Briciole di memoria 32: “Scendevamo a Carzano solo di notte…”
Questo è un altro dei molti fatti poco conosciuti ed accaduti nella nostra Terra nel 1915  quando arrivarono i “liberatori” italiani. Per forza di cose, avevamo dovuto abbandonare alcune zone di Tirolo meridionale, le nostre posizioni erano lungo le creste, a fondovalle la linea fortificata era quella che si poteva effettivamente tenere, e poi mancavano i soldati per difendere i nostri confini, visto che da quasi un’anno il nostro esercito combatteva sul fronte orientale, in Serbia ed in Galizia.
Come avvenne in tutti i paesi dove entrarono nei primi mesi di guerra, anche qui da noi i militari italiani si aspettavano un’accoglienza entusiastica. Era stato loro insegnato che facevano la guerra per redimere i fratelli, schiavi del bieco Impero Asburgico, ed erano comandati da ufficiali imbottiti della ideologia risorgimentale (Mazzini, Garibaldi, Cavour ecc.) imparata a scuola. La delusione causata dalla diffidenza e dalla riservatezza della nostra gente, che era educata al rispetto dell’Imperatore e contenta della severa, ma giusta amministrazione austriaca, rese subito irritati e sospettosi i militari italiani che perciò assunsero atteggiamenti di prepotenza e di intimidazione. Bastava poco per essere svillaneggiati, fermati, minacciati, arrestati.
Giusto Capra sa di cinque uomini di Carzano, che vennero condotti dagli Italiani a Ospedaletto con l’accusa di spionaggio e subito messi al muro, bendati, col plotone pronto per la fucilazione. Fu solo una simulazione, ma per i cinque che piangendo si raccomandavano l’anima a Dio e cercavano di consolarsi a vicenda col dire che sarebbe stata una morte dolce, il supplizio fu atroce e indimenticabile.
Altri undici Carzaneri, racconta ancora Giusto, sempre con l’accusa di spionaggio e sabotaggio, vennero confinati all’Isola d’Elba e condannati al lavoro forzato nelle cave di pietra. Per tali e molte altre angherie, quali la pretesa che si salutasse gridando “Viva il Re, Viva la Regina”, farsi sorprendere a Carzano era diventato per tutti pericoloso; perciò chi poteva si rifugiava in quel di Torcegno, scendendo poi in paese di notte per rifornirsi di qualche cosa.
(estratto da “Briciole di memoria a ottant’anni dalla guerra 1914-1918” di Giuseppe Smaniotto – pag.105 / 106)