1525-2025: cinquecento anni fa le rivolte contadine (9)

L’Archivio della storiografia trentina offre una interessante documentazione di Salvatore Piatti: L’insurrezione contadina del 1525 nel perginese. Una guerra che coinvolge insorti tirolesi, i quali danno vita ad una sorta di costituzione ante litteram, gli “Articoli di Meran “, diffusi in tedesco e in italiano, una carta di grande tensione democratica, con affermazioni anticipatrici di autonomismo. L’espressione tradizionale di guerra rustica per indicare l’insurrezione dei contadini avvenuta nel 1525 nel Trentino può essere fuorviante in quanto si trattò di una ribellione breve e disorganica. La guerra è guidata da un capo o da un comando militare unificato, è un’azione o un complesso di azioni organizzate ed è combattuta da uomini armati. Ma l’insurrezione, o ribellione, del 1525 nel Trentino non aveva un capo riconosciuto, non ebbe mai una vera organizzazione e gli uomini che vi parteciparono erano armati solo in via eccezionale; la quasi totalità dei partecipanti avevano quelle armi che oggi si direbbero improprie. Gli storici tradizionali di Pergine e del Perginese o non hanno parlato o ne hanno parlato solo sbrigativamente e non sempre con esattezza.
Gli abitanti oltre essere gravati dalle steure (dal tedesco Steuer=tasse) e dalle colte ordinarie e straordinarie, dovevano dare al castello la legna, il frumento di guardia, il vino delle decime, che in antico si dava alla chiesa ma di cui il castello, in un modo o nell’altro, era riuscito ad impossessarsi, le honoranze, cioè, offerte fatte al capitano o al suo vice che avrebbero doyuto essere libere, ma che di fatto erano diventate obbligatorie, e soprattutto i pioveghi. I pioveghi erano prestazioni gratuite per la manutenzione del castello come edificio, della strada che portava al castello, della strada imperiale dal Sila ai confini con la giurisdizione di Levico e per i numerosi altri lavori per i campi di proprietà del castello. C’erano poi le spese per la conservazione e eventualmente ricostruzione del ponte sul Fersina necessario per l’agibilità della strada imperiale, perché il torrente di tanto in tanto lo distruggeva. Non mancavano inoltre gli obblighi verso la chiesa di Pergine e cioè quella parte di decime che il castello non era riuscito ad usurpare e l’obbligo di mantenere la chiesa pievana, obbligo che ha costituito un punto d’attrito fra il borgo di Pergine e le gastaldie esteriori anche dopo la loro scomparsa, fino ai primi decenni di questo secolo.
Inoltre, nei primi anni del Cinquecento si intraprese la costruzione del nuovo castello, l’attuale, voluto dall’imperatore Massimiliano che era anche conte del Tirolo, e quindi per i contadini ci fu un supplemento di pioveghi.
Nel 1510, poi, la comunità parrocchiale decise i lavori per la nuova chiesa pievana, l’attuale cesa granda, prendendo l’occasione della presenza di persone specializzate nelle costruzioni chiamate dal Comasco da Massimiliano per la costruzione del castello, e perciò altro lavoro gratuito e richiesta di offerte. (continua)






