von mas 27.04.2024 18:00 Uhr

Un libro al mese: Tre “strani incidenti” 4

Rifugio Passo di Vizze, Malga Sasso, Cima Vallona: tre ‘strani incidenti’ al culmine degli anni delle bombe in Sudtirolo (anni 1966 e 1967)“: E’ questo il titolo dell’ultimo libro di Hubert Speckner sulle vicende della Pfitscherjochhaus, della Steinalm e della Porzescharte / Cima Vallona, pubblicato in lingua italian dalla casa editrice Effekt! –  Gli ultimi dei nostri stralci trattano dell’ultimo caso, “l’attentato” di Cima Vallona

In un elenco degli attentati terroristici del 1967, allegato a una “nota verbale” diplomatica italiana del 18 luglio 1967, “l’incidente” di Cima Vallona del 25 giugno 1967 è descritto ufficialmente in modo chiaro e inequivocabile dal Ministero degli Esteri italiano: “Esplosione di un traliccio dell’alta tensione mediante un congegno esplosivo dotato di orologio. Durante l’ispezione in loco, il soldato degli alpini Armando Piva calpesta una mina e provoca un’esplosione. A causa delle gravi ferite riportate, il soldato muore poco dopo all’ospedale civile di San Candido. Intorno alle 15 dello stesso giorno, dopo aver bonificato l’area intorno ai tralicci dell’alta tensione, una pattuglia di artificieri cade in un’altra trappola esplosiva. La deflagrazione provoca la morte del capitano dei carabinieri Francesco Gentile, del sottotenente paracadutista Di Lecce Mario e del sergente paracadutista Olivo Dordi nonché il ferimento grave del sergente maggiore paracadutista Marcello Fagnani. Sulla scena del crimine fu ritrovato un dispositivo con la scritta B.A.S.”  ... “Tutte le informazioni disponibili sull’attacco terroristico nei pressi di Cima Vallona, che ha causato la morte di quattro membri delle forze armate italiane, dimostrano chiaramente che è stato organizzato in territorio austriaco, da criminali giunti dal territorio austriaco e successivamente fuggiti in territorio austriaco.” 

L’opinione pubblica italiana – ben “informata” dalla stampa – e i politici reagirono all’incidente con incredibile isteria. Persino le più alte sfere governative attribuirono all’Austria, e in particolare al suo governo, la responsabilità dei quattro morti e del soldato ferito a Cima Vallona, e chiesero al governo italiano misure immediate e severe. te e severe. In maniera assolutamente illogica, e spesso con le insinuazioni più primitive, all’Austria furono lanciate accuse dai contenuti inconcepibili nella prospettiva odierna. Oltre alla revisione di tutti i rapporti con l’Austria, i neofascisti italiani chiesero la dichiarazione dello “stato di pericolo” in Sudtirolo, l’estradizione dei terroristi dall’Austria e il “rinvio dei negoziati bilaterali”. Anche i partiti liberali chiesero di interrompere i negoziati riguardanti l’ingresso dell’Austria nella CEE, nonché di richiamare l’ambasciatore italiano a Vienna e di denunciare l’Austria alle Nazioni Unite.

Ora, la prima domanda è come mai la parte italiana abbia informato dell’incidente le autorità austriache solo dopo quasi 15 ore.  Contrariamente ai funzionari di sicurezza austriaci, la stampa sudtirolese in lingua italiana e tedesca fu rapidamente informata dell’accaduto: Lunedì 26 giugno 1967 il Dolomiten titolava: “Tremendo agguato: quattro morti, un ferito. Bagno di sangue su Cima Vallona vicino al confine con l’Austria – Terroristi hanno fatto saltare un traliccio e piazzato mine antiuomo”- L’articolo successivo usa un linguaggio molto duro, parlando di un “agguato omicida”, di “terrorismo disumano” messo in atto da “ignoti assassini senza scrupoli”

Prima ancora che partissero le indagini, per il presidente italiano Saragat la situazione era chiara: si era trattato di un “attacco bestiale” sotto “infausti segni di nazismo”. La minaccia contro l’Austria, che si stava rendendo “indirettamente complice”, era inequivocabile e fu espressa in maniera ancora più diretta da molti politici.

Il giorno successivo, martedì 27 giugno, il quotidiano di Innsbruck Tiroler Tageszeitung non ebbe dubbi: in un ampio articolo pubblicato in seconda pagina, il giornale titolava “A Cima Vallona non è esplosa alcuna mina”. Per il quotidiano tirolese l’unica cosa certa era che l’alpino Armando Piva era morto per le gravi ferite riportate e che le notizie italiane sull’incidente, secondo cui le mine – ben mimetizzate – erano state piazzate da estremisti sudtirolesi, erano “ancora contraddittorie”. L’offerta del Ministro degli Interni austriaco, Franz Hetzenauer, che il giorno prima aveva proposto al governo italiano l’invio immediato di esperti, era stata fatta per “buoni motivi”: “Già lunedì a mezzogiorno la ‘Tiroler Tageszeitung’ ha potuto stabilire in modo appropriato che le notizie diffuse dall’Italia sui terribili eventi che hanno portato alla morte dei quattro soldati italiani non possono essere esatte, almeno per quanto riguarda il luogo. La ‘Tiroler Tageszeitung’ è stata in grado di determinare che la pattuglia di 25 perlustratori italiani non si è mai trovata nella zona del traliccio saltato in aria, e che quindi tre di loro non possono aver calpestato una mina in questa zona. L’intera area è ancora coperta di neve e il manto nevoso risulta intatto. Qui non c’è alcun segno che negli ultimi giorni un gruppo di persone abbia effettuato perlustrazioni o addirittura che una o due mine siano esplose con conseguenze fatali per quattro persone.” E ancora: “Dal traliccio crollato non c’è alcun indizio che le mine siano state fatte esplodere qui: sulla neve non ci sono tracce di passaggio, non c’è un foro di detonazione, non c’è neanche un’impronta. Per tutta la giornata di ieri non si è visto alcun soldato italiano nella zona del presunto disastro. Se fosse vero che lassù domenica sono stati uccisi quattro soldati, allora sicuramente lunedì si sarebbero visti sul posto degli esperti impegnati nel rilevamento delle tracce.”   (…)

L’articolo della Tiroler Tageszeitung causò forti reazioni da parte italiana, che definì “assurda e falsa” la rappresentazione dei fatti. Anche il capo di Stato Maggiore del IV Corpo d’Armata di Bolzano rispose con una nota ufficiale a quanto riportato dal giornale tirolese. Nel frattempo l’intera stampa e il mondo politico italiani si erano attivati per condannare il “brutale attacco” di Cima Vallona, incolpando in buona sostanza “l’Austria” di “protezione” e “favoreggiamento” del terrorismo in Sudtirolo.

(…)

Nella stampa estera, la problematica di fondo dell’incidente di Cima Vallona venne spesso valutata nella sua portata essenziale: “Si ha ragione di credere che il ministro degli Esteri Fanfani stia deliberatamente utilizzando le ondate di indignazione nazionale scatenate … dalla morte dei quattro soldati, come strumento per eliminare radicalmente la partecipazione dell’Austria ai negoziati sul Sudtirolo, che da tempo non gli sono graditi”.   A quanto pare gli stessi sudtirolesi non erano del tutto convinti dalla rappresentazione dei fatti riportata dalla stampa … L’opinione prevalente tra la gente era che i periti austriaci fossero stati “ingannati” dalla parte italiana. Il governatore del distretto di Lienz era anche preoccupato per il fatto che il soldato ferito ricoverato all’ospedale di San Candido, fosse sorvegliato 24 ore su 24: una guardia era sempre nella sua stanza e un altro militare stazionava nel corridoio. Al riguardo, il personale dell’ospedale non fornì alcuna risposta alla richiesta di informazioni.

 

Gli arresti, le torture, il processo

Giovedì 12 ottobre 1967, la Tiroler Tageszeitung riportava nelle sue pagine di “news e fatti dal mondo” la sorprendente notizia di due presunti attentatori di Cima Vallona, “Peter Kienesberger, domiciliato a Innsbruck, e il medico di Innsbruck dr. Hartungen”, i quali erano stati arrestati nel capoluogo tirolese nella notte tra martedì 10 e mercoledì 11 ottobre   …  Strettamente connesso ai risultati dell’indagine su Cima Vallona sembra essere l’arresto di tre attivisti austriaci del BAS, Andreas Egger, Karl Schafferer e Hans Jürg Humer, che furono incarcerati in Sudtirolo a settembre.  Il 21 settembre Humer dichiarò più o meno direttamente al giudice istruttore di Bolzano Mario Martin – personaggio alquanto “noto” in Sudtirolo – la responsabilità di Peter Kienesberger nell’attentato di Cima Vallona …  Il 7 ottobre la madre di Hans Jürg Humer visitò il figlio in carcere in Sudtirolo e scoprì che probabilmente era stato sottoposto a torture: “Hans Jürgen fu costretto a bere più volte soluzione salina finché il suo corpo non si gonfiò come un palloncino. Poi lo pressarono per far uscire la soluzione salina o l’acido e questa procedura fu ripetuta più volte. Hans Jürgen venne anche spogliato e maltrattato sui genitali. […] Inoltre, i carabinieri gli strapparono i peli del corpo e lo picchiarono in continuazione. Hans Jürgen fu anche legato nudo e poi maltrattato. […] Dopo sei giorni Humer crollò e fornì le informazioni richieste dai carabinieri.”

Nel corso del procedimento giudiziario, Peter Kienesberger rinnoverà più volte la richiesta di esumazione e di esame dei gruppi sanguigni delle vittime di Cima Vallona. La sua richiesta non fu mai accolta, e in questo è alquanto difficile escludere uno scenario di politica estera. Non ci vuole infatti molta fantasia per immaginare le reazioni italiane, sia estere che interne, a una simile richiesta da parte di un tribunale austriaco!

Il 23 dicembre 1968, dopo 21 giorni di processo, fu emesso il verdetto: otto anni di carcere per Peter Kienesberger, un anno a Erhard Hartung ed Egon Kufner. Avendo scontato più di un anno di carcerazione preventiva, Hartung e Kufner furono immediatamente rilasciati. Nel frattempo il governo italiano non era rimasto con le mani in mano. Il 9 dicembre – settimo giorno del processo – l’ambasciatore italiano Ducci intervenne presso il Ministero degli Esteri definendo “strana” la conduzione del processo da parte del giudice di Corte d’Appello Kubernat, il quale non avrebbe trattato a sufficienza l’accusa di “omicidio”, al contrario avrebbe cercato piuttosto di minimizzare affinché la giuria potesse eventualmente farsi un’“impressione sbagliata”. Il diplomatico inoltre avvertì: un’assoluzione da parte della giuria avrebbe portato a “rimandare di molti mesi le trattative con il Sudtirolo”. La posizione italiana era insomma chiara, così come i mezzi utilizzati per fare pressione

(…)

Il Tribunale di Firenze individuò in Norbert Burger la “mente” e l’iniziatore dell’intera operazione di Cima Vallona e in Peter Kienesberger il capo della squadra. La propedeutica esplosione del traliccio elettrico aveva avuto lo scopo di attirare le vittime sulla scena del crimine “con l’inganno”.  La sentenza di primo grado del Tribunale di Firenze condannò Norbert Burger “all’ergastolo per il reato di strage continuata” e ad altri 15 anni per , “attentato al traliccio dell’ENEL”, “danneggiamento aggravato” e “costituzione di banda armata”. Burger fu invece assolto dall’accusa di “attentato all’integrità territoriale dello Stato” …  A Peter Kienesberger venne inflitta una pena leggermente superiore a quella di Hartung: l’ergastolo per “il reato di strage continuata” e altri 13 anni e sei mesi per gli altri reati. Tutti e quattro gli imputati furono condannati in contumacia.

La grazia o la riabilitazione – nonostante l’assoluzione o l’interruzione del procedimento in Austria – sembrano ancora lontane; l’amnistia sembra del tutto impensabile per l’Italia  …  Secondo le disposizioni italiane, Erhard Hartung, l’ultimo condannato all’ergastolo ancora in vita – dopo la morte di Peter Kienesberger nel luglio 2015 – dovrebbe presentare una “richiesta di grazia” al capo dello Stato italiano e mostrare anche un “rimorso attivo” per le azioni di allora. Per il medico però questo significherebbe un’ammissione di colpa, cosa che per Hartung è fuori discussione, per ragioni comprensibili a chi scrive   …  Uno studio della storia degli indulti degli ex attivisti sudtirolesi, dimostra chiaramente il carattere politico degli indulti e il loro decennale rifiuto, analogamente al “carattere politico” delle condanne di cui sopra

Un tentativo di sintesi

A giudizio dell’autore, ci sono almeno due scenari possibili per le vittime delle esplosioni del 25 giugno 1967.

Primo: i tre decessi e il ferimento del membro del Reparto Speciale avvennero durante  un’esercitazione militare sul Passo Monte Croce, dopodiché i corpi furono trasportati in elicottero su Cima Vallona subito dopo l’incidente, sotto la regia dei servizi segreti, allo scopo di simulare un brutale attentato, molto comodo dal punto di vista della politica estera. Dopo aver svolto tutte le attività funzionali a questo obiettivo, compresa la documentazione, le vittime furono trasportate all’ospedale civile di San Candido.

Secondo scenario: i due ufficiali Francesco Gentile e Mario Di Lecce furono vittime di un incidente fittizio o reale sul Passo Monte Croce, mentre i due sottufficiali Olivo Dordi e Marcello Fagnani calpestarono effettivamente una mina su Cima Vallona nel corso dell’operazione di bonifica della zona. A questo fece seguito – secondo il copione precedente e con lo stesso obiettivo politico – il trasferimento delle vittime a San Candido, sempre sotto la direzione dei servizi segreti.

La prima vittima di quel 25 giugno 1967, l’alpino Armando Piva, fu indubbiamente ferito a morte da una carica esplosiva direttamente su Cima Vallona. Tuttavia, il tipo di ordigno e la paternità della carica esplosiva sono a tutt’oggi oscuri.    (…)

Sia che Kienesberger avesse sospettato o individuato una possibile trappola italiana già molto prima di arrivare in cima, sia che, al più tardi quando tentò di minare il pilone n. 119, si imbatté nelle cariche esplosive già piazzate e quindi abbandonò il progetto il più rapidamente possibile, la sua consapevolezza di non essere solo su Cima Vallona quella notte corrisponde pressoché certamente alla realtà.   (…)

Tutte queste situazioni decisamente strane che circondano i fatti di Cima Vallona nutrono il sospetto che l’incidente del 1967 fosse stato effettivamente preparato come una trappola, nella quale avrebbero dovuto cadere uno dei principali attivisti degli ultimi anni Sessanta e i suoi sodali. È altresì inevitabile la variante che i soldati del “Reparto Speciale” comandati dal capitano Gentile non abbiano perso la vita o siano rimasti gravemente feriti per un incidente, bensì per un’azione pianificata dalle forze citate. Per quanto incredibile possa sembrare una simile versione, essa non può essere completamente scartata se si analizza lo sfondo della politica interna italiana dagli anni Sessanta agli anni Ottanta. Il vantaggio politico (estero) per l’Italia consisteva, da un lato, nel mettere nuovamente in discussione la funzione di potenza tutrice dell’Austria nei confronti della popolazione di lingua tedesca e ladina del Sudtirolo, in quanto all’Austria poteva essere attribuita una “corresponsabilità” nell’incidente a causa dei tre attivisti austriaci del BAS. Il vantaggio politico (interno) – ma solo per certi ambienti italiani – consisteva invece in un’ulteriore “destabilizzazione” del Paese, avente come sfondo le attività e gli interessi pressoché imperscrutabili dei servizi segreti italiani – all’epoca prevalentemente militari – e della rete “Gladio”, da essi guidata, nell’ottica della strategia della tensione. La “cerchia dei responsabili” può quindi essere allargata con una certa sicurezza anche alle alte sfere della politica romana

Secondo tutti gli esperti di esplosivi e i medici coinvolti negli eventi, i fatti del 25 giugno 1967 non possono essersi verificati così come è  stato ufficialmente raccontato fino ad oggi. Il materiale d’archivio disponibile in Austria, e soprattutto le foto della scena del crimine, confermano ampiamente le valutazioni degli esperti

Gli excursus

EXKURSUS Un attentato “fantasma”: analisi tecnica dell’esplosione – Max Ruspeckhofer: Si può escludere con una certezza vicina al 100% che i tre attivisti del BAS accusati e condannati in Italia siano responsabili dell’esplosione di Cima Vallona. Gli effettivi responsabili dell’attentato hanno messo a terra la linea prima di collocare le cariche. È possibile che abbiano volutamente fatto esplodere il pilone in una direzione di caduta che avrebbe causato danni minimi. Sebbene sia ancora più probabile che, dopo un primo tentativo di esplosione, abbiano caricato un’altra volta il traliccio per farlo cadere. Le persone che hanno fatto saltare in aria il traliccio possono certamente fornire informazioni anche sui responsabili dei quattro militari morti e dei feriti.

 

EXKURSUS Conclusioni sull’incidente di Cima Vallona del 25 giugno 1967 basate su principi scientifici  – Harald Hasler: In quattro anni di lavoro, l’esperto Harald Hasler ha analizzato e valutato meticolosamente l’incidente dal punto di vista forense e, attraverso approfonditi test scientifici in campo aperto e ricostruzioni, ha individuato delle prove evidenti traendo le relative conclusioni. Gli eventi documentati non sono minimamente riproducibili, assolutamente inspiegabili e incomprensibili. Dall’ampia e approfondita analisi, dalla ricostruzione e dalle prove fornite, si evince infatti che l’esplosione sulla carrareccia che causò la morte di Francesco Gentile, Mario Di Lecce e Olivo Dordi e il ferimento di Marcello Fagnani non è potuta avvenire in quel modo. È pressoché certo che la rappresentazione delle vittime NON corrisponde ai fatti relativi alla scena del crimine  …  Pertanto, esiste una conclusione chiara e inequivocabile, basata sulla quantità e sulla rappresentazione dei fatti accertati e contraddittori per gli eventi di Cima Vallona del 25 giugno 1967, secondo cui l’evento esplosivo che ha causato la formazione di un cratere sul sentiero e le dichiarazioni sulle distanze dei singoli militari non possono essere compatibili con l’evento esplosivo che ha causato morti e feriti.

 

EXKURSUS  I fatti di Cima Vallona (25 giugno 1967) sul web  – Rupert Gietl:  Dei tre eventi trattati in questo libro, l’attentato di Cima Vallona del 25 giugno 1967 è di gran lunga quello più presente sul web.  A differenza della Guardia di Finanza con il suo Museo Storico, l’Esercito e l’Arma dei Carabinieri non dispongono di istituzioni analoghe che presentino sul web la visione ufficiale degli eventi. Sul sito dell’Arma c’è solo un medagliere che contiene, tra l’altro, poche righe sul capitano Francesco Gentile   …  Molto più informativo si presenta il sito web della Rete degli archivi per non dimenticare dell’Istituto Centrale per gli Archivi, anche se racconta gli eventi in un testo di sole cinque righe. Da notare che il comune di San Nicolò di Comelico viene posizionato in Sudtirolo con tanto di sigla della provincia (BZ). Terroristi sudtirolesi avrebbero minato un traliccio dell’elettricità e le vie di accesso, uccidendo quattro persone. Mancano informazioni più dettagliate   …  Sul sito web dell’Associazione Nazionale Alpini – ANA c’è una lunga serie di articoli dedicati a Cima Vallona, riguardanti soprattutto le periodiche giornate commemorative …  Cogliamo l’occasione per una digressione sul sito www.antiwarsongs.org, che contiene una voce del 2007 sulla canzone Cima Vallona, scritta da Francesco Guccini. Il sito nasce da un’iniziativa privata collocabile nella sinistra politica, nata in reazione alla guerra in Iraq del 2003. Nell’introduzione si legge, tra l’altro, “Quattro militari uccisi in maniera stupida e vile da indipendentisti sudtirolesi che non avevano mai fatto mistero delle loro simpatie naziste”. Anche se il sito ha un carattere fortemente antimilitarista, si è deciso comunque di citarlo

Con un totale di otto morti tra le forze dell’ordine italiane, i tre “strani incidenti” degli “anni delle bombe” in Sudtirolo – le esplosioni nel rifugio sul Pfitscherjoch,  nella caserma della Guardia di Finanza della Steinalm vicino al Brenner e su Cima Vallona tra il Tirolo Orientale e Belluno – rappresentano un tragico “culmine” del conflitto sudtirolese degli anni Sessanta.

Nonostante i fondati dubbi sulle presunte dinamiche di questi “incidenti”, l’Italia “ufficiale” è ancora oggi fermamente convinta della colpevolezza di undici attivisti del BAS  provenienti da Sudtirolo e Austria.

Un accurato esame scientifico dei tre incidenti, invece, dimostra in maniera evidente lo sfondo politico di questa attribuzione “ufficiale” delle colpe. Questa opera scientifica si basa da un lato sull’analisi dei fascicoli giudiziari e dei servizi di sicurezza relativi agli “strani incidenti”, e dall’altro sulle valutazioni professionali di esperti in tecnologia di brillamento, verificate anche da test sul campo.

L’ultimo libro di Hubert Speckner è uscito nel novembre 2022. La versione in lingua italiana, pubblicata da Effekt! nel 2023 nella traduzione di Paolo Florio,  può essere richiesta direttamente all’editore (+39 0471 813 482  –  info@effekt.it)

 

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