Appena dietro l’angolo: Lo smontaggio della nostra identità

Sulla vicenda dell’insegna trilingue „sparita“ dalla stazione ferroviaria di Cividale del Friuli abbiamo pubblicato qualche giorno fa l’intervento di Eros Cisilino, presidente dell’ARLeF – Agjenzie Regjonâl pe Lenghe Furlane (A CIVIDALE, STAZIONE SOLO IN ITALIANO ). Ecco oggi quello dell’amico e lettore Rosario Di Maggio, con alcune considerazioni molto interessanti e soprattutto, condivisibili anche da noi abitanti del Tirolo.
Io per primo so che, al mondo, in Italia e in Friuli ci sono molti e drammatici problemi. Non ve li elenco, li conoscete anche voi e spesso, di alcuni, ne abbiamo più volte discusso. Quello di oggi, invece, può apparire una inezia, specie se osservato superficialmente. Spero di convincervi che così non è.
Succede che a Cividale del Friuli, zona linguistica particolarmente interessante, incontro e sovrapposizione di lingue italiana, friulana e slovena, zona per questo tutelata, la segnaletica indicante la stazione ferroviaria sia stata recentemente sostituita. E, per indicazione di qualche solerte funzionario, il trilinguismo sia svanito, sostituito da un categorico “Cividale”. Quindi, non solo una mancanza di rispetto alle minoranze linguistiche, ma anche uno strafalcione in lingua italiana, dato che la denominazione corretta sarebbe, appunto, “Cividale del Friuli”.
Poca cosa, direte voi. Abbiamo, appunto, altri problemi.
Invece, chi pensasse che questa è una sciocchezza, dovrebbe fermarsi a rifletterci su; sul significato della toponomastica, sulla storia che lega quel territorio al toponimo, su cosa significa, per una terra di frontiera, il multilinguismo e la ricchezza che ne può derivare. Che la tendenza generale sia quella di semplificare tutto, per renderci la vita facile come quella dei bimbi, ne abbiamo già parlato e scritto. Nella migliore delle ipotesi, l’errore della segnaletica è proprio questo: uggia e fastidio verso quello che appare inutilmente complicato. Una fatica mentale risparmiata; un percorso al termine del quale chiameremo tutto, indifferentemente “coso” e “cosa”. Proprio come i bimbi.
La faccenda, in realtà, ha risvolti molto delicati e importanti; dietro i toponomi, ci sono persone, con la loro specifica e peculiare identità. Cambiare i toponomi è stata esattamente la prima decisione dello Stato sabaudo, all’indomani della conquista delle terre “irredente”, nel 1918. La necessità di cancellare ogni traccia di mezzo millennio di Storia non italiana, per sostenere la retorica risorgimentale, ottima a camuffare una politica d’espansione militare aggressiva e, come nel marketing, trasformarla in operazione pubblicitaria di successo. I paese Friulani e Sloveni annessi al Regno d’Italia hanno subito, prima di tutto, questa aggressione linguistica; per finire subito dopo, nel ventennio fascista, a patire una violentissima azione di italianizzazione forzata.
Questo è successo, qui da noi, in Friuli.
Un cartello sciagurato e sbagliato rientra perfettamente in questa logica, con modi più ipocriti, più suadenti, e apparentemente meno violenti. Imporre un’identità a chi, l’identità, ce l’ha già da secoli se non da un millennio. Imporre una nuova mentalità, una nuova logica, nuove tradizioni e nuove usanze, sradicando la memoria della diversità.
No, cari amici, questa faccenda non è proprio una faccenda secondaria. Non è un problema ridicolo, davanti alle guerre e alle tragedie del mondo. Nel suo piccolo, è violenza all’anima della gente. E ciò che duole e spiace, più di tutto, che Friulani e Sloveni paiono non accorgersi del processo di mutazione identitaria a cui sono sottoposti. Alla manifestazione, qualche giorno fa alla stazione di Cividale del Friuli, eravamo pochi. Troppo pochi e troppo vecchi.
Le radici si logorano e si spezzano, l’albero secolare si schianta.
Curiosamente, troviamo tempo per difendere tutte le minoranze oppresse del globo; ed è giusto. Ma assistiamo distrattamente allo smontaggio sistematico della nostra identità, inconsapevoli e ignari testimoni. O forse, dovrei dire, ignavi testimoni.






