von fpm 24.05.2024 10:00 Uhr

24 maggio: a chi mormorava il Piave?

L’arcano di un evento mistificato di una data tanto proclamata

foto FB, elaborazione grafica fpm

Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio dei primi fanti il 24 maggio“, così comincia la celebre “Canzone del Piave” di E.A.Mario (nome vero Giovanni Gaeta). Lasciamo un momento da parte la data e facciamo una riflessione sul testo. Fra il Piave e l’antico confine austro-ungarico (vicino Torviscosa) vi sono circa sessanta chilometri. È evidente che in questi versi vi è un colossale errore di strategia militare. Quando scoppia una guerra l’esercito deve essere già sulla frontiera, non appena avviarsi a così tanta distanza. Ma concediamo la “licenza poetica”. Però nel verso successivo “l’esercito marciava per raggiunger la frontiera, per far contro il nemico una barriera” vi è una colossale menzogna. Secondo il diritto internazionale vi è uno Stato che dichiara la guerra, definito “Stato aggressore” e uno Stato che la subisce definito “Stato aggredito”. Fu l’Italia a dichiarare la guerra e quindi ad essere l’aggressore. Infine: “Il Piave mormorò: non passa lo straniero…”! Ma se è l’Italia ad aggredire, chi è che dovrebbe passare? Chi è lo straniero? Lo straniero semmai è l’italiano che vuole sconfinare in territorio austriaco! Diciamolo onestamente: gli italiani ci sono cascati tutti. Vedono questo nemico invasore da cui bisognava difendersi, mentre poi studiando la storia e riflettendoci si capisce che era l’Austria ad essere invasa, e lo sarà per due anni, fino a Caporetto. Dove le parti si invertirono, ma non perché l’Austria voleva aggredire l’Italia, semplicemente perché è logico che, se un esercito è in fuga, l’altro lo insegue fino a dove è possibile, e si ferma quando i necessari rifornimenti diventano troppo lontani per consentire di proseguire. Oltre anche al fiume Piave in piena, insuperabile.

Fatta questa riflessione sulla Canzone del Piave, torniamo alla data del 24 maggio 1915. Secondo la storia ufficiale la dichiarazione di guerra italiana segnava come inizio delle ostilità le ore zero del 24 maggio, cioè mezzanotte. Su questa ora è stata poi creata tutta una vicenda storica riguardante “il primo colpo di fucile sparato“. Ufficialmente si dice che nella località di Visinale di Corno di Rosazzo sul fiume Iudrio che allora faceva da confine alle ore 22 del 23 maggio vi fu un tentativo da parte di soldati austriaci di sabotare il ponte e che il finanziere Pietro Dell’Acqua sparò e li mise in fuga. Su questo fatto esiste persino un museo della Guardia di finanza dove è conservato questo fucile e sul luogo vi è un monumento. Inoltre, si aggiunge che Forte Verena sulla linea degli altipiani di Lavarone al confine trentino sparò alle ore 4 del 24 maggio il primo colpo di cannone.

Forte Verena, ed ecco allora entrare in gioco Fritz Weber. Già chi era Fritz Weber, o esattamente per l’anagrafe Friedrich Wilhelm Weber, nato a Vienna il 4 giugno 1895 e morto a Vienna il 1° giugno 1972?  Era un giornalista e scrittore austriaco, autore di molti romanzi ma anche di alcuni libri storici sulla Prima guerra mondiale, il più importante di questi libri si intitola DAS ENDE EINE ARMEE (La fine di una armata) ma nella traduzione italiana ha avuto un altro titolo: TAPPE DELLA DISFATTA. Narra gli eventi bellici nei luoghi in cui partecipò, ossia sull’Altopiano di Asiago (in particolare a Forte Verle), sul monte Pasubio, sul Monte Cimone di Tonezza, sul fronte dell’Isonzo, nel Carso (sul Monte Ermada in particolare) e lungo il Piave (in special modo nella zona di Caorle).

Un’opera di grande valore storico che, nello stesso tempo, rispecchia gli effetti emotivi di un’esperienza sconvolgente, fatta di sudore e sangue, coraggio e rassegnazione. Dagli altopiani dell’Isonzo al Pasubio, da Caporetto all’ultima offensiva sul Piave del giugno 1918. Da leggere per saperne di più. Intanto, oggi, ricordiamo i caduti tirolesi che difesero il Tirolo dall’aggressione italiana che condizionò il futuro della nostra terra e aprì le porte  al fascismo e ad un genocidio culturale che non si può né si vuole dimenticare.

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