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Un libro al mese – Alba Trentina 1918 – 3°

„Alba Trentina“ è il titolo della rivista fondata nel 1917  a Rovigo da Don Antonio Rossaro, il sacerdote roveretano „ammiratore entusiastico dell’Italia risorgimentale, fervente interventista“.  La rivista, scritta quasi per intero da lui, esce fino al 1926. Per la serie „pubblicazioni interessanti„, questo mese presentiamo alcuni stralci tratti dal secondo anno della rivista, il 1918: oggi leggiamo della „naturale antipatia che separa trentini e tirolesi

 

 

Dettaglio dalla copertina della raccolta 1918

... l'antipatia fra trentini e tirolesi...

(…)

Come è naturale e  ereditaria l’antipatia tra gli italiani e i tedeschi – e ne fa fede tutta la storia delle due nazioni – così, e per identiche ragioni, è naturale ed ereditaria l’antipatia tra i trentini e i tirolesi. E ne fa fede del pari la storia del Principato vescovile di Trento,  la quale dal 1827 al 1863 si può dire che non è stata altro che una serie di contrasti tra le due stirpi,  rappresentate l’una dai Conti del Tirolo seguaci sempre della fazione imperiale o ghibellina che si voglia chiamare,  e i Principi Vescovi quasi sempre tedeschi ma non per tanto quasi sempre in lotta coi Conti del Tirolo;  i quali, come avvocati ereditari della Chiesa di Trento,  andavano via via spogliandola dei suoi beni e dei suoi diritti come usavano di fare parecchi avvocati anche nei tempi nostri

(…)

Quando Massimiliano d’Austria Conte del Tirolo diventò altresì Imperatore di Germania e nel 1509 con l’aiuto del re di Francia intimò guerra alla Repubblica di Venezia,  e la espulse da tutti i suoi domini di terraferma,  la città di Rovereto, rimasta per quasi cent’anni alla dipendenza di Venezia, si arrese senza resistenza a Massimiliano,  nella sua qualità di Imperatore ma non di Conte del Tirolo;  e Massimiliano l’accetto a questa condizione,  garantendole espressamente tutti i privilegi e le giurisdizioni che godeva sotto il governo veneziano. Né egli mancò alla sua promessa.

Ma morto lui, il suo successore Ferdinando si credette autorizzato ad annettere la città e il suo territorio al Tirolo. La città protesto altamente contro l’arbitraria annessione dichiarando per bocca del suo Podestà di essere una terra latina e non volere come tale dipendere da un paese tedesco quale era il Tirolo e da gente di cui ignorava anche il linguaggio. E non si contento di protestare a parole,  ma negò coi fatti obbedienza ai decreti del Conte del Tirolo,  appellandosi al tribunale imperiale e non piegò il capo se non quando il Conte,  diventato egli pure Imperatore,  fece occupare il castello di Rovereto da 300 soldati e ne addossò  il mantenimento all’erario cittadino.

Con questa coraggiosa protesta d’italianità della cittadinanza roveretana, e la tenace successiva sua resistenza alla prepotenza tirolese, cominciò la lotta nel paese nostro non più, come prima, in base ai principi del diritto feudale tra i Conti del Tirolo e i Vescovi di Trento,  ma tra le conservazioni della nazionalità italiana e della tedesca; lotta che dura ancora da cinque secoli, e che non tarderà, speriamo, a finire col trionfo della giustizia e della libertà.

.. essere redenti dalla tedesca rabbia ...

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Ma alla espressione di questo legittimo e naturale desiderio di una popolazione italiana di quattrocentomila italiani, i tirolesi hanno imposto il nome irredentismo: parola presa a prestito dalla nostra lingua e con la quale, senza accorgersene, confermano il bisogno nostro di essere redenti dalla tedesca rabbia, di cui sono i  rappresentanti naturali.

E dell’irredentisimo italiano s’intitola appunto un recente libro del Dottor Michele Mayr, direttore dell’Archivio di Stato e professore alla Università di Innsbruck. Che cosa insegni egli in quella Università non lo so; ma se mai vi insegna la storia, come potrebbe farlo credere la sua qualità di imp. Reg. archivista, me ne duole molto per lui e anche per i suoi scolari, perché fino dalle prime pagine del suo libro dimostra di ignorare interamente la materia che insegna.

Egli rimprovera all’Italia di aver tradito i suoi alleati per essere uscita dalla Triplice, e non sa che la Triplice era una alleanza difensiva, conclusa per la conservazione dela pace europea e che chi ha violato i patti della alleanza è stata l’Austria con suo ultimatum alla Serbia, dato senza preavviso, e la Germania con la violazione della neutralità  del Belgio.

Che cosa può insegnare ai suoi discepoli un professore che ignora queste elementari verità di storia contemporanea? Nulla più che fandonie, cieè alterazioni, esagerazioni, attestazioni della verità storica come contiene il libro di cui ragiono; il quale più che da un archivista, pare compilato da qualche commissario di polizia a cui preme di non perdere il pane quotidiano.

Comincia  per affermare una falsità storica, la dipendenza del piccolo principato di Trento dalla Contea del Tirolo. La verità è precisamente il contrario, i Conti del Tirolo furono originariamente vassalli dei principi-vescovi di Trento …  Ma il nostro autoe non tiene conto acuno della diversità di lingua, d’indole e di costumi fra i Trentini e i Tirolesi …

"... italian noi siam, non tirolesi..."

Quanto all’italianità del nostro paese, il Mayr non la nega, ma agli italiani che la popolavano nega il sentimento nazionale… e questo deve la vita proprio al governo tirolese, che ne provocò la nascita nel 1768 con l’introduzione di un dazio sui grassi e su altri generi alimentari, che ebbe immediatamente per effetto lo scoppio di una insurrezione in tutte le Giudicarie. Se è così, noi dovremmo ringraziare il governo austriaco di averci insegnato per primo a sentirci italiani 

(…)

Anche l‘Accademia degli Agiati, a detta del Sig. Mayr, non era che un covo di irredentisti capitanati da Clemenino Vannetti, che non cessava di ripetere in prosa e in versi, „italiani noi siam, non tirolesi“, e chiamava i tedeschi figli di somari.

Dall’Enciclopedia Treccani:

Don Antonio Rossaro nacque a Rovereto  nel 1883. Frequentate nella città natale le scuole elementari, nel 1897 decise di diventare sacerdote. Studiò in Italia,  in particolare teologia a Rovigo dove fu consacrato sacerdote il 1° aprile 1911. Fu ammiratore entusiastico dell’Italia risorgimentale; quando si scatenò il grande conflitto europeo, parteggiò per l’intervento  dell’Italia e dopo il maggio 1915 fu impegnato nella propaganda patriottica filoitaliana. Lo strumento principale di questa attività fu la rivista Alba trentina, da lui fondata e diretta; nelle sue pagine, ricche di testimonianze sulle esperienze degli ‘irredenti’ nella guerra in corso, Rossaro manifestò una spiccata vocazione all’ideazione di monumenti e ritualità civili.

La sua azione fu instancabile nella promozione dei segni memoriali che costellano Rovereto: una fitta mappa di monumenti, lapidi, opere d’arte, in massima parte ispirati alla volontà di ribadire il carattere nazionale italiano della città ‘redenta’. Ma la creatura prediletta, la «figlia del suo cuore», fu la Campana dei Caduti,  inaugurata il 4 ottobre 1925 alla presenza di Vittorio Emanuele III

Rossaro era nazionalista e fascista, nel senso di un’adesione piena e militante. A Mussolini fu fedele fino alla fine del regime,  pur se contrario all’alleanza con la Germania nazista.  La nuova, solenne inaugurazione della Campana dopo la rifusione (26 maggio 1940) fu contrassegnata fatalmente da discorsi ufficiali che inneggiavano all’imminente intervento italiano nel secondo conflitto mondiale. In quell’occasione Rossaro scelse di non leggere il messaggio inviato dalla segreteria di Stato a nome di Pio XII, che esortava a pregare «perché altre tombe non si schiudano ed altri ossari non si erigano»: un episodio che rappresenta in modo esemplare le contraddizioni presenti fin dall’origine nell’ispirazione del monumento, universale e pacifica ma solo nei limiti definiti dalla compatibilità con gli orizzonti della nuova Roma imperiale mussoliniana 

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