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Un libro al mese – Alba Trentina 1917 – 2°

„Alba Trentina“ è il titolo della rivista fondata nel 1917  a Rovigo da Don Antonio Rossaro, il sacerdote roveretano „ammiratore entusiastico dell’Italia risorgimentale, fervente interventista impegnato,  dopo l’entrata in guerra dell’Italia, nella propaganda patriottica e nella promozione di iniziative celebrative“.  La rivista, scritta quasi per intero da lui e pubblicata fino al 1926, tratta in particolare la partecipazione degli irredentisti trentini alla Prima Guerra Mondiale, celebrando le figure dei roveretani Chiesa e Filzi.  Ecco un secondo stralcio, sempre dal primo anno della rivista: „La Legione Trentina nel 1848“

Particolare dalla copertina della rivista

Nel 1848, la luminosa primavera della patria nostra ebbe la sua eco travolgente anche nei più segreti recessi dell’Alpi trentine.  Riva, l’azzurra reginetta del Garda, Ala fedele avanguardia trentina, Rovereto sussultante nelle sue memorie veneziane, Levico eletta madre di ardenti patritti, miravano ansiose a Trento, donde dovea partire la scintilla dell’immane incendio… Tuttavia l’entusiasmo fiammante delle cittè lombarde invase tutte le vallate trentine. Dovunque coccarde e bandiere tricolori; dovunque grida di “viva l’Italia”, “Viva Pio IX” ..

Da Vienna scendenvano torbide notizie di rivolta: da Milano, da Brescia, da Venezia risalivano con fragorosi scalpitii di cavalli fuggenti, i rumori dei primi moti rivoluzionari. Ma le condizioni del Trentino erano ben diverse da quelel città della Lombardia e della Venezia. Le forze militari che si ritiravano da queste, si fermavano nel Trentino e lo riempivano di minacce, di terrori e divendette (…)

Molti audaci trentini scendevano a Brescia a Como, a Milano, per ingrossare le file degli eserciti liberatori. Era uno spettacolo commovente vedere con quanto entusiasmo disertavano dalle aborrite file dell’Austria…

Brescia ospitava in quel tempo i più valorosi patriotti trentini. Capitanava la campagna insurrezionale Giacomo Marchetti, mente organizzatrice,  cuor riboccante d’entusiasmo. Un giorno comunicò ai suo amici l’idea che il Trentino dovrebbe partecipare alla santa guerra liberatrce. L’idea delineata sommariamente nel conceto d’una compagnia di volontari fu accolta entusiasticamente.  Si pensò a un battaglione, a una colonna di volontari; si venne più al concreto e la si denominò “Legione Trentina” (…)

Non deve arrecare meraviglia se la Legione trentina, che al 7 maggio era composta di soli 43 volontari, in pochi giorni sal a 220 e raggiunge poi i 250. Cifra confortante, tanto più se osserviamo che i nostri legionalri appartenevano in gran parte alle umili classi rurali. Ciò sta contro quelli che si ostinano a tenere che l’irredentismo trentino era ed è  relegato nelle sole classi privilegiate    (…)

La vigilia rossa della guerra fiammeggeva sull’orizzonte d’Italia: la Legione trentina fremeva di scendere contro il nemico… Comincia la sua mobilitazione il 22 giugo, lasciando fra entusiaastiche dimostrazion di giubilio le caserme di Brescia e movendo al suo campo d’azione ch’era a Caffaro. L’entusiamso però veniva ben presto frenato dall’inerzia a cui quei baldi gioani erano condannati e più ancora dalle comfuse notizie come la sconfitta di Custova, la resa di Milano.

I trentini, con l’angoscia nel cuore, lasciano le loro sfavillanti creste e seguno le truppe lombarde… il 23 agosto giungono a Novare, ove li ragiunge la noizia dell’armistizio. E così, tra delusioni ed amarezza, si chiude la prima pagina della nostra Legione  (…)

 

Garibaldi, nella fiamma della sua camicia rossa, passa attraverso le folle plaudenti, messaggio della nuova Italia. Le disperate relique della Legione Trentina sono attratte dallo splendore della gloria … compongno un battaglione … del Reggimento bersaglieri Lombardi. La Legione trentina non esiste più d nome ma rivive di fatto… Sono a Velletri a Rocca d’Arce, presso le Mura Aureliane … In quella storica campagna perirono i volontari trentini Edoarddo Negri, Francesco Matedi, Pietro Bertelli, Pietro Siori.

Il 2 luglio… le due compagnie dei trentini per congedarle. Ma l’anima trentina, fervente italiana, addolorata ma non avvilita, spersa ma non disfatta, segue ancoa la fortuna d’Italia. La missione della nostra Legione non era ancora compiuta…

Dall’Enciclopedia Treccani:

Don Antonio Rossaro nacque a Rovereto  nel 1883. Frequentate nella città natale le scuole elementari, nel 1897 decise di diventare sacerdote. Studiò in Italia,  in particolare teologia a Rovigo dove fu consacrato sacerdote il 1° aprile 1911. Fu ammiratore entusiastico dell’Italia risorgimentale; quando si scatenò il grande conflitto europeo, parteggiò per l’intervento  dell’Italia e dopo il maggio 1915 fu impegnato nella propaganda patriottica filoitaliana. Lo strumento principale di questa attività fu la rivista Alba trentina, da lui fondata e diretta; nelle sue pagine, ricche di testimonianze sulle esperienze degli ‘irredenti’ nella guerra in corso, Rossaro manifestò una spiccata vocazione all’ideazione di monumenti e ritualità civili.

La sua azione fu instancabile nella promozione dei segni memoriali che costellano Rovereto: una fitta mappa di monumenti, lapidi, opere d’arte, in massima parte ispirati alla volontà di ribadire il carattere nazionale italiano della città ‘redenta’. Ma la creatura prediletta, la «figlia del suo cuore», fu la Campana dei Caduti,  inaugurata il 4 ottobre 1925 alla presenza di Vittorio Emanuele III

Rossaro era nazionalista e fascista, nel senso di un’adesione piena e militante. A Mussolini fu fedele fino alla fine del regime,  pir se contrario all’alleanza con la Germania nazista.  La nuova, solenne inaugurazione della Campana dopo la rifusione (26 maggio 1940) fu contrassegnata fatalmente da discorsi ufficiali che inneggiavano all’imminente intervento italiano nel secondo conflitto mondiale. In quell’occasione Rossaro scelse di non leggere il messaggio inviato dalla segreteria di Stato a nome di Pio XII, che esortava a pregare «perché altre tombe non si schiudano ed altri ossari non si erigano»: un episodio che rappresenta in modo esemplare le contraddizioni presenti fin dall’origine nell’ispirazione del monumento, universale e pacifica ma solo nei limiti definiti dalla compatibilità con gli orizzonti della nuova Roma imperiale mussoliniana 

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