Un libro al mese: Dagli Schützen la salvezza – 3

Nel maggio 1915 l’entrata in guerra dell’Italia contro l’Austria provocherà nella maggioranza dei trentini moti di sdegno. L’Italia da oltre trent’anni, dal 20 maggio 1882, è legata ad Austria e Germania dal trattato della triplice Alleanza. Un trattato che nel suo primo articolo stabilisce che «le Alti Parti contraenti si promettono pace ed amicizia e non entreranno in nessuna alleanza o impegno diretto contro alcuno dei loro Stati».
Non sono solo parole sulla carta. Effettivamente intercorrono rapporti di buon vicinato. Il revanscismo dannunziano, l’irredentismo affascinano qualche intellettuale, ma non riempiono certo i pensieri della gente del popolo.
Eppure, allo scoppio della guerra, Austria e Germania hanno cominciato a combattere da sole. L’Italia ha trovato il modo di alzare la bandiera della neutralità . Qualificando l’attacco austriaco contro la Serbia come aggressione, si è disimpegnata dagli obblighi di alleata. Il governo italiano ha sottolineato di considerare proprio interesse il mantenimento dell’integrità della Serbia, e il 3 agosto 1914 un manifesto ha annunciato ufficialmente la neutralità nel conflitto europeo. E qualcuno già per questo l’ha reputata traditrice e inaffidabile. Il Kaiser nel ricevere il telegramma con il quale Vittorio Emanuele II gli fa sapere che l’Italia non affiancherà gli alleati nella guerra si abbandona a una sfuriata, urla i suoi pensieri sull’Italia e il suo sovrano. E Vittorio Emanuele, in un crescendo d’ira, è detto dapprima un uomo dal comportamento «inaudito», poi diventa un «ipocrita», quindi «quel nano farabutto» che lui, il Kaiser, in realtà non ha «mai sopportato».
Ora però l’alleato non solo non vuole più concedere appoggio, ma addirittura sceglie di schierarsi dalla parte dei nemici. Un doppio tradimento, che non conviene in nessun modo nemmeno alla stessa Italia. Assurdo, in apparenza privo di qualsiasi motivazione logica, «più che un delitto uno sproposito» lo ha definito il cancelliere tedesco Bernard von Bülow. L’unica spiegazione possibile risiede nel cosiddetto risorgimento, nel desiderio di pochi di portare a compimento quel processo artificioso che nel 1861 aveva condotto alla nascita dello Stato Italia, sacrificando le molte anime vivaci della Nazione Italia. Le splendide antiche capitali, gli Stati da secoli indipendenti e le dinastie che li reggevano, le tradizioni e i costumi locali, tutto è stato sacrificato alla brama espansionistica dei sabaudi e agli interessi dello straniero che li appoggiava. Ora l’obbiettivo è il Tirolo di lingua italiana.
E come nell’Ottocento non ci si è voluti soffermare troppo a guardare al fatto che i popoli italici fossero per lo più fedeli alle antiche dinastie e per nulla interessati a passare sotto la dominazione piemontese, così ora non ci si preoccupa del fatto che i Trentini non vogliano diventare italiani. Al fatto che desiderino restare tirolesi e parte dell’Impero asburgico.
Cesare Battisti, che aveva sempre predicato contro la guerra fino a farsi solida fama di convinto pacifista, ora, con un clamoroso voltafaccia, è uno dei più attivi sostenitori dell’interventismo. Il 12 agosto 1914 arriva in Italia e comincia a tenere conferenze ovunque per propagandare la necessità dell’intervento in guerra, ovviamente contro l’Austria. Cioè contro il paese del quale è, non dimentichiamolo, Deputato al Parlamento. La Grande Guerra per l’Italia è appunto una continuazione del risorgimento. In ogni senso. In senso ideologico, perché bisogna annettere gli ultimi popoli rimasti indenni dall’azione omologante sabauda, e in senso pratico, perché Inghilterra e Francia sono state fondamentali per l’unità d’Italia, e ora bisogna restituire il favore, pagare il debito.
Senza dubbio nel 1915 la grandissima maggioranza dei trentini è fedele alla monarchia asburgica. I tirolesi di lingua italiana hanno sempre vissuto sotto le insegne dell’aquila, rispettosi dell’autorità imperiale. Il fatto di parlare italiano e di sentirsi per certi aspetti italiani, non ha mai messo in discussione il senso di appartenenza al Tirolo innanzitutto. E nemmeno la fedeltà all’Imperatore. Due volte all’anno, in occasione del genetliaco e dell’onomastico di Francesco Giuseppe, il popolo partecipa con entusiasmo alle celebrazioni civili e religiose. Ogni ragazzo in età scolare conosce e canta l’inno nazionale, «Serbi Dio l’Austriaco Regno, guardi il nostro Imperator, nella fe’ che gli è sostegno, regga noi con saggio amor». E se per
certi aspetti si può dire che i trentini si sentano italiani, in genere però pare non nutrano una buona opinione dell’Italia come Stato. La differenza fra Italia intesa come entità culturale e Italia intesa come entità statale è considerevole, e si può azzardare che sia sempre stata dai popoli più o meno coscientemente percepita. (…)
La gente in Trentino in quei giorni prende a riferirsi all’Italia con gli appellativi di «perfida» e «traditora». Questo apparentemente paradossale sentimento di italianità che in un certo senso esiste, ma che non vuole concretizzarsi in una effettiva appartenenza all’Italia è ben espresso dalle parole di un padre francescano di Borgo Valsugana, Roberto Gabos: «Io sono un trentino austriaco, e non un trentino unionista. Sento fortemente la nazionalità italiana, ma non desidero l’annessione al regno: perché da questa annessione vedo la rovina religiosa, morale ed economica del nostro popolo»
(…)
La dichiarazione di guerra dell’Italia all’Austria, il 23 maggio 1915, apre per l’Impero il fronte meridionale. Non è un inconveniente di scarso rilievo, l’esercito austriaco è in quel momento assolutamente impreparato a difenderlo. I reggimenti di Kaiserjäger e Landesschützen sono già tutti impegnati nell’offensiva sul fronte orientale. Se anche se ne potessero richiamare alcuni, occorrerebbe comunque un certo tempo per gli spostamenti. I confini del Tirolo sembrano dunque destinati a restare indifesi, per molti giorni, forse settimane o addirittura mesi. L’intervento degli Schützen si rivelerà fondamentale. La storica difesa territoriale del Tirolo giocherà un ruolo decisivo nel preservare il fronte meridionale durante le prime settimane di guerra, fino all’arrivo delle truppe regolari. Nel maggio del 1915 vengono mobilitati tutti i bersaglieri immatricolati, ossia tutti gli iscritti ai tradizionali poligoni di tiro al bersaglio, che non sono già stati arruolati all’inizio della guerra. Si tratta dunque necessariamente di uomini o molto giovani o in età piuttosto avanzata, per lo più ragazzi dai quindici ai diciotto anni e uomini oltre i cinquanta.  È con queste forze che il Tirolo si appresta a difendere i propri confini. Questi coraggiosi bersaglieri sono gli Standschützen.
L’ordine di Francesco Giuseppe di mobilitare tutte le Compagnie di Standschützen arriva il 18 maggio 1915, quando risulta ormai del tutto evidente che l’Italia dichiarerà guerra all’Austria. In pochi giorni i bersaglieri vengono richiamati e sottoposti a visita militare. Benché tutti gli adulti in buona salute siano già stati arruolati, in migliaia rispondono all’appello dell’Imperatore. Per lo storico Josef Fontana il numero dei bersaglieri accorsi a difendere il confine meridionale dal tradimento italiano può essere compreso tra diciannovemila e quarantamila. Per il geografo Heinz von Lichem e per Lorenzo Dalponte è possibile una stima abbastanza precisa di ventitremilacinquecento uomini.
Accanto a giovani contadini o studenti di quindici o sedici anni marciano uomini di sessanta o settanta anni.  (…) Da molte case partono in due, padre e figlio, zio e nipote, perfino nonno e nipote. La gente si riversa nelle chiese, i bersaglieri prima di andare pregano insieme alle loro famiglie, alle donne e ai fanciulli che restano. Tutti vedono l’ultima possibilità di salvezza in questi uomini troppo anziani o malati, troppo giovani e inesperti. Inadeguati. Partono nel silenzio, senza onori. A salutarli solo mogli e madri ammutolite dalle lacrime e dallo stupore, qualche imprecazione sfuggita contro l’Italia «traditora» che li obbliga a questa assurdità , il pianto dei bambini. Niente musica, bandiere e fiori, nulla dell’esultanza gloriosa che aveva incoraggiato i soldati nell’agosto 1914. Questi soldati improvvisati partono in fretta, poveri di mezzi, in condizioni precarie.
Pur in netta inferiorità numerica rispetto alle forze dislocate lungo i confini del Tirolo dall’esercito italiano, gli Standschützen riusciranno a tenere il fronte fino all’autunno 1915, cioè fino al momento in cui sarà possibile far rientrare dalla Galizia alcuni reggimenti di Kaiserjäger e Landesschützen. Aiutati dalla loro perfetta conoscenza della montagna, gli Standschützen adottano un’astuta strategia di rapidi spostamenti sul territorio. Riescono così a ingannare gli osservatori dell’esercito italiano, che, credendoli molto più numerosi, mantengono all’inizio del conflitto un atteggiamento di prudenza.
«Gli italiani si meravigliarono non poco quando, avvicinandosi al confine alpino, furono accolti da un preciso e inesorabile fuoco di fucileria dei Tiroler Standschützen, appostati nei punti chiave, sulle cime e sulle creste… essi salvarono realmente il Tirolo nelle prime settimane di guerra, dando tempo ai Kaiserjäger
e Landesschützen di giungere dal fronte galiziano. Gli Standschützen dimostrarono la loro fedeltà alla patria come avevano fatto nel 1809 e nei secoli antecedenti. Rimasero al fronte fino all’ultimo giorno di guerra, compiendo imprese memorabili, costituendo una delle colonne portanti della difesa territoriale».
(…)
Nell’ottobre 1918 l’Austria ancora tiene sul fronte esterno. Il soldato austriaco si difende, nonostante le scarpe rotte, la divisa sporca e strappata, lo stomaco vuoto. Si difende, nonostante la debolezza e il dilagare delle epidemie.
Ma il fronte interno sta crollando. Dopo tanti lutti e privazioni la gente è stremata. Non ha più capacità di resistenza, odia la guerra e vuole la pace. Ad ogni costo. Nelle città la situazione è disperata. Non si trova più cibo, quel poco che c’è finisce subito al mercato nero con prezzi alle stelle. Già nell’estate di quel 1918 è diffusa fra la gente la convinzione che ormai sia tutto finito. Dopo le offensive italiane di giugno sul Piave e sul Tonale, l’Austria non è più in grado di resistere. I soldati ungheresi, cechi e slavi vengono richiamati in patria. A ottobre l’Impero asburgico non esiste che sulla carta.
Gli Standschützen tirolesi, quasi tutti distribuiti sul fronte occidentale, tra Riva del Garda e l’alta valle di Sole, continuano a compiere il loro dovere con ferrea disciplina e spirito di sacrificio. Sono ridotti nel numero, invecchiati e stanchi.
A novembre la guerra è finita. Il giorno 3 viene firmato l’armistizio. L’Austria interrompe immediatamente le ostilità , anzi le interrompe troppo presto. Gli accordi che in quel 3 novembre il comando austriaco firma con il comando italiano stabiliscono che le ostilità debbano cessare entro le ore 15 del giorno successivo. Il comando austriaco darà però subito l’ordine di deporre le armi. L’Austria è sfinita, ha voglia di pace. La guerra è finita, è persa, perché continuare a combattere? Perché aggiungere vittime alle vittime? Il comando austriaco darà appunto questa spiegazione, giustificherà con la volontà di evitare ulteriori spargimenti di sangue per una resistenza ormai inutile, una mossa che si rivelerà dannosissima.
L’esercito italiano approfitterà infatti di quelle ventiquattro ore per continuare ad attaccare e fare migliaia di prigionieri. Quattrocentomila soldati austriaci finiscono nei campi di concentramento italiani, in sessantamila vi moriranno. Un superstite, Silvio Paoli, che era anche stato prigioniero in Russia per due anni, scriverà che «piuttosto di quel paio di mesi passati in Italia, avrei fatto otto anni di prigionia in Russia»
Elena Bianchini Braglia, scrittrice e ricercatrice, direttrice della rivista „Il Ducato“, si occupa di storia, di radici, di identità . Ha pubblicato diversi saggi e numerosi libri. Modenese, ha saputo raccontare non solo le vicende ma l’anima stessa del Ducato Estense, legato a filo doppio alla Casa d’Austria.  „Dagli Schützen la salvezza“ è uscito a maggio 2021.
E‘ possibile trovarlo in libreria o sul web; il libro può essere richiesto anche via mail direttamente  alla casa editrice Terra e Identità di Modena (info@terraeidentita.it)






