Dalla cronaca sudtirolese (5)

Dopo che, da parte politica, nulla si era mosso malgrado le segnalazioni fatte in decine di lettere di denuncia delle torture, 44 detenuti sudtirolesi decisero di citare in giudizio con l’accusa di torture 21 carabinieri di cui conoscevano il nome. Solo sette di quelle denunce furono accolte dai giudici e dieci dei “carabinieri torturatori” portati avanti al Tribunale di Trento nel 1963. Tutti gli altri usufruirono dell’amnistia. In un processo non privo di incongruità giuridiche due carabinieri furono prima condannati e poi subito graziati; gli altri torturatori, invece, tutti assolti. Di lì a poco sarebbero stati ricevuti a Roma dal Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri, il Generale nonché, più tardi, parlamentare neofascista Giovanni De Lorenzo, che li lodò per “l’impegno esemplare”, arrivando persino a insignirli di onorificenze e a promuoverli. Il 9 dicembre 1963 si aprì al Palazzo di Giustizia di Milano il processo contro 94 imputati sudtirolesi. Si trasformò in una brutale resa dei conti con la politica italiana poiché gli imputati ammisero con franchezza la responsabilità per quegli atti ponendo di fatto l’Italia sul banco degli imputati, sia sul piano politico che su quello morale e dei diritti umani.
Sepp Kerschbaumer chiese al presidente del Tribunale dott. Simonetti: “Vorrei sapere se l’Italia, che ha invocato il diritto all’autodeterminazione per Trieste, è legittimata a punire i Sudtirolesi per la stessa richiesta.” In due giornate di interventi, Kerschbaumer fornì un quadro molto chiaro dei reati politici commessi dallo Stato italiano e delle rivendicazioni sudtirolesi: “Se lo Stato italiano avesse concesso a noi sudtirolesi i diritti che ci spettano, questa tragedia non sarebbe mai accaduta e noi saremmo a casa con le nostre famiglie.” Senza risparmiare nessuno, gli imputati descrissero anche i maltrattamenti subiti. L’andamento del processo modificò la posizione tenuta dall’opinione pubblica in Germania, in Austria e, parzialmente, anche in Italia. In Europa si cominciò a capire quale fosse il problema sudtirolese. Le sentenze in parte draconiane emanate il 16 luglio 1964 dopo quasi otto mesi di udienze dimostrano che gli imputati avevano profondamente colpito lo Stato italiano. Non avrebbe dovuto esserci più alcun altro processo che potesse vedere Roma sul banco degli imputati.
I nomi di alcuni combattenti per la libertà rimasero ignoti, nonostante l’ondata di arresti seguita alla Notte dei Fuochi. Altri riuscirono a sfuggire all’ultimo momento, rifugiandosi per lo più oltre confine, in Austria. Fra questi, il Maggiore degli Schützen Georg Klotz (1919 – 1976), di Walten in Passeiertal, il Sottetenente degli Schützen Luis Amplatz, di Bozen-Gries (1926 – 1964) e i “Pusterer Buibm”, Siegfried Steger, Sepp Forer, Heinrich Oberlechner ed Heinrich Oberleiter.
Dovettero fuggire in Austria, spingendosi occasionalmente oltre confine in solitaria o in compagnia di amici austriaci, per portare avanti la lotta intrapresa. Venuti a conoscenza delle crudeli torture subite dai compagni combatterono armati quella lotta, fermamente decisi a morire nello scontro a fuoco piuttosto che nelle mani dei torturatori.






