von mas 03.04.2025 06:45 Uhr

Briciole di Memoria: Il martirio di Livio Pergol

Per la redazione in lingua tedesca di UT24, Gudrun Kofler ha pubblicato una serie di articoli che descrivono i maltrattamenti e le torture che molti Freiheitskämpfer – arrestati dopo la Feuernacht, la Notte dei Fuochi –  subirono nelle caserme dei carabinieri.  Per essere fermati ed interrogati bastava il sospetto di aver collaborato o sostenuto in qualche modo gli attivisti sudtirolesi.  Alcuni gioni fa ha raccontato la storia di Livio Pergol, commerciante di Lavis.  Ecco oggi la versione in lingua italiana.

Catene ai polsi per i Freiheitskämpfer (Foto Casa Editrice Effekt!)

Il 18 luglio 1961 Livio Pergol, quarantunenne  commerciante originario di Lavis, venne arrestato con l’accusa di aver venduto ad alcuni clienti sudtirolesi delle partite di esplosivo da utilizzare per far saltare i ceppi degli alberi, senza aver verificare che gli acquirenti fossero in possesso delle necessarie autorizzazioni.

Pergol fu portato nella caserma dei carabinieri di Egna, dove fu brutalmente torturato dal tenente Rotellini e dal carabiniere Marras. I terribili dettagli vennero descritti dall’avvocato di Pergol in una lettera datata  27 settembre 1961 e  indirizzata alla sezione di indagine della Corte di Appello di Trento. Eccone alcuni stralci

„Livio Pergol venne arrestato il 18 luglio 1961 alle 13.00, mentre si trovava nel suo appartamento di Lavis.  Come da ordine dei carabinieri, salì su un’automobile, dove si trovava già un uomo in abiti civili, un certo Marras, che iniziò a picchiarlo sulla testa con i pugni. Durante il viaggio, Pergol fu costantemente interrogato da Marras che voleva sapere se avesse venduto del tritolo  a Veronesi. Pergol negò.

Arrivato alla caserma di Egna, il fermato venne sottoposto a maltrattamenti ed abusi terribili oltraggiosi.  Pergol – che ancora negava – venne fatto stendere a terra e tenuto in questa posizione da due carabinieri, mentre il già citato Marras gli schiacciava i muscoli  tra le costole con due attrezzi di ferro, provocandogli dolori fortissimi. I signori della Corte possono rendersene conto da soli, semplicemente stringendo con le dita queste parti del corpo. – scrive l’avvocato Vialli, difensore di Pergol. e continua – Pergol porta ancora i segni di questi maltrattamenti, e il sottoscritto avvocato ha potuto constatarlo de visu durante il suo ultimo colloquio, avvenuto l’11 settembre 1961!

1) Quando Pergol cominciò a sudare e stava per svenire, gli furono tirate addosson bacinelle piene d’acqua, fino a inzupparlo completamente

2) Dovette rimanere a lungo in piedi con le braccia alzate e quando, esausto, tentò di abbassarle, fu preso a pugni, calci e schiaffi in tutte le parti del corpo, compreso lo stomaco.

3) Quattro carabinieri afferrarono Pergol per le mani e per i piedi, lo sollevarono da terra e fecero oscillare il suo corpo avanti e indietro in modo da fargli sbattere la schiena e i lombi contro un cassone di legno posto sotto di lui.

4) Quando Pergol fu talmente stremato da questa tortura da essere sul punto di svenire e si trovava supino sulla cassa con la testa a penzoloni, un tenente dei carabinieri, un certo Rotellini, gli versò in bocca una notevole quantità di acqua contenente sale non disciolto (non semplice acqua salata!) al punto che Pergol credette di soffocare. Quando si sforzl di vomitare l’orribile bevanda, gli scoppiò una vena in fondo alla bocca,  facendogli sputare più volte notevoli quantità di sangue.

5) Oltre ai pugni e ai calci, le cui tracce il sottoscritto ha potuto vedere (i lividi  sulle braccia e erano ancora visibili un mese dopo)  Pergol fu torturato con scosse di corrente elettrica da 4 a 5 volt ai testicoli, alla lingua e alle braccia.

Dopo 18 ore di questo trattamento e dopo una notte insonne senza cibo né bevande,  il 19 luglio 1961 alle 7 del mattino Pergol confessò.

 

 

 

Da quel momento Pergol rimase solo. Visto lo stato in cui si trovava –  che sembrava molto grave –  e visto lo stato di indicibile sporcizia dei suoi vestiti, un carabiniere della stazione di Egna – per pure umanità –  chiamò al telefono la signora Pergol, affinché si recasse  in caserma a trovare il marito, per portargli dei vestiti e confortarlo in qualche modo.

Il giorno 20 la signora Pergol si recò alla stazione dei carabinieri di Egna, dove trovò il marito in uno stato di profonda prostrazione,  coperto di lividi e di  ematomi; soffriva ancora per le torture subite e i suoi vestiti erano in uno stato deplorevole. La signora Pergol riuscì a togliergli la canottiera, le mutande, i pantaloni e la camicia, a brandelli e pieni di macchie: questi abiti sono ora in suo possesso.

Il 21 luglio Pergol fu interrogato dal giudice distrettuale di Egna e confessò quanto sopra, quindi fu trasferito a Trento, dove fu interrogato dal pubblico ministero il 25 luglio 1961. Ripresosi dai maltrattamenti subiti, mise in discussione la confessione del 19 luglio e ritrattò le dichiarazioni rese davanti al magistrato di Egna.“ – conclude l’avvocato Vialli.

Si infrange il muro del silenzio

Il giudice distrettuale di Egna citato nella lettera dell’avvocato, il dottor Luciano Cicciarelli,  notò le deplorevoli condizioni in cui si trovava il detenuto in custodia cautelare e gli chiese di descrivere come fosse stato torturato.  Il magistrato, un uomo corretto, presentò quindi una denuncia contro i carabinieri di Egna alla Procura della Repubblica territorialmente competente, quella di Trento,

Veniva così infranto il muro di silenzio eretto dai pubblici ministeri e dai giudici istruttori sui terribili fatti che stavano avvenendo in Sudtirolo

Le fonti

„Schändung der Menschenwürde in Südtirol“, Serie di quaderni del Mondseer Arbeitskreises, vol. 3 pagina  112 e seguenti. (Walla Max Editore)

Golowitsch, Helmut: „Für die Heimat kein Opfer zu schwer. Folter-Tod-Erniedrigung. Südtirol 1961-1969“ Edizione Südtiroler Zeitgeschichte – Deutschland – Druckerei Brunner. 2009. ISBN: 978-3-941682-00-9.

 

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