von fpm 26.07.2025 10:00 Uhr

“Amore mio, uccidi subito questo Garibaldi!”

“Lo trovi, gli spari e torni da me…”: così scriveva Leopoldina Lobkowitz, principessa austriaca, al marito Fedrigo Bossi Fedrigotti, nobile “povero” di Rovereto che combatteva a fianco dell’Imperatore a difesa del Tirolo…

Elaborazione grafica Flavio Pedrotti Moser

In alcuni giorni di luglio e agosto del 1866 Fedrigo e Leopoldina si scambiarono lettere vivaci, passionali, talvolta melanconiche e battagliere. Fedrigo combatteva a fianco dell’Imperatore a difesa del Tirolo minacciato dall’invasione garibaldina.  Un carteggio raccolto pazientemente dalla bisnipote Isabella Bossi Fedrigotti e tradotto dal tedesco per poi trasformarlo in un geniale quanto affascinante romanzo epistolare. Lui, Fedrigo Bossi Fedrigotti, di sicura fede asburgica arruolato volontario negli Ussari di Francesco Giuseppe, è testimone di tante vicende che hanno contrassegnato quell’anno con le sconfitte del Regno d’Italia a Custoza e a Lissa mentre le camicie rosse garibaldine cercavano di “resistere” nel Tirolo del Sud (Trentino).

Come oggi, 26 luglio 2025, il 26 luglio nel 1866, Ferigo scrive a Leopldina del suo arrivo a Trento: … “i trentini ci hanno accolto con sorrisi. Si erano passati la voce che gli austriaci sarebbero stati costretti a fare San Michele, cioè andarsene. Per poco non hanno avuto ragione. Tutto era pronto per la ritirata su Bozen, quindici carrozze allestite. Ci ha fermato un telegramma da Wien che ordinava di resistere a Trento finché si poteva. Da Verona hanno promesso rinforzi. Capisci, allora, i sorrisi dei trentini? Sono sorrisi che ci vogliono ingraziare”. I cittadini di Trento ovviamente speravano nella forza austriaca per respingere il più possibile la minaccia garibaldina.

In città c’era ovviamente la paura che i trentini affiancati agli italiani, se pur pochissimi, potessero in qualche modo favorire l’intervento dell’esercito italiano e la messa a fuoco di Trento. Il generale Kuhn fu molto severo con la delegazione trentina che lo supplicava di difendere la città. Li rimproverò di essere stati proprio loro a “chiamare” il nemico e con malcelato sarcasmo li invitò ad andare in Valsugana e pregare Medici (Generale Giacomo Medici, comandò una colonna dell’Esercito Regio in una avanzata da Padova, lungo la Valsugana, sino alle porte di Trento) di abbandonare la sua “impresa” di occupare Trento.

D’altre parte gli austriaci erano stati informati che nello stesso momento un’altra delegazione trentina supplicava il generale Medici, nel frattempo sistemato a Pergine, di anticipare l’entrata a Trento per “liberarla dagli austriaci”. Ovvio che questa delegazione altri non erano che i rappresentanti di quella sparuta borghesia trentina talvolta legata alla massoneria che in una annessione italiana intravedeva successi personali e convenienze economiche.

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