Un libro al mese: „Ero un bullo“ – 3

Il brigadiere Stara era tra i più anziani della penitenziaria in servizio al Beccaria. Si occupava della M.O.F.: “Manutenzione Ordinaria Fabbricati”. Cioè di tutti quei piccoli lavori indispensabili al buon funzionamento del carcere: tinteggiatura, riordino dei magazzini, pulizie, taglio dell’erba, ritiro della biancheria sporca e consegna di quella pulita, cambio delle lenzuola… I detenuti venivano regolarmente pagati: cinque euro l’ora, versati nel peculio, il fondo a disposizione di ciascun detenuto per l’acquisto di prodotti per l’igiene, cibo o bevande scelti entro la lista di quelli ammessi. Ma soprattutto i “lavoranti” (così venivano chiamati) potevano muoversi: avevano contatti con i fornitori, con i diversi servizi interni al penitenziario e svolgevano tante attività diverse. Era un incarico ambito fra i detenuti e normalmente veniva riservato ai più meritevoli, quelli che si erano distinti per buona condotta.
E Daniel, chiaramente, non era fra questi. A prima vista quella di Angela poteva sembrare una mossa insensata, dettata soltanto dall’esasperazione. Invece così Daniel, smarrito e spaventato, con la voglia di cambiare ma senza sapere che direzione prendere, si era ritrovato davanti proprio quello che gli serviva: la fiducia. Angela, nel momento di maggiore fragilità, quando il suo cuore era a pezzi per la perdita del padre, aveva compiuto la scelta più coraggiosa: dare fiducia a Daniel. Perché sapeva che in ogni ragazzo, anche nel più “cattivo”, c’è sempre un angolo incontaminato in cui si può trovare la nostalgia del bene. Ed era giunta l’ora di farla riemergere in superficie
Quando si trovò davanti Daniel, il brigadiere Stara lo prese in disparte e gli disse: «Nella nostra squadra non esiste “io”, “io”, “io”. Esiste solo “NOI”. Tutti per uno, uno per tutti: come i moschettieri del re. Chi fa lo stupido danneggia il gruppo, oltre che se stesso».
E Daniel apprese ben presto che diceva sul serio. Stara era una persona solida, che non lasciava spazio all’ambiguità. Di quelle persone che semplicemente fanno ciò che dicono e sono impossibili da manipolare. Ed era anche una persona semplice, pacata e tranquilla. La sua sola presenza trasmetteva ai ragazzi un senso di serenità.
L’iniziativa della M.O.F. era venuta in mente al brigadiere qualche anno prima e l’aveva proposta al direttore del carcere, che aveva accettato di buon grado dato che avrebbe anche permesso di risparmiare qualche soldo. Ma non tutti erano stati contenti. C’era chi sollevava delle obiezioni:
«E se qualcuno si fa male? Se qualcosa va storto, chi se l’assume la responsabilità?»
Ma Stara non perdeva la sua granitica compostezza: «Se qualcosa va storto, la responsabilità è mia. Come possiamo insegnare ai ragazzi ad assumersi le proprie responsabilità se noi per primi le scansiamo di continuo? Dobbiamo dare il buon esempio. I ragazzi spesso non ci ascoltano, ma sempre ci osservano».
«Sì, ma il regolamento…»
«È ora di smetterla di nascondersi dietro le norme, di usarle come pretesto per non fare niente. Altrimenti in che modo vogliamo cambiare le cose?»
Non mancavano gli invidiosi, ma qualunque pettegolezzo svaniva di fronte alla realtà: Stara lo faceva per il bene dei ragazzi.
In quel periodo Daniel imparò dal brigadiere l’amore per la precisione. Stara non sopportava la trascuratezza e voleva trasmettere alla sua squadra l’importanza di un lavoro ben fatto, quindi cercava sempre di responsabilizzare. Se, per esempio, c’era da tinteggiare una sezione, affidava una stanza a ogni ragazzo: «A questa stanza ci devi pensare tu. Prenditene cura meglio che puoi». E loro facevano a gara a chi dipingeva meglio. Alla fine del pomeriggio si ritrovavano a contemplare insieme il risultato del loro lavoro.
Daniel rientrava in sezione stanchissimo ma felice. Non aveva più bisogno di fare casino e, soprattutto, la noia era svanita: le sue giornate avevano finalmente una direzione, una meta. Ogni mattina si svegliava sapendo che aveva un compito ad attenderlo.
E‘ giovane, Andrea Franzoso, ma nei suoi cinquant’anni scarsi di vita ha già preso diverse legnate nei denti, per aver scelto di non tacere, di denunciare il malaffare e la corruzione. Per questo ha perso il lavoro, ma se ne è letteralmente inventato un altro: ora scrive libri dove racconta le sue esperienze, dove spiega quanto siano importanti la coerenza, l’onestà, la giustizia e l’impegno civico, quanto nella vita contino soprattutto i valori.
Nato in Veneto e vissuto a Milano, si è trasferito in Sudtirolo dove, dice, sente di aver trovato il suo posto, di essere arrivato a casa.
Il suo libro „Ero un bullo“ Andrea Franzoso racconta la storia di Daniel, un ragazzo „difficile“, che vive in un ambiente familiare carico di tensioni, nella periferia di una grande città. Convinto che l’unico modo per guadagnarsi il rispetto sia incutere paura, non teme niente, neanche di fare un colpo in banca. E le rapine arriva a farle per davvero, finché finisce in un carcere minorile. È considerato un ragazzo perduto, irrecuperabile. Ma una volta toccato il fondo, per Daniel arriva la svolta.
Il libro di Andrea Franzoso affronta un tema difficile, quello del bullismo giovanile, ma scorre veloce, emozionante e sincero; dovrebbe essere letto da tanti, ragazzi, genitori, educatori. Infatto l’autore lo „porta in giro“, nelle scuole, nei teatri, nelle comunità; e per raggiungere ancora più persone, „Ero un bullo“ è diventato anche uno spettacolo teatrale.






