L’Aquila, stemma di Trento e provincia (17)

Il diploma originale col quale Giovanni di Lussemburgo, re di Boemia, concedeva nel 1339 a Nicolò di Bruna (l’attuale Brno), Vescovo di Trento, lo stemma di s. Venceslao fu per un periodo irreperibile. Il ritrovamento del diploma è avvenuto del tuto casualmente e dopo lunghe e assidue ricerche d’archivio. Nella primavera del 1971, consultando i documenti del Principato vescovile di Trento, conservati nell’archivio di Stato di Trento alla ricerca di notizie intorno a Filippo Bonacolsi frate francescano vescovo di Trento dal 1289 al 1303, nell’aprire una delle buste contenenti documenti di quel periodo tanto burrascoso per la storia della nostro territorio, si è avuto la gradita sorpresa di avere fra le mani e di ammirare non senza una certa emozione il diploma originale col quale Giovanni re di Boemia pregato dal vescovo Nicolò di Bruna concedeva a lui, ai suoi successori, alla chiesa di Trento, le insegne di s. Venceslao.
Nel dubbio se la città di Trento abbia avuto come sigillo tre monti sormontati da tre croci, si è ricordato che sono abbastanza frequenti nella provincia di Trento gli stemmi di Comuni formati da uno o più monti sormontati da una o più croci. Fra questi va ricordato il comune di Meano che ha appunto uno stemma analogo a quello inciso sull’antico cippo di confine fra Trento e Villazzano con il supposto stemma antico di Trento. Non è da escludere la possibilità che quello stemma sia stato tolto da un antico cippo di confine, esistente anticamente fra Trento e Meano, che poteva trovarsi sulla strada che passa sul fianco del monte Calisio, e utilizzato come sigillo e stemma di Meano, quando la città aveva già adottato come insegna l’aquila di Boemia. Ma tralasciamo ora il problema dell’antico stemma della città di Trento per parlare dello stemma e del sigillo che la città stessa adottò dopo il 1339.
Il diploma conferiva al principato di Trento e quindi anche alla città , che per prima ne fu adornata e onorata, un emblema caratteristico, non comune e degno d’ogni onore e cioè l’aquila nera con gli artigli, il becco, le fasce coi trifogli d’oro e tutta circondata di fiamme. Si può osservare come questo venne di volta in volta riprodotto, interpretato, modificato e trasformato lungo i secoli.
Certamente non è la stessa cosa come dipingere uno stemma sopra uno scudo oppure su di una parete o scolpirlo nella pietra. Così come pure inciderlo sopra un sigillo, o su di una moneta, richiedeva maggiori difficoltà di attuazione e interpretazione che non disegnarlo su un messale. (continua)






