Giornata del Ricordo… quasi dimenticata!

Si è svolta ieri mattina alle 10.00 presso il cimitero di Trento la commemorazione organizzata dalla Federazione Schützen del Welschtirol in occasione della“Giornata in ricordo delle vittime e dei caduti trentini della Grande Guerra„, istituita con la Legge provinciale 11/2017. Un momento a cui pare quasi che quest’anno sia stata messa la sordina: a ieri mattina alle 09.00, non era ancora stato emesso il minimo comunicato stampa da parte della Provincia di Trento o dell’Amministrazione Comunale del capoluogo; solo un post social dell’Assessore Marchiori, pubblicato attorno alle 08.30. Non ci risulta poi siano stati trasmessi particolari inviti, oltre a quelle alle autorità preposte agli interventi ufficiali (per esempio all’Österreichisches Schwarzes Kreuz? Al Museo Storico di Rovereto? Ai Sindaci del territorio?). Altrimenti, al di là dell’articolo di UT24 (qui il link: 14 OTTOBRE, RICORDANDO I NOSTRI CADUTI) e della locandina dell’evento fatta girare dal Welschtiroler Schützenbund, prima della cerimonia sulla commemorazione c’è stato il silenzio totale.
Poi, vista la presenza all’evento del Presidente del Consiglio Provinciale Soini, dell’Assessore alla promozione della conoscenza dell’Autonomia e dell’Euregio Marchiori, del Sindaco di Trento Ianeselli, del consigliere provinciale Kaswalder, di quello comuale Demarchi (e di una dozzina di altre persone giunte alla spicciolata), finalmente alle 14.50 l’ufficio stampa provinciale ha pubblicato una sintesi di parte dei discorsi istituzionali, ripreso poi da alcune testate locali. Davvero poco, secondo noi.
Gli interventi
La cerimonia è stata moderata dal dottor Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazione Museo Storico del Trentino. Il primo cittadino di Trento Ianeselli (che finalmente è riuscito a scovare, nascosto in qualche angolo del suo ufficio, il medaglione – ma su questo torneremo in un altro articolo), ha aperto la sequenza degli interventi ufficiali: oltre alla condanna di tutte le guerre, immani carneficine allora come oggi, Ianeselli ha sottolineato quella che a suo dire fu „l’ambivalenza e la duplicità della posizione trentina. Il Trentino allora ebbe un ruolo ibrido: festeggiò la vittoria in quanto regione annessa all’Italia, potenza vincitrice, ma partecipò anche alla confitta, perché molti suoi soldati combatterono nelle file dell’impero austroungarico. E, in quanto vinti, furono immediatamente dimenticati e rimossi.“ Il sindaco ha poi ricordato le migliaia di profughi sfollati all’interno dell’Impero, costretti a vivere in condizioni miserrime nelle terribili „Città di legno“.
Stessi toni anche per il presidente del Consiglio Provinciale Soini, che ha ribadito l’importanza del ricordo per le giovani generazioni e ha sottolineato il grande lavoro svolto con le scuole dalla Fondazione Museo Storico.
Più vicino alla realtà il discorso dell‚assessore Marchiori: „Ricordare significa anche riconoscere le nostre radici, la complessità e la forza di un territorio che ha saputo rinascere nella pace e nell’autonomia“. Marchiori ha poi dichiarato che „come Assessorato all’Autonomia siamo al lavoro, insieme al Museo della Guerra di Rovereto, alla Fondazione Museo storico del Trentino e ad altri soggetti del territorio, per promuovere altre iniziative legate al 14 ottobre“, annunciando a breve l’inagurazione di una mostra presso Le Gallerie di Piedicastello e una serie più ampia e articolata di eventi … ma per il prossimo anno.
Ci ha pensato il Landeskommandant del Welschtiroler Schützenbund Enzo Cestari a riportare gli avvenimenti di 110 anni fa sotto la giusta luce, focalizzandosi soprattutto sul destino degli oltre 110.000 profughi (un’enormità, considerando gli oltre 65.000 richiamati e i tantissimi volontari della difesa territoriale, su una popolazione di poco superiore ai 300.000 abitanti), di cui circa 75.000 sfollati in altre zone dell’Impero e circa 35.000 sparsi nel Regno d’Italia: ma nella tragicità dei loro destini, no si può generalizzare sulle condizioni di trattamento e di vita. Quello che è certo, è che anche il ritorno a fine guerra fu drammatico, ha poi continuato Cestari nel suo intervento, ricordando i paesi distrutti e le difficoltà della ricostruzione, l’imprigionamento „rieducativo“ di tanti reduci a guerra finita (vedasi quelli portati a Isernia), il crollo di un mondo di certezze e la nuova realtà politica e amministrativa piombata adosso ai supersititi.
Cestari ha riassunto tutto ciò, citando un brano dal libro „Montagne nere“ di Dario Colombo, che riportiamo integralmente:
„Quando, il 4 novembre 1918, viene messa la parola fine alla guerra durata tre anni e mezzo tra Italia e Austria «per liberare i fratelli di Trento e Trieste”, gli oltre 110 mila abitanti di lingua italiana che vivevano nelle zone di confine tra l’ex impero austro-ungarico ed italiano, possono finalmente coronare il sogno di tornare a casa. Nel maggio del 1915, alla vigilia della dichiarazione di guerra, erano stati costretti ad abbandonare nel breve volgere di poche ore le loro case e tutto ciò che possedevano, caricati su carri bestiame esiliati nelle regioni interne dell’impero, in particolare nella Boemia, ed in Italia. Nella stragrande maggioranza erano donne, anziani e bambini, dal momento che gli uomini già da un anno si trovavano a combattere nelle file dell’esercito austriaco sul fronte russo. Ma il sogno dura poco. Rientrati nelle loro valli, scoprirono che la maggior parte dei paesi è stata distrutta, le case spogliate di tutto. Campi, strade e boschi che erano stati teatri della guerra resi impraticabili dalle esplosioni, dai gas, dalle mine, da chilometri e chilometri di reticolati. Scoprono, soprattutto, che per il Regno d’Italia che li aveva voluti „liberare” dal giogo austriaco, loro sono rimasti „nemici”, i sudditi fedeli di Francesco Giuseppe di cui non c’è da fidarsi. E così, chiuso il drammatico capitolo dell’esodo in Boemia, per gli abitanti delle valli trentine ne inizia un altro, altrettanto drammatico, in cui fanno conoscenza con la lentezza e, a volte, le malversazioni della burocrazia italiana; con le difficoltà economiche di un Paese prostrato dalla guerra; con la dura repressione nei confronti dei reduci dal fronte, di lingua italiana, ma con la divisa austriaca, inviati in campi di prigionia dove in migliaia avrebbero trovato la morte a guerra finita; infine, con il diffuso sentimento di diffidenza nei loro confronti che raggiungerà il suo culmine con l’avvento del fascismo, di cui già si avertono le prime avvisaglie. In molti profughi, soprattutto tra quelli più giovani e tra le donne, cresce così il rimpianto per la Boemia e per quello che hanno abbandonato: le amicizie, le feste, ma anche le immense campagne piene di luce e di colori. Perché le montagne che ritrovano adesso non sono più quelle che ricordavano; la guerra le ha profanate, le ha rese irriconoscibili. Come dice una delle protagoniste del libro sono diventate «montagne nere». Uomini e donne si trovano a dover convivere con il dramma dei propri paesi distrutti, unito alla delusione del presente, di un’Italia in contradditorio divenire a cui faceva da contraltare il mito di un impero, quello asburgico, dove su tutto regnava ordine e dal quale in pochi sentivano il bisogno di essere “redenti”.
E‘ poi seguita la relazione del referente culturale del Bund, Ettore Facchinelli, che ha sottolineato in particolare i concetti di ricordo, di speranza e di motivazione:
„La memoria è quella dei nostri nonni, bisnonni e avi, che in quell’inizio secolo, hanno vissuto tutti i drammi connessi alla guerra e quasi ad ironico coronamento di queste vicende, si sono visti vietare il ricordo dei conterranei dal Regno d’Italia. Una vera e propria damnatio memoriae verso la maggioranza di un popolo che, secondo i nuovi sovrani, aveva avuto la grande colpa di aver indossato la ‚divisa sbagliata‘. Anzitutto viene naturale pensare ai soldati, attivi su tutti i teatri bellici, che non solo subirono sulla propria pelle le atroci conseguenze della guerra come la morte (sorte toccata a circa 13000 dei nostri conterranei) o le ferite, ma furono spesso costretti anche a lunghe odissee prima di poter tornare all’amata Heimat. Tra i militari ricordiamo anche gli 800 uomini, figli di questa terra, che scelsero di arruolarsi nel regio esercito. Nelle vittime civili trentine della prima guerra mondiale annoveriamo, come ha giustamente ricordato il Landeskommandant, gli oltre 100.000 profughi che furono costretti ad abbandonare le proprie case a causa dell’avanzare del fronte, ma anche coloro che restarono visto che subirono l’embargo totale, che acuì fame e malattie. Embargo totale che ricordiamo essere una tattica di guerra profondamente ingiusta e criminale, perché, come vediamo anche a Gaza, colpisce solo la popolazione civile. La speranza, invece, è che questa manifestazione possa diventare una commemorazione per tutti i nostri conterranei, non solo per noi Schützen. La motivazione, infine, è quella di far capire l’erroneità e le gravi conseguenze, che scaturiscono dalla scelta della guerra.“
Anche Don Franco Torresani, nel suo intervento prima di procedere alla benedizione delle corone e del sarcofago, ha voluto ricordare il dramma della guerra, dei caduti sia civili che militari e dell’importanza della memoria. Don Torresani ha messo in evidenza soprattutto la figura del Beato Carlo d’Asburgo, l’Imperatore che più che la vittoria cercò instancabilmente la fine dell’inutile strage e la pace europea, e che, come molti dei suoi sudditi, terminò la sua vita in esilio e in miseria, travolto dalle macerie dell’Impero.
Conclusioni
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona ai piedi del sarcofago (quel poco che resta del monumento ai soldati caduti eretto durante il conflitto) e di un’altra davanti ad alcune lapidi di militari appartenenti all’esercito imperiale, presi a simbolo di tutti quelli che morirono lontano dalla loro Heimat e che non ebbero nemmeno il conforto di una prece da parte di una persona cara sulla loro tomba; e con il suono di Ich hatte einen Kameraden e del Landeshymne.
Considerazioni: ce ne sarebbero davvero tante. Ma al di là di alcuni spunti di riflessione già esposti, siamo certi che i nostri lettori (ce n’erano alcuni anche fra i pochi presenti alla cerimonia) sapranno farle benissimo da soli…






