Briciole di Memoria: Santo, la storia continua…

Quando nella rubrica Briciole di Memoria qui su UT24, raccontiamo le storie dei nostri nonni e bisnonni che abbiamo cercato di ricostruire frugando nei documenti rimasti negli archivi, lo facciamo con l’intento di contribuire, nel nostro piccolo, ad accendere qualche “lume di candela” sul nostro passato e sulla nostra storia. La speranza più grande è quella di riuscire in qualche modo a raggiungere i discendenti dei nostri soldati caduti per scoprire, raccontandoseli a vicenda, altri dettagli, altre notizie, altri momenti di quelle vite, troppo spesso dimenticate.
Talvolta accade un „piccolo miracolo“, come quello avvenuto con la storia di Santo Simonetti da Saccone di Brentonico. Qualche giorno dopo la pubblicazione dell’articolo BRICIOLE DI MEMORIA, SANTO CHE DIFENDEVA LA HEIMAT, siamo entrati in contatto con la signora Lucilla Simonetti: Santo era suo nonno, padre di suo padre. La signora Lucilla, ora in pensione dopo aver gestito per tanti anni il bar del paese, ha aperto per noi il cassetto dei ricordi di famiglia, narrandoci altri dettagli sulla vita dei nonni Santo e Maria, e su quella del loro figlio più giovane, lo zio Sigisfredo. E‘ stata una lunga conversazione, durante la quale abbiamo ripercorso insieme anni e anni della nostra Storia. Una telefonata che ha emozionato profondamente sia lei che noi, al punto che ci siamo ripromesse di sentirci ancora e magari di incontrarci di persona.
Santo, Maria, i loro figli
Il 18 maggio 1916 le famiglie di Saccone e dell’Altopiano devono lasciare il paese. L’esodo avviene scendendo dalla mulattiera che da Saccone va verso il comune di Ala. La discesa è drammatica, quasi impossibile da immaginare, difficilissima da raccontare.
Fra i profughi c’è anche Maria. Con lei ci sono i cinque figli: Bonaventura, il più grande, ha undici anni; Sigisfredo, l’ultimo nato, neanche due anni e mezzo. E poi c’è Bonaventura, padre di Santo, più che ottantenne e in cattive condizioni di salute. I profughi, circa 1700 persone, vengono ospitati temporaneamente ad Avio, in attesa di essere trasportati in ferrovia nelle varie località italiane alle quali sono stati assegnati dal Ministero dell’Interno. Il vecchio Bonaventura non parte nemmeno: ricoverato all’ospedale di Avio, vi muore l’11 febbraio 1917 e „viene sepolto alla Pieve il giorno 20“.
Ma non è il solo: molti profughi non faranno più ritorno, tanti sono i deceduti durante gli anni di esilio, disperatamente lontani dalle loro case e dai loro paesi, famiglie e persone divise e smembrate nei loro affetti e certezze, ospitate in luoghi con quotidianità e culture completamente estranee alla loro. Finalmente la guerra finisce, e chi è sopravvissuto torna a casa: i paesi sono distrutti, i campi ed i boschi stravolti, la miseria è immensa. Ma bisogna andare avanti. Lo fa Maria, che prova a rimettere insieme i pezzi della sua vita; e lo fanno i quattro ragazzi Simonetti (uno è morto in Molise da profugo): Bonaventura, il più grande, si sposa prestissimo, a poco più di vent’anni, e con la moglie Carmela fa da famiglia ai fratelli.
Sigisfredo e Santina
In paese però non si riesce a vivere, si sopravvive a malapena. Così nel 1929, a sedici anni, Sigisfredo decide di partire. Con lo zaino di tela sulle spalle, una manciata di lire ben nascoste addosso, arriva a Laas, dove fa il „bocia“ nelle cave di marmo; poi sul Ritten, a scavare gallerie, infine su in Passeier, al Timmelsjoch, a costruire fortificazioni. E‘ forte, ma soprattutto è intelligente e capace, „vede“ il lavoro; presto diviene caposquadra.
Passano gli anni, Sigisfredo è ormai un uomo. Viene mandato a combattere in Etiopia; dopo il congedo, lo troviamo impegnato con mansioni superiori, nella costruzione di una strada militare in Friuli: qui conosce Santa Tosoni, che diventerà sua moglie, e che lo accompagnerà e sosterrà per tutta la vita. E poi arriva una nuova guerra a sconvolgere la vita di tutti: dopo aver portato la famiglia a Saccone, Sigisfredo parte soldato; rientra in paese nel 1943, è arruolato nella Todt, dove mette la sua esperienza a servizio di chi lavora con lui: coordina gli uomini, molti dei quali sono paesani, risolve problemi, appiana divergenze, quasi a fare da cuscinetto e da paracadute fra la sua gente e gli ufficiali tedeschi.
Anche dopo la guerra, Sigisfredo si dà da fare per la sua famiglia e i suoi paesani: organizza il taglio e la vendita del legname nei boschi dell’altipiano, la trasformazione del legno in carbone; lavora alla costruzione della diga di Santa Giustina, è capocantiere nella realizzazione della galleria Mori-Campagnola; poi ci sono le gallerie dell’autostrada del Sole, il raddoppio della ferrovia Battipaglia-Reggio Calabria… Ovunque Sigisfredo si distingue per le sue capacità; con lui si sposta l’intera famiglia, spesso lo seguono i compaesani, per lavorare sotto la sua guida.
Una volta in pensione, torna al paese e si costruisce una casa a Brentonico; ma non si riposa, anzi, continua a darsi da fare, per la famiglia e per la comunità. Lo ferma soltanto la morte, che lo sorprende a ottantanni, ancora lucido e dritto come un fuso.
Grazie a...
Per questa seconda parte della storia di Santo Simonetti e della sua famiglia, cominciamo con il dire „Grazie!“ a Nicola Perini e Quinto Canali, per il loro fondamentale „passaparola“.
Ma soprattutto ringraziamo di cuore la signora Lucilla Simonetti per averci contattato, per tutto quello che ci ha raccontato e per averci messo a disposizione i suoi ricordi, una serie di appunti di famiglia, oltre ad un estratto pubblicato anni fa dalla rivista „I Quattro Vicariati”, curato da Luigi Zenatti.






