Sulle Dolomiti per una foto

In questi giorni si è parlato tantissimo e forse non abbastanza di quel non-turismo, quel turismo che è sempre più uno scatta e fuggi sostenendosi a quel mordi e fuggi (una gita e via) a cui, almeno nel nostro Tirolo storico, non ci eravamo ancora abituati. I turisti amanti delle nostre montagne e dei nostri laghi venivano per trascorrere almeno una settimana di vacanza, appassionati di percorsi, passeggiate, svaghi montani… ebbene ormai anche le nostre Dolomiti sono prede dei selfie: scatta e fuggi, appunto. Turisti non per caso ma per un giorno. Per qualche ora addirittura. Licia Colò, conduttrice e autrice televisiva, scrittrice e blogger o, meglio, come lei stessa si definisce «divulgatrice delle meraviglie del Pianeta», nota esperta di viaggi e turismo questa estate alloggia nella casa di famiglia, in val di Non. Non è quindi mancata qualche sua osservazione riguardo il turismo accelerato, velocizzato dalla frenesia di immortalarsi davanti a panorami emozionanti. Ha ovviamente messo in primo piano quel fastidioso arrivare in un posto, sostare un nanosecondo, talvolta senza scendere dalla macchina o dalle moto e scattare qualche foto. Tutto qui. “Non è questo il modo di viaggiare”, dice sconsolata.
Il viaggio è un’altra cosa, diremo noi. Immagina un viaggio che inizia all’alba, con uno zaino leggero e il cuore pieno di sogni. Parti da una piccola stazione di montagna, dove il profumo dei pini si mescola al silenzio dell’alba. Salti su un vecchio treno che serpeggia tra valli sconosciute, direzione: l’ignoto. Attraversi deserti d’oro, città dimenticate dal tempo, e foreste pluviali dove la natura regna sovrana. Incontri nomadi che raccontano storie sotto le stelle esplori templi abbandonati, scali picchi innevati e nuoti in lagune azzurre. Ogni passo è una scoperta, ogni incontro un mistero. È un viaggio senza mappa, dove l’avventura non è solo nei luoghi, ma nel coraggio di perdersi… per ritrovarsi.
Che dire allora della generazione selfie? Della generazione scatta e fuggi? Non è questo il senso del viaggio. Correre da un luogo all’altro con il solo scopo di scattare una foto, come se bastasse un’inquadratura perfetta a dire “ci sono stato”, è un tradimento silenzioso verso i luoghi e le storie che custodiscono. Un paesaggio non si vive attraverso uno schermo, ma con gli occhi, il respiro, il tempo. Serve fermarsi, ascoltare il vento, sentire l’odore della terra, guardare la luce che cambia. Serve rispetto.
Chi viaggia solo per collezionare immagini, dimentica che il mondo non è una scenografia. È un’esperienza viva, fragile, autentica. Non sei lì per dimostrare qualcosa a chi ti guarda da lontano. Sei lì per sentire qualcosa tu, da vicino. La bellezza non è un trofeo da esibire. È un dono da onorare.






