Paolo Sartori, il Questore di Bolzano si racconta

Sono passati solo pochi mesi dal suo insediamento alla Questura di Bolzano, ma Paolo Sartori ha già lasciato il segno, raccogliendo notevoli apprezzamenti sia da parte dei cittadini che delle autorità , ma attirandosi pure una minaccia di morte („QUESTORE SARTORI? BRINDIAMO SE TU MUORI“ ). Poca cosa, ci dice nel corso di una chiacchierata amichevole in pausa pranzo, raccontandoci di quando viveva in un bunker presidiatissimo e girava in autoblindo fra Salvador, Nicaragua e Chiapas.
Le sue giornate bolzanine sono più „tranquille„, anche se iniziano prima delle 7.00 e terminano a mezzanotte, anche se il suo telefono squilla ininterrottamente durante il pranzo, anche se fra un vitello tonnato e una fetta di strudel arriva pure una collaboratrice con un decreto di espulsione urgente da firmare.Â
Alla domanda del collega Alexander Wurzer sullo stato della sicurezza in Sudtirolo, il Questore sottolinea la netta differenza fra la situazione reale e quella percepita. Bolzano e l’intera provincia, afferma, sono più sicure adesso che negli anni Novanta, quando le rapine a mano armata erano praticamente quotidiane e quando i problemi legati alla tossicodipendenza erano molto maggiori.
Al giorno d’oggi si verificano più casi di microcriminalità , che però sono legati a una certa dose di violenza anche solo verbale (per esempio, un viaggiatore sprovvisto di biglietto dell’autobus, che dà in escandescenze quando viene „beccato“), e quindi più „appariscenti“. I mezzi di comunicazione di massa e i social, poi, tendono ad amplificare qualsiasi avvenimento, moltiplicandone l’eco a livello esponenziale. A questo si deve aggiungere la sensazione di insicurezza legata al „diverso“: diverso colore di pelle, diversa lingua, diverse abitudini e atteggiamenti. Non si può fare di ogni erba un fascio, ma verso chi delinque si deve usare il pugno di ferro: i decreti di espulsione servono anche a tutelare – ci dice – chi rispetta le regole e si è integrato nella nostra società .
Infatti, in questi primi mesi bolzanini, il Questore Sartori si è fatto „notare“ – in positivo o in negativo, a seconda dei „punti di vista“ – per il notevole numero di decreti di espulsione emessi. Quindi è davvero possibile rimandare nel proprio paese di origine un cittadino straniero che delinque? – gli chiede Alexander Wurzer. Si certo, è la risposta, ma ci sono diverse casistiche e diverse possibilità . Sartori ce le spiega nel dettaglio, specificando che da dicembre la permanenza massima nei CPR – un tempo che permette di accertare lo stato di provenienza della persona da espellere e di concordare il rientro con le autorità del paese di origine – è passata da tre a diciotto mesi, agevolando quindi la procedura.
Uno dei suoi principali obiettivi è comunque quello di riequilibrare la discrepanza fra il livello di sicurezza percepito dai cittadini e la sicurezza effettiva: proprio per questo è sempre più che disponibile ad incontri con la gente, con le categorie, con le associazioni. E‘ importante, dice, far capire il lavoro delle forze dell’ordine, ma anche che i cittadini e le categorie sono chiamati a fare la loro parte.
Fra una domanda precisa, una risposta articolata e sei o sette telefonate, arrivano anche il caffè e un momento di pausa, uno dei pochi nelle lunghe giornate del Questore Paolo Sartori.
Ma come si rilassa quando non lavora? Di certo non cucinando, ci dice, un’arte per cui è assolutamente negato: meglio un ristorante come quello in cui ci siamo incontrati, dove è evidentemente di casa e dove ci racconta del suo „tedesco da sopravvivenza“ limitato – almeno per ora – al menù. Ogni tanto si ritaglia il tempo per una lezione di criminologia all’università o per un articolo per qualche rivista specializzata. Ama invece l’arte moderna, talvolta di notte dipinge („Imbratti tele!“ gli dice suo figlio, ma lui è ovviamente di tutt’altro avviso).
Appena riesce, scappa a Caderzone. Nel piccolo paese della Val Rendena ha passato le lunghe estati dell’infanzia e dell’adolescenza, come all’epoca facevano tutti i figli degli „oriundi“: tre mesi con i nonni o con le mamme, mentre i padri lavoravano a Mantova, a Trieste, a Milano, a Bolzano e raggiungevano la famiglia la domenica e per una settimana in agosto. Come molti di loro, in paese ha una casa, qualche cugino, un paio di amici da una vita.  Qualche anno ancora e poi magari ci tornerà per sempre, chissà … Intanto però il lavoro chiama: bevuto il caffè, il Questore ci saluta e si avvia verso il suo ufficio, parlando per l’ennesima volta al telefono.






