von mas 20.07.2024 18:30 Uhr

Un libro al mese: Identità perduta – 3°

„Identità perduta“ di Fabio Caumo: „La SVP non si presentava così illuminata e moderna quanto la Democrazia Cristiana trentina. Ignorante e chiusa in sé stessa come veniva dipinta, soppesava le nuove tendenze della società, coniugandole con la realtà locale e compiva delle scelte di continuità e non di rottura, puntando sulla sopravvivenza dell’agricoltura di montagna …  Soprattutto mantenne le scuole anche nel più piccolo paese, per far crescere i ragazzi nei loro luoghi natali. Perché se un giovane diventa un pendolare già in età scolare crescerà senza il legame con la piccola comunità, senza quell’insieme di preziosi valori che la contraddistinguono, e quella dimensione di vita scomparirà per sempre.

Particolare della copertina del libro "Identità perduta" di Fabio Caumo ("Il ribelle" di Othmar Winkler)

Rottura: il Fattore K

La svolta per il Trentino avviene a partire dalla metà degli anni ’60, su impulso della crescita economica nazionale e per effetto di un cambiamento di linea politica dell’amministrazione provinciale trentina. Alla guida della Provincia viene nominato, nel 1961, Bruno Kessler. Kessler è un personaggio dal carattere forte, preparato, deciso. Ha idee innovatrici. Vuole imprimere un cambiamento alla società trentina e punta sull’industrializzazione dei fondovalle allo scopo di far crescere l’economia con fonti di reddito alternative all’agricoltura. Kessler, e il suo gruppo dirigente, scelgono una linea di rottura con le peculiarità socioeconomiche del Trentino, considerate retaggio di un passato ormai superato e causa dell’arretratezza economica provinciale. Adotta un modello di sviluppo generalista che contribuirà, insieme alla crescita economica in atto, alla trasformazione della provincia in un’area maggiormente sviluppata, tuttavia con una struttura produttiva fragile e territorialmente anonima, segnata da nuove contraddizioni sociali ed economiche, impoverita nell’identità e marginale rispetto al contesto nazionale  (…)

Nell’arco di appena vent’anni, in conseguenza anche del boom economico in atto, il territorio trentino risulterà profondamente trasformato, il reddito delle famiglie accresciuto, la società più permeabile alle idee provenienti dall’esterno. Ma l’azione kessleriana introduce nuovi squilibri strutturali, eredità dalla quale sarà difficile liberarsi  (…)

Come vedremo, le scelte operate avrebbero potuto essere differenti, e il futuro del Trentino essere indirizzato diversamente. Nell’analisi critica de Il fattore K prenderemo in esame l’università, la ricerca, il piano urbanistico provinciale ed i comprensori. In campo economico, l’industria, il turismo e l’agricoltura

L’Università – Sociologia
Seguendo le convinzioni del gruppo kessleriano, le scienze sociali dovevano costituire un elemento innovatore e di forte cambiamento per aprire la società trentina a nuove idee e visioni, senza considerare le profonde differenze rispetto alla vocazione alpina del territorio e della sua popolazione. I laureati in sociologia dovevano rappresentare la futura classe dirigente del Trentino, ma non è stato così. Essi si sono dimostrati fervidi di ideali per i cambiamenti generali a livello mondiale (la lotta di classe, l’immaginazione al potere), ma raramente hanno saputo dare un contributo di elaborazione alla soluzione dei problemi della società trentina. In generale hanno considerato e considerano la cultura e le tradizioni locali espressioni di una sub-cultura limitata e negativa, da superare il prima possibile. Inoltre, laurea in tasca, i sociologi hanno presentato il conto e gonfiato gli apparati pubblici e scolastici. Diverso sarebbe stato il destino del Trentino con una Università di Scienze agrarie e forestali, molto più interagente con lo sviluppo e la valorizzazione del territorio, della produzione silvo-pastorale, agricola ed agroindustriale (…)

Il Genoma dimenitica – Istituto Agrari di San Michele / Fondazione Mach
Nel frattempo, le manie di grandezza sono divenute contagiose. L’Istituto Agrario di San Michele all’Adige (oggi Fondazione Edmund Mach dal nome del suo primo direttore) ha una storia  restigiosa. Fondato alla Dieta di Innsbruck della regione austroungarica nel 1874 con lo scopo di promuovere l’agricoltura tirolese, si specializza nelle coltivazioni agricole e vitivinicole e gemma, nel 1878, l’Istituto per l’economia montana e la zootecnia (BAM – Bundesanstalt für Alpenländische Milchwirtschaft), situato a Rotholz nel Land Tirol. I rapporti tra i due istituti sono pressoché solo formali quando, nel 1975, anche Bolzano fonda il proprio Centro di sperimentazione agraria e forestale di Laimburg, segnando un ulteriore punto di separazione da Trento; e questo dopo quasi 100 anni di collaborazione. Fondazione Mach e Laimburg  intraprendono strade diverse. In particolare San Michele dà avvio ad una ricerca di alto livello: lo studio del genoma della vite. L’Istituto/Fondazione arriverà tuttavia secondo nella corsa alla scoperta del genoma (dopo aver speso molto di più rispetto alla cordata vincente) e, in quanto secondo, verrà ben presto dimenticato. In quello stesso periodo, a Laimburg si studiano e sviluppano nuovi ceppi di vite resistenti ai parassiti ed ai climi rigidi, piante che i contadini e le aziende agricole trentine acquistano oggi in quel di Bolzano, visto che il genoma, da solo, non produce un bel nulla

Enti inutili –  I Comprensori
Nel 1964 prende avvio la creazione dei Comprensori, undici enti interposti tra l’Amministrazione provinciale e gli oltre 220 comuni. L’idea è di superare la frammentazione amministrativa comunale dando vita ad enti intermedi in grado di avere una visione d’insieme delle problematiche e delle scelte programmatiche di sviluppo comune a zone geografiche omogenee. Nasceranno invece dei doppioni amministrativi, ingombranti, burocratici quanto fondamentalmente inutili. La ragione è che se inizialmente si voleva un coinvolgimento attivo  delle entità territoriali, nel tempo la Provincia si è accorta che in tal modo avrebbe dovuto delegare poteri, mentre i Comuni non avevano nessuna intenzione di rinunciare ai loro  Così si è preferito mantenere in vita i doppioni, privi di ogni reale competenza o potere, se non altro per fini clientelari

Urbanistica: il fallimento della programmazione del territorio
L’atto più importante dell’amministrazione Kessler è rappresentato dalla approvazione del Piano Urbanistico Provinciale (PUP): uno strumento di programmazione del territorio unico nel suo genere in Italia, che avrà ampia risonanza divenendo un modello di riferimento per urbanisti, politici, intellettuali. I risultati sono però deludenti e sanciscono il fallimento della programmazione urbanistica del territorio, per  l’inerzia dilatoria ed ostruzionista della politica e dell’amministrazione; lo spreco del territorio e lo scempio delle doppie case e dei centri turistici; la babele architettonica. A parte il primo fattore, i due successivi hanno in comune la visione avulsa dal territorio. 

Turismo d’assalto
Per lo sviluppo turistico l’amministrazione Kessler opera delle scelte che vanno oltre la rottura con il territorio e segnano uno scempio urbanistico indelebile. Sul finire degli anni ’60 vengono favorite le costruzioni delle doppie case e la realizzazione ex-novo di complessi turistici. Le doppie case vacanza nelle valli Rendena e di Fiemme e Fassa hanno deturpato indelebilmente il paesaggio e cancellato ogni traccia dell’architettura agricolo-rurale originaria. Seguendo l’esempio moderno della Francia e del Sestrière in Italia sono stati edificati nel nulla i complessi turistici Folgarida-Marilleva, Fassalaurina, le t orri del Tonale, mentre altri progetti analoghi tramonteranno dopo aver subito rinvii di vario tipo. Nei tre casi si tratta di una forma di turismo avulsa dalla dimensione di vita locale: turisti anonimi nelle proprie case o isolati nel residence-hotel vacanza giunti fin là con l’idea di svagarsi, senza contatti con la vita e la popolazione locale e con l’unico scopo di godersi il parco giochi

Agricoltura – L’abbandono della montagna
È la ferita fatale. È il vero errore della politica kessleriana. Segna la fine ed il punto di non ritorno con la cultura, la storia e le tradizioni, segna la distruzione dell’economia di un territorio alpino, la negazione della volontà dichiarata di difendere le peculiarità del Trentino. Il pensiero kessleriano guardava all’agricoltura di montagna come fenomeno economico arretrato e marginale, quasi un retaggio del passato da superare definitivamente il prima possibile. L’uomo politico non credeva nel futuro delle attività silvo-pastorali e zootecniche in quota, che verranno disincentivate favorendo la meccanizzazione delle coltivazioni vitivinicole e frutticole solo nelle zone vocate, in sintonia con le prime scelte politiche dell’Unione Europea. Le malghe in quota rimasero vuote, le baite estive per il taglio del fieno crollarono. Prati, campi e frutteti dei terrazzamenti agricoli di mezza costa, con i caratteristici muri a secco furono riassorbiti dal bosco. I masi e decine di frazioni lasciati senza alcun abitante. Anche la viticoltura finì in abbandono, in ossequio alla politica europea delle quote di produzione. Paesaggi incredibili come i pendii del lago di Levico o del colle di Tenna verso il lago di Caldonazzo (per nulla dissimili da quelli del lago di Caldaro) divennero luoghi spettrali

Attualità - Un confronto amaro

I gerani del Sudtirolo, le scuole nei paesi,  il Maso Chiuso…
Nella vicina provincia di Bolzano, parte della stessa regione, con un clima simile, anzi mediamente più rigido di quello del Trentino, in quello stesso periodo venivano compiute scelte alquanto differenti da quelle dell’amministrazione Kessler.  Il Sudtirolo ha avuto la modernità ma ha mantenuto la socialità della popolazione agricola, oggi presente in maniera distribuita sull’intero territorio, abitato, lavora to e curato fino alle quote più elevate, con i gerani in fiore sui balconi delle case in legno. La Südtiroler Volkspartei non si presentava così illuminata e moderna quanto la Democrazia Cristiana trentina. Non si era dotata del PUP, non mitizzava la programmazione del territorio, non puntava a stravolgere la vita della popolazione. Così, ignorante e chiusa in sé stessa come veniva dipinta, soppesava le nuove tendenze della società, coniugandole con la realtà locale e compiva delle scelte di continuità e non di rottura, puntando sulla sopravvivenza dell’agricoltura e dei contadini  di montagna. Nel tempo abbinò al sostegno delle attività agricole ed alla difesa del maso una accorta politica di insediamenti di attività produttive, distanti non oltre i 10-20 Km dai masi, per consentire alle famiglie una integrazione del reddito. Investì molto sulle infrastrutture per collegare i masi di montagna al fondovalle (strade, energia elettrica, telefono). Potenziò i servizi sul posto (uffici, sanità, trasporti). Soprattutto creò gli asili e mantenne le strutture scolastiche decentrate anche nel più piccolo paese, per far crescere i ragazzi nei loro luoghi natali. Perché se un giovane diventa un pendolare già in età scolare crescerà senza il legame con la piccola comunità, senza quell’insieme di preziosi valori che la contraddistinguono, e quella dimensione di vita scomparirà per sempre. Un modello giudicato in quegli anni dai trentini con sufficienza e definito con un certo disprezzo gretto, conservatore, ottuso. i fatto a distanza di decenni, le scelte di rottura praticate hanno inciso sullo sviluppo della società trentina e contribuito a determinare una situazione economica e sociale fatta più di ombre che di luci.

I valori negati - Una società alla deriva

La fine dell’era Kessler vedeva un Trentino ancora povero, con una economia basata su agricoltura e industria, poco turismo e servizi in crescita ma non dominanti. La svolta negli anni ’70 è frutto in parte della evoluzione economica più generale, ma principalmente è il risultato dei cambiamenti istituzionali riguardanti l’autonomia. Il secondo Statuto di autonomia segna il passaggio delle competenze dalla Regione alle due Province: alla Regione rimangono solo le competenze attinenti ad affari di interesse comune alle due popolazioni, o ritenute comunque indivisibili; le due Province divengono le vere detentrici del potere autonomistico

La Regione ha avuto una storia difficile, in particolare per l’arroganza mostrata dalla Democrazia Cristiana trentina nella gestione dell’ente sotto la guida Odorizzi. Essa porta la grave responsabilità dello snaturamento della nascente autonomia entro la cornice regionale, del non aver voluto concedere le deleghe statutarie alla provincia di Bolzano e dell’aver gestito le allora scarse risorse finanziarie non sempre con equità tra le due popolazioni, quella trentina e quella tirolese. Bolzano ha vissuto la cornice regionale come una gabbia ed ha maturato nel tempo un giudizio negativo definitivo sull’istituzione.

I sudtirolesi di lingua tedesca non hanno bisogno dell’ente regione per legittimare la loro autonomia e spingono per sopprimere l’istituzione. Per i trentini le cose stanno un po’ diversamente, per essi la regione rappresenta la garanzia formale, istituzionale dell’autonomia, prevista nell’accordo Degasperi-Gruber. E i trentini, che ben poco hanno fatto per fare della regione la casa comune di entrambe le popolazioni, scoprono ora che in assenza del contesto regionale tutto potrebbe essere messo in discussione. Così l’establishment politico locale difende ad oltranza una struttura vuota ed invisa, alimentando un clima di diffidenza da parte dei sudtirolesi che preferiscono fare da soli. La focalizzazione dei trentini è tutta sul contesto istituzionale non affronta le tematiche di fondo, la natura e la portata dei rapporti tra le due comunità.

Non sarà un terzo Statuto a delineare una terza fase dell’autonomia. Semmai esso rappresenterà l’inizio della fine del contesto autonomistico della provincia di Trento Anche perché preoccupano l’improvvisazione e l’incoerente confusione con la quale si muove al riguardo la politica trentina.  In un tale contesto si è arrivati ad una situazione sconcertante quando nel 2015 la politica provinciale ha avviato lo studio di un nuovo Statuto di autonomia, in maniera separata e concorrenziale rispetto alla provincia di Bolzano. Non uno, ma due Statuti, avrebbero condotto al suicidio l’autonomia trentina. Eppure, con che entusiasmo, con quale superficialità fu istituita una Consulta di elaborazione. I lavori terminarono nel 2018 con la pubblicazione di due tomi dai contenuti scialbi ed anonimi. Per fortuna tutto si è nel frattempo arenato e il disegno è tramontato

  • La copertina del libro

In che cosa si distingue urbanisticamente il Trentino da altre realtà? Città e fondovalle ci consegnano un insieme caotico in tutto simile agli altri territori limitrofi, Sudtirolo escluso. La mentalità pubblica assistenziale sgretola i valori storici posti alla base della collettività trentina ed è contraria all’idea di sviluppo. Non esiste modo di snellire la burocrazia se non si inverte il paradigma, passando dalla sfiducia nel cittadino alla fiducia verso di esso. L’autonomia assistita sta andando alla deriva.

Il futuro del Trentino si gioca sulla capacità di passare dalla mera distribuzione alla produzione del reddito di cui si intende disporre.

 

Fabio Caumo è nato a Torcegno nel 1952. Laureato in sociologia, è stato studente lavoratore fin dall’età di 13 anni quando era pastore nelle malghe comunali. Ha frequentato l’università lavorando come operaio stagionale, fattorino delle poste, commesso di negozio. Dal 1976 al 1985 è stato funzionario sindacale della UIL diventando poi co-segretario del sindacato unitario FLM.   È stato co-fondatore e primo presidente del Circolo culturale Michael Gaismayr di Trento.

Nel suo libro „Identità perduta – L’autonomia trentina alla deriva“, edito nel gennaio 2022 per i tipi di Reverdito, Fabio Caumo non si limita ad analizzare, criticamente ed impietosamente, la situazione della nostra provincia, ma cerca (e trova) anche proposte concrete e vie per il futuro.

Difficile riassumerlo in pochi articoli o tentare di renderlo con qualche estratto:  questo è un libro che merita di essere letto per intero, con attenzione e più di una volta. Meglio se non fermandosi alla mera lettura ma, ciascuno nei limiti delle proprie possibilità, cercando di „metterlo in pratica“.  

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