von fpm 17.08.2025 13:00 Uhr

Ed ecco puntuali i noiosi brontolamenti

Cartelli dei sentieri solo in tedesco, scoppia la polemica in Südtirol. Ad alzare il polverone vari esponenti della politica in modalità italiana dopo che il presidente del Cai, Carlo Zanella, e il consigliere comunale Tritan Myftiu hanno documentato le installazioni monolingue.

Elaborazione grafica Flavio Pedrotti Moser

Sia consentita una premessa: quando si parla di bilinguismo si pensa per lo più ad una pacifica e serena convivenza linguistica. D’accordo, ma sarebbe forse utile ricordare cosa successe con l’annessione delle due province di Bozen e Trento, ovvero Tirolo del Sud (oggi Welsch Tirol-Trentino e Südtirol) dopo la Prima guerra mondiale, una sciagura per l’impero austriaco e tragedia per la vecchia provincia del Tirolo, territorio che va dal Kaisergebirge al Lago di Garda, unito all’Austria fin dal lontano 1363. La cosiddetta „redenzione“ mai voluta dalla popolazione, Tirolese e non italiana, dovette subire dalla prefettura di Trento una pubblicazione del Regio decreto che il 29 marzo 1923 che cancellò e proibì nella regione l’uso del toponimo „Tirolo“ e tutte le sue variazioni, così come proibì tutti i toponimi tedeschi e ladini (che non erano presenti soltanto a nord di Salurn). Il progetto di italianizzazione forzata di Ettore Tolomei (definito da Salvemini come il “Boia del Sudtirolo”) fu un processo di pulizia etnica senza pari al mondo, perché venne studiato e meditato anni prima. Uno dei più „terrificanti fascisti“, Tolomei, anni dopo dichiarò che la sua opera di cancellazione dell’anima tirolese „è doverosa e fatale“. La cancellazione dei toponimi locali interessò soprattutto la provincia di Bozen e fu preceduta da numerosi atti finalizzati alla cancellazione di ogni memoria austriaca e tirolese. In ogni Comune venne introdotto l’obbligo di dedicare una via o una piazza a Cesare Battisti, a Vittorio Emanuele o a Garibaldi, mentre con un decreto del 26 settembre 1922 si ordinava la distruzione di ogni traccia di documentazione e reperti di origine austriaca e Tirolese “da eseguirsi con mezzi efficaci, sì da farli definitivamente scomparire “.

Così il territorio che nei secoli era conosciuto come „Tirol“ diventava „Trentino-Alto Adige“. La politica di italianizzazione del Sud Tirolo, dunque, è ideata e portata avanti con forza, dall’inizio del Novecento. Il 15.7.1923, nel Teatro Comunale di Bolzano, il lesionato Tolomei illustra il suo Programma in 32 punti per “italianizzare” il Sud Tirolo, mediante l’adozione di provvedimenti che riguardano tutti i settori della vita pubblica. Ricordiamo, tra i più significativi: il divieto del nome Sud Tirolo, a cui è imposto il nome di Alto Adige; la chiusura delle scuole in lingua tedesca, con l’obbligo dell’utilizzo dell’italiano anche negli Uffici pubblici; il licenziamento o il trasferimento degli impiegati pubblici di lingua tedesca e la loro sostituzione con persone di cultura e lingua italiana, provenienti soprattutto dal Sud dell’Italia; la chiusura di tutte le Associazioni culturali, sociali, economiche ,sportive e della Stampa di lingua tedesca; lo scioglimento dei Partiti politici locali; la italianizzazione della toponomastica e dei cognomi. E non va certo dimenticato il periodo in cui i tirolesi di lingua tedesca dovettero ricorrere alla clandestinità scolastica per poter conservare la propria lingua istituendo le tragicamente note katakombenschule, “scuole nelle catacombe“ o anche Geheimschulen, „scuole segrete” per consentire l’insegnamento della lingua tedesca istituzionalmente proibita.

Il problema non è nuovo: nel 2013 si discusse su una decina di toponimi su cui mancava l’accordo e una lista di 132 località che avrebbero mantenuto il solo nome tedesco. I 132 toponimi fanno parte di una lista di 1526 località per le quali, precedentemente, erano stati installati migliaia di cartelli in lingua esclusivamente tedesca. Da qui era scoppiata la diatriba che aveva portato nel 2010 a un primo accordo tra Durnwalder e l’allora ministro alle Regioni Raffaele Fitto. Come ricorda il comunicato stampa del Cai, l’accordo sanciva “l’indicazione delle denominazioni diffusamente utilizzate per i Comuni e le località nelle rispettive lingue” e il mantenimento invece “nella loro dizione originale in lingua tedesca e/o ladina dei nomi storici”, sempre con traduzione italiana dei nomi generici (come cima, punta, monte o malga).

Al termine del lavoro i tecnici individuavano un 10% di nomi, circa 150 quindi, da lasciare sulla segnaletica esclusivamente in lingua tedesca; il 45% del totale (700 nomi) da riportare in duplice lingua (ad esempio Rosengarten-Catinaccio o la contestata Steinalm-Malga Sasso), e infine un altro 45% che avrebbe mantenuto il nome in tedesco con indicazione generica in italiano (cima, punta, malga, ecc). La proposta della commissione, tuttavia, non fu accettata da Durnwalder che ritenne il risultato troppo sbilanciato verso l’italiano e troppo poco verso il tedesco, tanto da chiedere che altri 300 toponimi fossero lasciati solo in tedesco. Il nuovo patto con il ministro Delrio in sostanza andò incontro alle richieste di Durnwalder dal momento che aggiunse a quei 150 nomi tedeschi iniziali altri 132 toponimi, per un totale quindi di 282 su 1526 della lista iniziale.

Che adesso si elevino smorfie di protesta per la naturale installazione di cartelli esclusivamente in tedesco, lingua madre del 70 % della popolazione autoctona, appare se non altro un paradosso. I cartelli semmai riportano la toponomastica autentica, i nomi originali di sentieri, malghe, rifugi, monti, laghi e di qualsiasi altra realtà ambientale. La toponomastica testimonia l’identità di un territorio che in questo caso è Tirolo. Il bilinguismo non c’entra un fico secco.

Protestare e rivendicare il diritto di aggiungere nomi italianizzati prendendo come scusa una comodità linguistica per chi bazzica le località interessate e non conosce la lingua tedesca, appare davvero una supercazzola perché i nomi di quelle località, percorsi compresi, sono segnati su tutte le mappe. Una noiosa e inutile polemica sollevata come sempre da chi vorrebbe ancora una volta imporre con arroganza quell’offensivo schiaffo tolomeico.

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