” offriva un’attenuante ai fascisti, affermando che ci si poteva rendere conto “delle condizioni irritanti per il nostro amor proprio e la nostra dignità, che possono avere indotto i fascisti ad una affermazione, la quale però è andata al di là delle intenzioni degli organizzatori.”  Il quotidiano socialista l’“Avanti!” denunciò che nessun giornale aveva avuto il coraggio di definire assassini i responsabili delle violenze a Bozen.  Ma come si spiega l’assenza di una condanna delle violenze fasciste della “domenica di sangue” da parte della stampa italiana? Per trovare una risposta è opportuno riflettere sul contesto storico di quel periodo e tenere conto di due aspetti:

  1. Innanzitutto bisogna ricordare che l’Italia nei primi anni del dopoguerra fu teatro di continui episodi di violenza di diverso segno politico: gli scioperi del cosiddetto biennio rosso (1919-1920) e le scorribande fasciste causarono almeno 3000 uccisioni politiche nei quattro anni che precedettero l’ascesa fascista, tanto che il primo dopoguerra italiano è stato definito da alcuni storici “guerra civile”.
  2. In secondo luogo è importante considerare che all’epoca le iniziative fasciste venivano giudicate bonariamente non solo dal governo ma anche dall’opinione pubblica liberale. Disordini, azioni violente, irruzioni venivano lette come lo sfogo di ex combattenti, impazienti di fronte ai tempi lunghi e talvolta inconcludenti della politica. A differenza del temutissimo movimento socialista, la prepotenza del fascismo in questi anni veniva sottovalutata dalla stampa, così come dal parlamento.

Il contesto in cui l’articolo sulle violenze a Bozen viene inserito sul mussoliniano “Il Popolo d’Italia” può fornire un esempio significativo del clima di questi anni: il breve trafiletto che raccontava le violenze di Bozen era inserito all’interno di una serie di articoli che raccontavano di simili “incidenti” avvenuti in altre città italiane, sotto un eloquente titolo a tutta pagina: Il Fascismo passa trionfante per ogni contrada d’Italia! Un orrore sopra l’orrore. E oggi, purtroppo, ci sono ancora nostalgici ed eredi di quel periodo che con malcelata arroganza rivendicano l’occupazione italo-fascista del Südtirol.

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