Voci di montagna – Streghe e leggende

Un tempo viveva un contadino, proprietario di un alto monte.
Sulle sue pendici egli soleva mandare, d’estate, il proprio bestiame, sorvegliato da un pastore, affinchè diventasse più grasso e vigoroso. A mezza costa, sotto un alto castagno, egli aveva fatto costruire una capanna affinchè il custode delle proprie bestie potesse avere un riparo per la notte.
Passata l’estate, alle prime avvisaglie d’autunno, tutta la famiglia del contadino soleva affacciarsi al balcone per poter avvistare di lontano le mandrie che scendevano dalla valle dei Mòcheni guidate da un pastore felice di poter finalmente far
ritorno a casa. Un anno però uomo e bestie furono attesi invano. Il contadino si decise a risalire il monte per vedere cosa fosse capitato.
Cammina, cammina, finalmente, sparse qua e là su tutti i prati
scorse le proprie bestie. Questa vista gli fu di gran sollievo. Ma e il pastore? Per quanto scrutasse all’ingiro non riusciva proprio a scorgerlo. Finalmente giunse davanti alla capannuccia. Picchiò un
gran colpo alla porta, ma nessuno gli rispose. Esitando, la spalancò… dinanzi a lui giaceva, steso per terra, il corpo del pastore morto. Spaventato il contadino corse a valle a dare la notizia. L’anno seguente il contadino dovette cercarsi un altro pastore.
Lo trovò ma, all’autunno, quando cominciò a spiare verso la valle
dei Mòcheni l’arrivo del bestiame, non scorse nessuno. Passò un
giorno, ne passò un altro… finalmente si decise a risalire il monte.
Cammina, cammina, gli sembrava di rivivere un terribile incubo.
Proprio come un anno avanti le sue bestie erano sparse in tutti i
prati della montagna, incustodite. Del pastore nessun segno. Giunse alla capanna, bussò, entrò… l’uomo era steso a terra cadavere.
Strappandosi i capelli per la disperazione, egli si precipitò a valle gridando la triste nuova. I compaesani rimasero allibiti: un fatto del genere non si era mai sentito. Ma forse … chissà , poteva anche darsi che i due ragazzi avessero voluto assaggiare qualche frutto velenoso… Il terzo anno, però, lassù sul monte, morì, nello stesso modo anche un terzo pastore. E da quel giorno nessuno volle più occuparsi del bestiame del ricco contadino. La stagione ormai era piuttosto avanzata e le sue mandrie stavano ancora rinchiuse nelle ampie stalle. Il pover’uomo non sapeva più dove sbatter la testa. Un giorno egli scorse, per le strade del paese, un ragazzo straniero. Speranzoso gli si avvicinò e gli chiese se sarebbe stato disposto a condurgli le mandrie su quel monte, lì nella valle dei Mòcheni, e a sorvegliarlo per lui durante tutta l’estate. Il compenso sarebbe stato buono:
cento scudi d’oro.
Il ragazzo, che non conosceva i precedenti della vicenda, accettò tutto contento.
Il ragazzo prima di cominciare il lavoro volle però passare in osteria a festeggiare e qui, i paesani, gli raccontarono quanto era accaduto gli anni precedenti ai malcapitati che avevano accettato quella stessa mansione.
«Scappa », lo consigliarono tutti. Ma la speranza di svelare un
mistero, di esser partecipe di un’avventura straordinaria avevano
ormai incantato il ragazzo più ancora che non l’alto compenso offertogli per il lavoro. Così disse, squadrando uno ad uno i suoi interlocutori:
«Io invece accetto». E se ne andò a dormire.
Al mattino seguente, puntuale, si trovò davanti alla casa del
contadino, prese in carica le bestie e partì.
Va, e va, il ragazzo e le sue bestie giunsero al ponte sulla Fersina, lo passarono, cominciarono a inerpicarsi lungo i ripidi pendii del monte. Arrampica, arrampica, su quei prati costellati di fiori e di farfalle finalmente, egli giunse alla capanna. Spalancò la porta ed entrò: nel centro vi era il posto per
accendere il fuoco, di lato una panca, un tavolo. Per dormire avrebbe ammucchiato delle foglie secche in un angolo. Tutto normale dunque. Che da qualche parte vi fosse un insetto velenoso? Il pastorello scrutò ovunque, spazzò bene il pavimento: niente. Allora, poichè egli era stanco e di assassini e malefizi non vi era neppur l’ombra, decise di andare a dormire. Per maggior sicurezza chiamò dentro la capanna anche il suo fedele cane da guardia, sprangò la porta e poi si addormentò come un angioletto. Venne svegliato, il giorno seguente, da un sole sfolgorante che aveva già tinto d’oro tutti i prati all’ingiro. Il ragazzo uscì ed andò a sorvegliare le mandrie. In questo modo passarono il primo giorno, il secondo e molti ancora.
Il mistero gli venne svelato verso la fine dell’estate. Era sera, ben chiuso nella sua capanna, stava preparandosi la cena, col cane accucciato a fianco. Ad un tratto la bestia divenne
irrequieta, ringhiò. Certamente stava arrivando un estraneo. Il pastorello appoggiò l’occhio ad una fessura fra tronco e tronco, spiando i dintorni. A pochi metri di distanza vide una vecchiaccia gobba e sbilenca, con una scopa in mano… una strega. Comprese che quella e solo quella era l’assassina dei tre pastori che l’avevano preceduto.
Ma poichè era un ragazzo coraggioso ed intelligente, lì per lì
ideò il modo per sbarazzarsene liberando nel contempo l’intera valle da quella maledizione. Nel frattempo anche il cane, che gli era venuto appresso, aveva scorto l’intrusa e abbaiava a più non posso.
La vecchia si fermò. Il pastorello, con quanta voce aveva in corpo, fingendo una sicurezza che non aveva, gridò:
«Brutta donnaccia, se non sei il diavolo, entra: io mi chiamo
Io stesso ».
«Volentieri, entrerò proprio volentieri» stridette la maledetta,
« ma prima lega quel tuo cane. Sai, mi fa tanta paura ».
Il ragazzo prese un filo sottile e debole e legò il cane.
Poi corse ad aprire la porta:
« Entrate nonna », disse, «ho legato il cane con una catena di
ferro: non vi farà alcun male». Ed arretrò rapidamente di alcuni
passi, fino al centro della stanzetta, dove ardeva un bel fuoco.
La vecchiaccia credendosi sicura del fatto suo, si precipitò dentro brandendo un coltello, tentando di colpire il pastore.
Il cane, al veder il suo padrone minacciato, con un lievissimo
sforzo spezzò il filo che lo teneva legato e si gettò sulla strega azzannandola. Svelta come il fulmine ella si liberò precipitandosi all’aperto. Cane e ragazzo le corsero dietro.
Nell’ansia di fuggire, lei si era lasciata sfuggire la scopa, perciò doveva liberarsi dei suoi inseguitori correndo sulle proprie gambe che, ahimè, erano piuttosto arrugginite. Ciononostante fece miracoli. Stracci al vento, la strega correva sui prati come un turbine. E il cane e il ragazzo dietro. Corri, corri, ormai era calata la notte ma il pastorello, che brandiva una torcia accesa non perdeva di vista l’ansimante vecchia. Alla fine la sua gioventù ebbe la meglio. Con una mano riuscì ad agguantarla mentre il cane le azzannava la veste tenendola ferma. Per la strega non sembrava vi fosse più ombra di speranza. Perdendo la propria scopa, infatti, aveva perso anche
gran parte del proprio potere. Provò a biascicare qualche formula
magica. Non accadde niente. Allora, al colmo della disperazione,
continuando a divincolarsi, cominciò a gridare:
«Aiuto, sorelle, aiuto »! Il ragazzo le avvicinò la torcia ai capelli che presero subito fuoco.
«Aiuto, sorelle aiuto, sto bruciando!» gridava la strega.
Dai boschi lontani, dalla cima del monte le consorelle le risposero in coro:
«Chi, chi ti fa del male »?
«IO STESSO!» urlò con quanto fiato aveva in gola la strega.
«Beh?» le venne risposto, se non ti diverte, smettila! » E
sdegnate, le altre streghe se ne andarono per i fatti propri, senza nemmeno andar a vedere cosa succedeva lì in quel prativo a mezzo monte.
Fu così che una strega bruciò in val dei Mocheni, tanti e tanti
secoli fa, lasciando di se stessa solo il ricordo.






