von mas 24.05.2025 18:30 Uhr

Un libro al mese – Alba Trentina 1917 – 4°

„Alba Trentina“ è il titolo della rivista fondata nel 1917  a Rovigo da Don Antonio Rossaro, il sacerdote roveretano „ammiratore entusiastico dell’Italia risorgimentale, fervente interventista impegnato,  dopo l’entrata in guerra dell’Italia, nella propaganda patriottica e nella promozione di iniziative celebrative“.  La rivista è scritta quasi per intero da lui, ma ospita anche altri interventi, che ovviamente seguono la stessa linea di pensiero.  Oggi ecco quello di Ettore Tolomei, che tenta di spiegare ai lettori „I nuovi spiriti delle valli dell’Alto Adige

Particolare dalla copertina della rivista

Molti, pure fermamente convinti della necessità assoluta di compiere l’unità statale della Pensola con la conquista dell’Alto Adige  (NdR: in corsivo nel testo originale), non sanno vincere le loro inquietudini pensando alla Vandea tirolese che dovremo annettervi, od anche temendo un indomani d’irridentismo austriaco… Preoccupazioni sbagliate o esagerate!

La guerra ha sconvolto tante cose: rinnoverà le genti anche lassù in quel viluppo di giogaie e di riposte vallate che è l’Alto Adige. Il soffio della libertà che arriva, sta per disperdere tutto il vecchiume accumulato in secoli di pregiudizi, l’idolatria stupida per ciò che parve fino a ieri tabù.  Si stenta veramente a spiegarsi il feticismo tirolese per gli Asburgo; quest’animalesca servilità verso un padrone lontano e invisibile, quest’adorazione senza limiti per la vecchia carcassa grave di delitti che la nemesi storica avrebbe  dovuto far assistere allo sfacelo suo e dell’Austria. Comunque, allorchè sventoleranno sul Brennero le bandiere tricolori al sole d’Italia, il passato non sarà che livida storia, presto lontana.

(…)

 

In mezzo alla popolazione tirolese, fiaccata e assottigliata dalla lunga guera, riprenderanno vigore i nuclei rurali nostri. Romani, veneti e italiani spiriti rinnovino l’umile gente alpestre sulle porte della Patria!

(…)

Chi ha visitato Trento in questi ultimi anni, ricorda commosso l’incrollabile tenacia e i fervidi impulsi degli antichi e nuovi difensori di nostra fede, ma anche ripensa l’apatia di tanti, risente l‘impressione di gelo nel silenzio dei pubblici ritrovi, il peso insopportabile dell’oltracotanza straniera e dell’avvilimento nostro, per cui all’entrar nel paese si provava una stretta al cuore, e all’uscirne si salutava con entusiamso la pianura e la libertà.

Chi poi visitò Bolzano e gli altri luoghi dell’Alto Adige mistilingue, vi trovò il nostro popolo curvo sotto la dominazione straniera, non avendo né scuole, né chiesa, né diritto alcuno; immemore della patria, come la patria era d’esso inconsapevole. Quanti erano, là, gl’Italiani, che l’italiano parlassero forte, a testa alta, senza spavalderia ma senza tema, come uomini liberi in terra d’Italia?  I più fingevano d’ignorare la propria lingua, o l’usavano pavidi come servi a mala pena tollerati.

Così non era a’ tempi dei nostri vecchi, quando ai fluttuanti confini delle due stirpi, di fronte al tirolese zotico, incolto, ottuso, l’italiano agile e industre sentiva la sua naturale superiorità e piacevolmente la manifestava con salaci storie e con motti arguti. Poi subentrò un po’ alla volta, dopo il trionfo delle armi prussiane, alta ed esagerata opinione della coltura, della potenza e della ricchezza tedesca; da ultimo le cose eran  giunte al punto che il resistere al germanesimo pareva disperato a Trento, e l’assalirlo a Bolzano follia.

 

La guerra ha smascherato, di sotto all’orpello d’una coltura pedantesca, l’insita barbarie della stirpe tedesca, d’una stirpe ch’è sempre,  come ai tempi di Dante, duemila anni indietro di noi sulla via della civiltà.

L’umanità, considerando le raccapriccianti prove d’atrocità dei tedeschi, ormai li ripudia e li mette al bando dei popoli civili. Ed essi ci ricambiamo con tutto l’odio di una razza inferiore.

Nondimeno noi abbiamo fede nell’avvenire. Noi crediamo anche ora, come prima della guerra, che l’Italia deve insiediarsi a Bolzano quale dominatrice buona, stendendo sui nuovi cittadini la mano amica.

L’anima della Nazione italiana entrerà nell’Alto Adige e la conquista sarà completa.

Dall’Enciclopedia Treccani:

Don Antonio Rossaro nacque a Rovereto  nel 1883. Frequentate nella città natale le scuole elementari, nel 1897 decise di diventare sacerdote. Studiò in Italia,  in particolare teologia a Rovigo dove fu consacrato sacerdote il 1° aprile 1911. Fu ammiratore entusiastico dell’Italia risorgimentale; quando si scatenò il grande conflitto europeo, parteggiò per l’intervento  dell’Italia e dopo il maggio 1915 fu impegnato nella propaganda patriottica filoitaliana. Lo strumento principale di questa attività fu la rivista Alba trentina, da lui fondata e diretta; nelle sue pagine, ricche di testimonianze sulle esperienze degli ‘irredenti’ nella guerra in corso, Rossaro manifestò una spiccata vocazione all’ideazione di monumenti e ritualità civili.

La sua azione fu instancabile nella promozione dei segni memoriali che costellano Rovereto: una fitta mappa di monumenti, lapidi, opere d’arte, in massima parte ispirati alla volontà di ribadire il carattere nazionale italiano della città ‘redenta’. Ma la creatura prediletta, la «figlia del suo cuore», fu la Campana dei Caduti,  inaugurata il 4 ottobre 1925 alla presenza di Vittorio Emanuele III

Rossaro era nazionalista e fascista, nel senso di un’adesione piena e militante. A Mussolini fu fedele fino alla fine del regime,  pir se contrario all’alleanza con la Germania nazista.  La nuova, solenne inaugurazione della Campana dopo la rifusione (26 maggio 1940) fu contrassegnata fatalmente da discorsi ufficiali che inneggiavano all’imminente intervento italiano nel secondo conflitto mondiale. In quell’occasione Rossaro scelse di non leggere il messaggio inviato dalla segreteria di Stato a nome di Pio XII, che esortava a pregare «perché altre tombe non si schiudano ed altri ossari non si erigano»: un episodio che rappresenta in modo esemplare le contraddizioni presenti fin dall’origine nell’ispirazione del monumento, universale e pacifica ma solo nei limiti definiti dalla compatibilità con gli orizzonti della nuova Roma imperiale mussoliniana 

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