Un libro al mese – Alba Trentina 1918 – 1°

... non ritengono il ladino una lingua a sè ...
(…) In seguito a una polemica sorta nei principali giornali americani riguardo all‘italianità del Trentino, apprendiamo con vivo piacere che in America parlano e si interessano del nostro paese. Speriamo che la verità si faccia sempre più manifesta laggiù. Che ci sia pure fra gli americani chi ha dei dubbi in proposito non deve far maraviglia, dopo tutte le sfacciate imposture che sul conto dei trentini da anni e anni vanno propalando con ogni mezzo certi energumeni tedeschi.
Ma se non fa meraviglie chi in regioni straniere più o meno lontane ci sia ancora chi non conosce la vera nazione del Trentino, fa invece stupire che dopo tanto parlare e tanto scrivere, di tali ignoranti non sia già del tutto spento il seme nel Regno, dove ci son pur sempre di quelli che credono il popolo tridentino un ibrido miscuglio di tedeschi e di Italiani.
Recentemente il signor Iginio Raimonddi ha fatto la scoperta che a Trento si parla ladino. Qui giova osservare che ora i più degli studiosi non ritengono il ladino una lingua a sé, ma un grupppo di dialetti italiani con caratteristiche particolari.
... assolutamente necessario all'Italia ...
Eppure i trentini dovrebbero già essere conosciuti da tutti e segnatamente dal fratelli d’Italia, poiché non da ieri essi cominciarono a far sentire il loro grido di dolore, a dare cospicue prove del loro patriottismo, protestando senza posa in tutti i modi contro la forzata unione del loro paese al Tirolo e all’Austria, lottando con indomita fede in difesa della loro oppressi nazionalità , manifestando in ogni occasione il loro amore all’Italia.
Sui campi di battaglia d’ogni guerra dell’indipendenza italiana, sempre rifulse il valore dei volontari trentini, che non furon pochi, come non son pochi quelli che combattono tra le file italiane nella guerra odierna, e quelli caduti sul campo, o immolati sul patibolo dal feroce nemico, che opprime col carcere e colla relagazione tanti e tant’altri che non si son potuti mettere in salvo varcando a tempo il cofine.
Ma non basta. I trentini han dimostrato ampiamente con una gran quantità di studi seri e sereni la perenne latinità della terra loro. I lavori archeologici provano che fin dai tempi preistorici le valli tridentine erano abitate da genti affini a quelle delle circostanti regioni italiche; mentre altri lavori storici, linguistici, toponomastici ( … Nepomoceno Bolognini … Ettore Tolomei, Cesare Battisti, Antonio Rossaro) han mostrato a chiare note che il popolo trentino, romano un tempo, s’è conservato nel corso dei secoli sempre italiano.
Bisogna ben riconoscere che da parecchi anni la conoscenza del Trentino da parte degli Italiani e degli stranieri ha fatto notevoli progressi; ma tuttavia noi non dobbiamo smettere di fare una attiva propaganda per convincere chi ancora dubitasse che il Trentino, oltre all’essere assolutamente necessario all’Italia per la sua situazione, ha, perché italiano, il sacrosanto diritto d’essere una buona volta redento.
... cadenti ruderi teutonici ...
Secondo il censimento del 1910, il Trentino contava 386437 abitanti, dei quali 360938 italiani, 13477 tedeschi, 2624 d’altre nazionalità (quasi tutti soldati slavi) e 9398 cittadini d’altri stati, quasi tutti regnicoli. I Tedeschi (lasciando da parte circa 8500 impiegati e militari o gente venuta dietro a ques’ultimi) vivono nei comuni di Provès, Lauregno, S. Felice e Senale.. di Trodena e Anterivo, venuti per opera di antichi signori feudali; di Fierozzo, Frassilongo e Palù, i cosidetti Mocheni, discendenti da minatori e boscalioli chiamati nel medio evo dai castellani di Pergine; e in quello di Luserna, dove ancora sussistono tracce di genti germaniche.
Gli abitanti di questi paesi, specialmente degli ultimi 5, avrebbero perduto da un pezzo ogni impronta straniera per le loro continue relazioni con gli italiani, se fossero men segregati dal mondo e se il governo austriaco, coadiuvato dalle società pangermaniste, non si fosse sforzato a puntellare quei cadenti ruderi teutonici. Tutti insieme codesti dieci comunelli non contano che circa 5000 anime anche secondo il censimento ufficiale austriaco, che in siffatte cose non è amico molto tenero della verità .
Sarebbe utile assai trattenersi di più intorno a un cosi importante argomento, ma anche dal poco che ho detto risulta in modo chiaro e lampante che il Trentino è un paese prettamente italiano, degnissimo che la Gran Madre lo strappi allo straniero rivendicandolo a libertà .
Dall’Enciclopedia Treccani:
Don Antonio Rossaro nacque a Rovereto nel 1883. Frequentate nella città natale le scuole elementari, nel 1897 decise di diventare sacerdote. Studiò in Italia, in particolare teologia a Rovigo dove fu consacrato sacerdote il 1° aprile 1911. Fu ammiratore entusiastico dell’Italia risorgimentale; quando si scatenò il grande conflitto europeo, parteggiò per l’intervento dell’Italia e dopo il maggio 1915 fu impegnato nella propaganda patriottica filoitaliana. Lo strumento principale di questa attività fu la rivista Alba trentina, da lui fondata e diretta; nelle sue pagine, ricche di testimonianze sulle esperienze degli ‘irredenti’ nella guerra in corso, Rossaro manifestò una spiccata vocazione all’ideazione di monumenti e ritualità civili.
La sua azione fu instancabile nella promozione dei segni memoriali che costellano Rovereto: una fitta mappa di monumenti, lapidi, opere d’arte, in massima parte ispirati alla volontà di ribadire il carattere nazionale italiano della città ‘redenta’. Ma la creatura prediletta, la «figlia del suo cuore», fu la Campana dei Caduti,  inaugurata il 4 ottobre 1925 alla presenza di Vittorio Emanuele III
Rossaro era nazionalista e fascista, nel senso di un’adesione piena e militante. A Mussolini fu fedele fino alla fine del regime, pur se contrario all’alleanza con la Germania nazista. La nuova, solenne inaugurazione della Campana dopo la rifusione (26 maggio 1940) fu contrassegnata fatalmente da discorsi ufficiali che inneggiavano all’imminente intervento italiano nel secondo conflitto mondiale. In quell’occasione Rossaro scelse di non leggere il messaggio inviato dalla segreteria di Stato a nome di Pio XII, che esortava a pregare «perché altre tombe non si schiudano ed altri ossari non si erigano»: un episodio che rappresenta in modo esemplare le contraddizioni presenti fin dall’origine nell’ispirazione del monumento, universale e pacifica ma solo nei limiti definiti dalla compatibilità con gli orizzonti della nuova Roma imperiale mussolinianaÂ






