Briciole di Memoria: Carlo, l’ultimo Imperatore – 3°
Nel frattempo altri scenari stavano per aprirsi: il 27 agosto del 1916 la Romania, fino ad allora neutrale, dichiarò la guerra agli imperi centrali. Carlo ebbe un importante comando anche in questa occasione, noto come Heeresfront Erzherzog Karl (gruppo di eserciti arciduca Carlo). Fu una guerra breve, condotta in parte anche in zone montuose. La Germania aveva accettato in questa occasione di partecipare a una offensiva comune con l’Austria – Ungheria, offensiva che portò in breve le truppe alleate fino a Bucarest. Carlo si mise in luce in questa occasione per le buone doti di comandante militare fino all’armistizio firmato nel dicembre del 1917 dimostrando poi clemenza nei confronti della casa regnante romena con la firma del trattato di pace nel 1918. La rapida chiusura del conflitto che aveva allontanato il pericolo di una invasione romena in Ungheria fece sì che ci fossero interessanti risvolti di tipo politico per Carlo che in questo periodo riscosse molti consensi dai sudditi e dai politici magiari.
I successi in Romania si chiudono in un momento nel quale Carlo non è più l’erede al trono, ma il nuovo imperatore e re della Duplice Monarchia. Il 21 novembre 1916 era infatti morto Francesco Giuseppe I e l’arciduca Carlo salì al trono assumendo il nome di Karl I (Carlo primo), chiudendo così quella lunga serie di accadimenti che lo trasformarono da remoto erede a capo della casa d’Austria. Seppe distinguersi dai cortigiani anche in questa occasione: fu infatti lui in persona che contrariamente al protocollo accompagnò Katharina Schratt, l’amica e confidente dell’imperatore scelta dalla stessa imperatrice Elisabetta, al letto di morte.
I solenni funerali dedicati all’imperatore Franz Josef I, così ben documentati nei cinegiornali e raccontati da molti scrittori mitteleuropei, ci offrono ancora una volto lo spunto per estrapolare una singola immagine: infrangendo ancora il protocollo Carlo, la moglie Zita e il figlio Otto seguono a piedi la grande carrozza funebre; rappresentano in quel momento il futuro della monarchia, mostrando, senza ostentazione alcuna, se stessi e il giovane erede; Carlo è in uniforme, con il berretto sotto al braccio, Zita è vestita a lutto e pesantemente velata: nelle fotografie il volto traspare appena. Tra i due Otto, il primogenito della coppia nato il 20 novembre 1912, vestito di bianco e con lunghi capelli chiari e ricci. Anche lui tiene il berretto in mano. L’aspetto del principe è ben noto a Vienna e nel resto del paese: esisteva infatti un patronato destinato alla raccolta di fondi per scopi benefici. Il fondo distribuiva molti oggetti con l’immagine del principe.
Incredibilmente lo stesso Otto d’Asburgo, parlamentare europeo, seguì nel 1989 ancora una volta la stessa carrozza sullo stesso percorso, in occasione dei solenni funerali tributati alla madre Zita tra il 30 marzo ed il primo aprile del 1989.
Termina con la salita al trono un periodo della vita di Carlo, terminano i suoi impegni quale comandante di unità sul campo. I nuovi doveri impongono diverse prese di posizione, scelte da fare, una linea di condotta da seguire. Un compito non facile succedendo a Francesco Giuseppe, personaggio che aveva segnato decisamente un’epoca: si pensi che al momento della sua morte tutti gli ufficiali in servizio e quelli della riserva avevano servito sotto di lui. C’era una grande consapevolezza all’epoca tra gli intellettuali di spicco di come la morte del vecchio imperatore segnasse anche una netta cesura nella storia austriaca.
Carlo fece da subito alcune scelte: il 2 dicembre 1916 assunse il comando delle forze armate, per poi destituire il 1 marzo 1917 Conrad von Hötzendorf dal suo ruolo di capo di stato maggiore nominandolo al contempo comandante del gruppo di armate dislocate in Tirolo; questa destituzione fu accettata dal Feldmaresciallo con dignità e senso del dovere ma fu un grave errore dato che tutti gli ufficiali avevano studiato tattica sui testi (Zum Studium der Taktik) scritti da Conrad, e tutti i militari (Die Gefechtausbildung der Infanterie) erano stati istruiti secondo le sue direttive; l’esercito era in pratica fidelizzato, diremmo oggi, a Conrad von Hötzendorf.
Il desiderio di svecchiare in qualche modo l’apparato statale e di dare una nuova direzione a quello militare non era forse sbagliato, ma di certo il tentativo avveniva nel momento peggiore possibile. La guerra in corso richiedeva molta fermezza, il tempo della pietà era ormai morto. Conrad von Hötzendorf era un innovatore e solo in anni recenti la storiografia gli ha ridato quei meriti che indubbiamente aveva, pur nei limiti comuni a tutti i comandanti militari dell’epoca.
Carlo scelse quale nuovo capo di stato maggiore Arthur Arz von Straußenburg e volle come capo dell’ufficio operazioni del AOK Alfred Georg Freiherr von Waldstätten, già suo personale consigliere sulle questioni militari. Una scelta che si dimostrò poco oculata anche dal punto di vista della collaborazione con l’OHL (alto comando) germanico, la cui stima per Conrad era ancora immutata.
Carlo decise di essere vicino ai soldati e per questo fece numerosissimi viaggi al fronte portando sempre con se il nuovo capo di stato maggiore, che rimaneva così scollegato per giorni dagli avvenimenti sui diversi fronti lasciando al suo capo delle operazioni il compito di prendere le decisioni più urgenti, cosa che non sempre accadeva o accadeva con il necessario tempismo.
Dalla sua salita al trono Carlo intraprese 56 viaggi dei quali 30 in direzione dei fronti di guerra, interrompendo così una più che necessaria azione di comando anche in momenti delicati, come lamenta anche un passo in Österreich – Ungarns letzter Krieg per quanto riguarda la continuazione dell’offensiva di Caporetto e il forzamento del Piave (battaglia di Zenson): “…le successive decisioni non vennero in alcun modo facilitate dal fatto che il capo di stato maggiore si trattenesse dal 5 al 18 novembre a Trieste al seguito dell’imperatore prendendo parte a quotidiane visite alle truppe…”
I giorni della battaglia di Caporetto videro anche il massiccio uso dei gas asfissianti nella conca di Plezzo; credo sia interessante osservare che i documenti testimoniano che Francesco Giuseppe si oppose all’uso del gas venefico quando era in preparazione l’attacco dal Monte San Michele, nel giugno del 1916. Carlo, né come erede al trono né poi mai come imperatore e re si interessò della cosa accettando il fatto che il gas fosse ormai di uso comune e ben conoscendo le conseguenze di un attacco con le armi chimiche. Un dato che lascia perplessi visti altri suoi atteggiamenti nei confronti della guerra o della disciplina militare.
Volle eliminare le punizioni corporali come il celebre Anbinden, punizione che vedeva il colpevole con le mani legate basse dietro alla schiena, appeso a un albero con le punte dei piedi a sfiorare il terreno. Conobbe momenti di forte irritazione, come quando dovette insistere per far cambiare i nomi forzatamente germanizzati in certi territori italiani occupati.
Per quanto le armate dell’Austria – Ungheria fossero nel 1918 schierate tutte in territorio nemico occupato, per quanto la Russia fosse ormai fuori gioco, Carlo commise nel giugno del 1918 una ulteriore leggerezza nei momenti della preparazione della offensiva di giugno, nota il Italia come Battaglia del Solstizio. Non seppe infatti tener testa a Conrad e a Boroevic lasciando credere a ognuno che l’offensiva principale sarebbe stata quella scatenata sul loro fronte, né il capo di stato maggiore seppe consigliarlo o portarlo ad una scelta tatticamente corretta; nacquero così tre operazioni distinte e slegate, dette Radetzky, Lawine e Albrecht. Anziché concentrare gli sforzi su di un unico punto, le truppe ancora fiduciose ancorché affamate vennero mandate a morire contro obiettivi impossibili ben noti ai servizi informativi italiani. Solo sul fronte del Piave ci fu un successo parziale con l’occupazione del Montello ma ancora una volta Carlo stesso fermò ogni possibilità di continuazione della avanzata, adducendo motivi umanitari che in realtà costarono la vita a molti, costretti a ripassare il fiume sotto al tiro delle artiglierie dell’Intesa.
Di certo politicamente non molto capace come dimostrò in occasione dei tentativi di pace separata, noti come Sixtusaffaire, che portarono solo al suo discredito nei confronti dello sgradito alleato germanico e a una gogna mediatica montata dai francesi; o il suo ultimo, tragico errore: il manifesto di ottobre 1918 nel quale parlava di una nuova federazione tra i popoli (della Cisleithania), con l’unico risultato di legittimare involontariamente i vari comitati nazionali all’estero accelerando così la disgregazione della monarchia.
Un personaggio controverso, Carlo I, inadatto ai tempi nei quali si trovò a vivere e a regnare. Forse un innovatore, ma i suoi tentativi in tempo di guerra giunsero nei momenti e nei modi peggiori.
Si giunse così alla dissoluzione dell’esercito sui vari fronti di guerra, all’armistizio tra il Regno d’Italia e l’Austria – Ungheria, armistizio che annunciato ai due contendenti in modi e tempi diversi permise agli italiani una avanzata in profondità e la conseguente cattura di centinaia di migliaia di prigionieri che si credevano sulla via di casa.
Anche su questi fatti le versioni si sprecano: chi vede una precisa volontà italiana nel ritardare l’annuncio dell’armistizio, chi sostiene che Vienna stessa temesse il rientro in Austria di sudditi stanchi si ma potenzialmente fedeli agli Asburgo. Noti i tentativi di Boroevic di portare le sue armate, ancora ordinate anche dopo la ritirata dal Piave – Tagliamento alla capitale, frustrati però dalle ambigue risposte dell’imperatore Carlo che rispose ai telegrammi citando i meriti di Boroevic in guerra e futuri ringraziamenti, ma non la situazione di quei giorni. In questo alcuni autori vedono la buona volontà di Carlo di voler evitare ulteriori sanguinosi scontri tra truppe ben addestrate e le forze rivoluzionarie. Citando Ernst Bauer: “… più volte l’Imperatore si trovò in circostanze analoghe, ed in ogni occasione egli si oppose alla violenza, anche contro gli interessi della Corona…”
La sera del 11 novembre 1918 la famiglia imperiale lasciò la residenza di Schönbrunn in una atmosfera da tregenda. I cadetti della scuola militare di Wiener Neustadt sfilavano per la città, con l’intento di proteggere la dinastia, il militi della nuova Volkswehr prestavano un timido servizio, non certi degli sviluppi della situazione. Viene proclamata la nuova Repubblica, che viene chiamata austro – tedesca, anticipando così i disegni di una annessione alla Germania, sempre osteggiata da gran parte della popolazione austriaca e dalla casa d’Austria. Il proclama firmato da Carlo il giorno stesso non faceva che sancire uno stato di fatto: “…dal giorno della mia salita al trono mi sono incessantemente sforzato di trarre i miei popoli dagli orrori di una guerra, del cui inizio non porto alcuna colpa… riconosco fin d’ora le decisioni che l’Austria tedesca prenderà per la sua futura forma di stato… la felicità dei miei popoli fu dall’inizio lo scopo dei miei più vivi desideri. Soltanto la pace interna può risanare le ferite di questa guerra.”
Dichiarazioni che lo pongono quasi in antitesi alla sua stessa casa, certamente ancora una volta buone, ma espresse nei modi e nei tempi sbagliati. Non credo noi oggi si possa giudicare Carlo e la situazione che lui stesso aveva contribuito a creare. L’ultimo imperatore, vicino alla sua gente in un momento nel quale la gente stessa aveva più bisogno di chiarezza che di sentimentalismo.