Castel Dante, quando il ricordo è monco

Siamo arrivati a Castel Dante con la navetta predisposta per i partecipanti „normali“: ben poche le persone in borghese, senza uniforme o tenuta d’ordinanza, senza gagliardetti e bandiere tricolori, sia sull’autobus che nel piazzale dell’Ossario. Il picchetto d’onore degli alpini era già schierato, la fanfara dei carabinieri pure. Sui pennoni tre bandiere: quella italiana al centro, ai lati quella della Provincia e quella europea. Nessuna bandiera austriaca, ceca, slovacca, ungherese, bosniaca, men che meno tirolese, o una bandiera imperiale a rappresentarle tutte; nessuno in montura da Kaiserjäger o Standschütze; nessun distintivo della Österreichisches Schwarzes Kreuz, a parte quelli esibiti dalla nostra collega Manuela Sartori, dal presidente del Museo della Guerra di Rovereto Oswald Mederle, e da Sieghard Gamper, funzionario della Regione in fase di pensionamento e membro della ÖSK sudtirolese, presente a titolo personale. Presenti diversi sindaci e rappresentanti comunali della Vallagarina, quella di Rovereto in primis, tutti con la fascia tricolore; la presidente del consiglio comunale di Trento Zanetti, con la fascia gialloblu della città; un solo consigliere provinciale, l’ex sindaco di Rovereto Valduga. E poi graduati di ogni ordine e grado delle forze armate italiane.
Prima dell’inizio della cerimonia abbiamo avuto il tempo di entrare nell’Ossario: non è cambiato nulla dall’ultima volta che ci siamo stati, accompagnando il consigliere provinciale sudtirolese Sven Knoll a „trovare“ il suo prozio nordtirolese i cui resti sono finiti qui, dopo essere stati esumati dal cimitero di guerra di Santa Giuliana a Vigo di Fassa, insieme a tutti gli altri tirolesi, „redenti“ a forza dopo morti, anche se di Serfaus. Ci sono ancora le stesse lapidi, dove Calogero riposa vicino a Franz diventato Francesco, dove gli alpini sono tumulati a fianco dei Kaiserschützen, senza distinzioni al punto che sembrano essere stati tutti soldati del Regio Esercito Italiano. Invece, sulle grandi lapidi che ricordano i caduti „austro-ungarici“ troviamo solo cognomi boemi, bosniaci, ungheresi; di nomi tirolesi non ce ne sono.
Qui a Castel Dante, qualcuno che non conosce la nostra Storia, non potrebbe mai immaginare che Johann diventato Giovanni, o uno dei tanti Nicolini, Bertagnolli, Coser, Mosca, avesse invece indossato la montura della sua Vaterland austriaca, e fosse caduto difendendo non solo l’Impero ma anche la propria Heimat dagli attacchi delle truppe italiane.
All’arrivo di Isabella Rauti, sottosegretaria italiana alla difesa qui in rappresentanza del ministro, la cerimonia ha avuto formalmente inizio. Onori alla sottosegretaria da parte del picchetto degli alpini, alzabandiera al suono del solo Inno di Mameli, nemmeno una nota almeno di quello europeo. Poi è stato il momento dei discorsi ufficiali.
Per prima Giulia Robol, sindaco di Rovereto: dopo aver ringraziato per la presenza gli ambasciatori ceco, slovacco ed austriaco (NdR: citati nel protocollo, ma noi purtroppo non siamo riusciti ad individuarli), nel suo intervento ha descritto il Sacrario di Castel Dante come il simbolo importante della riconciliazione di tutti i caduti in territorio trentino, che ora riposano qui insieme dopo aver sacrificato la vita con valore, per la loro Patria; un monumento che torna alla sua magnificenza, la cui imponente architettura lascia spazio al silenzio, alla riflessione alla riconciliazione; ha parlato dell‘identità ricostruita nei cento anni dopo il termine del conflitto, del radicamento al suo interno del ricordo e della memoria e del ruolo di Rovereto come Città della Pace, importante soprattutto in questo momento dove i conflitti ancora divampano.
Il generale Rispoli, capo di OnorCaduti, l’Ufficio per la tutela della cultura e della memoria del Ministero italiano della Difesa, ha esordito facendo notare i medaglieri presenti che „rappresentano il valore e il sacrificio„; ha ricordato gli oltre 20000 caduti italiani (NdR contando evidentemente fra questi anche i nostri nonni e bisnonni tirolesi, come dicevamo poco sopra, redenti per forza da morti), gli austroungarici, i legionari cecoslovacchi che combatterono con il „nostro“ esercito (NdR: intendendo ovviamente quello italiano), menzionando „i tanti martiri roveretani, in primis Chiesa e Filzi, i caduti della Legione Trentina ai quali arde la luce perenne di una lampada“, per poi concludere dichiarando che „Castel Dante non è un monumento nazionale ma di riconciliazione fra i popoli“ ed esclamando „Onore ai caduti e viva l’Italia“. Solo noi notiamo evidenti contraddizioni in tutto questo?
L’assessore provinciale alla promozione della conoscenza dell’Autonomia e dell’Euregio Marchiori ha affermato che „In questo luogo – che fa parte della memoria collettiva della nostra Provincia – 110 anni fa si è aperto un fronte che ha portato distruzione, morte e sofferenze in un territorio cerniera tra la Mitteleuropa e il Mediterraneo. Restituire onore a questo luogo è fondamentale per far capire che erigere muri e combattere non è la soluzione per risolvere i contrasti, come non lo è subire passivamente l’aggressione ingiustificata di uno stato come avviene in Ucraina” (NdR: e come è accaduto alla nostra Heimat con l’aggressione italiana, aggiungiamo noi). Marchiori ha concluso dicendo che oggi „guardiamo a Castel Dante come a un segnale verso il futuro, un monito per non dimenticare ripercorrendo le gesta di chi qui riposa, di chi ha sacrificato la propria vita per un’inutile strage, e per sostenere chi continua a combattere per la pace“.
La sottosegretaria Rauti, dopo aver parlato di pace e di fratellanza, ha dichiarato che „i sacrari sono simbolo di tradizione, sono un viaggio nella memoria dinamica, che tramanda la nostra storia, i valori della nazione e dell’identità nazionale„; concetto questo ribadito più volte, anche quando ha ricordato la necessità di „onorare chi ha combattuto fino all’estremo sacrificio, per lastricare con il sangue la strada per la nostra identità nazionale“. Ha poi aggiunto che „tutti i caduti che qui riposano sono eroi, ma fra i tanti eroi voglio citare Filzi e Chiesa„. Anche Rauti a concluso il suo intervento esclamando „Onore ai caduti, viva le forze armate, viva l’Italia“. (NdR: Pure nelle sue parole, con i concetti di pace, fratellanza che si mescolano a tanto nazionalismo, secondo noi c’è un pochino di contraddizione)
Al termine dei discorsi, il taglio del nastro (ovviamente tricolore) e poi la salita all’interno dell’Ossario, all’altare ai piedi delle grandi lapidi dedicate a Fabio Filzi e Damiano Chiesa, per la deposizione di una corona e per la Santa Messa, celebrata dall’Ordinario Militare per l’Italia, che l’ha officiata quasi per intero indossando il cappello alpino. E questo particolare a noi è parso dimostrare ben poco dei dichiarati spirito di fratellanza e intenzione di rendere onore a TUTTI i caduti, anche da lui ricordati come 20000 italiani e 7000 austroungarici (e anche qui i conti non ci tornano).
Nella predica, l’ordinario militare a poi affermato quando sia stato appropriato aver restaurato l’Ossario di Castel Dante: con lo scioglimento dei ghiacciai si trovano i resti di tanti caduti – ha detto – ora è stato ingrandito per accoglierli tutti (???). Prima della benedizione finale ha ribadito questo concetto, invocando il Signore affinchè ci conceda „di ritrovare al più presto quei corpi che ancora giacciono sotto la neve per poter dar loro qui una degna sepoltura„. Preghiera alla quale non ci sentiamo di unirci fino in fondo, pensando ai resti dei soldati imperiali ritrovati a Cima Cady e qui sepolti quasi alla chetichella, e all’ultimo ritrovamento sulla Vedretta di Lares, che noi speriamo venga inumato in maniera degna al Soldatenfriedhof di Bondo.
Al termine della Santa Messa, le foto di rito sulla scalinata dell’Ossario, e il „simpatico“ concerto della Fanfara dei Carabinieri, fra Tapum, Venti giorni sull’Ortigara, la Valsugana (sic!) eccetera.
Conclusioni ...
Non pensiamo serva aggiungere molto altro alla nostra cronaca, per rendere ai lettori il quadro della giornata. Ci sentiamo solo di ribadire, una volta di più e soprattutto dopo aver vissuto questa giornata in prima persona, che l‚Ossario di Castel Dante non è assolutamente il luogo adatto ad ospitare il Memoriale dei nostri caduti. Invece, sarebbe ora e tempo di contestualizzarlo, di storicizzarlo, di definire esattamente che i nostri nonni e bisnonni sepolti qui, da Andergassen a Aldrighetti, da Bauer a Boninsegna, da Unterholzer a Vinante, da Sartori a Niederhofer, erano soldati austriaci e non italiani e che sono stati „redenti d’imperio“ dopo morti. Perchè „la fratellanza fra gli antichi nemici“ non deve essere un modo per continuare a ignorare la nostra Storia, cancellare la nostra Memoria, nascondere la nostra Identità.






