Un libro al mese: „Dolomiti di piombo“ – 5

«Come tutti voi saprete, in Alto Adige, con l’avallo del nostro governo è stato deciso l’impiego dei reparti speciali dei carabinieri per debellare il terrorismo. A questi reparti è stata data ampia
autonomia ed il loro comando è stato affidato al tenente colonnello Melodia, che voi tutti avete conosciuto. Sappiamo anche che Melodia era responsabile del Sifar in Alto Adige. In tale veste, questo signore aveva provveduto a far infiltrare suoi agenti nel mondo dell’irredentismo sudtirolese d’oltreconfine. E fino a qui era, tra virgolette, tutto normale.
Quando, alla fine di aprile, abbiamo individuato un gruppo di separatisti che stava ancora operando in territorio italiano, ci è stato consigliato di lasciarlo riparare in Austria, in quanto ciò ci avrebbe permesso di identificare i trafficanti d’armi ed i servizi segreti stranieri che tiravano le fila di questo sporco gioco. Devo anche dire che, all’inizio, le cose sono andate bene. È stata scoperta e neutralizzata una cellula di spie sovietiche che riforniva di armi i terroristi altoatesini, sono stati individuati parecchi depositi di armi in territorio italiano e siamo riusciti ad infiltrare nostri agenti nelle file di un gruppo di dinamitardi».
I presenti seguivano il resoconto del generale, che nel frattempo aveva acceso una Nazionale, e annuivano pensierosi. «Poi – continuò Bianchi – le cose hanno cominciato a prendere una piega strana. Melodia, a quanto pare, aveva altri progetti, tra i quali quello di assalire e far saltare la
polveriera di Villabassa, per far poi ricadere la responsabilità su questo gruppo di separatisti». Nicotra, che era a conoscenza del fatto, annuì serio, mentre Sonnino e Mancino
fecero un balzo sulle loro sedie. Anche se sapeva benissimo che Bianchi non si era potuto inventare una storia del genere, il questore gli chiese allibito: «Ma ne è sicuro?» Il generale fissò il poliziotto, che aveva le occhiaie sempre più scure ed un colorito sempre più malsano, con aria paziente. «Dottor Mancino – gli fece scuotendo la testa – non solo sono sicuro, ma è da tempo che da Roma mi era giunto l’invito di controllare l’operato di quel signore.
Ieri è successo tutto ed il contrario di tutto. La spia, che Melodia aveva infiltrato nel gruppo di terroristi, deve essere stata scoperta e probabilmente ha cominciato a cantare. E indovinate cos’è successo? I separatisti hanno contattato i nostri per avvisarli dell’assalto alla polveriera. Se non aveste capito bene, lo ripeto: i terroristi ci hanno avvisati del fatto e ci hanno consentito di impedire questo macello. Vi rendete conto?
(…)
Quel cerchio di uomini attorno al fuoco, tra le rocce e le nevi perenni, aveva qualcosa di suggestivo e di antico. I fucili, appoggiati agli zaini contro la roccia, sembravano appartenere ad un’altra realtà , ad una sorta di mondo parallelo, distante mille miglia. Il silenzio delle alte quote, interrotto dal sibilare del vento, rendeva quei ragazzi profondamente consci dei veri valori della vita. C’era del vero in chi sosteneva che la montagna avvicina l’uomo a Dio. La sua maestosità emanava saggezza, la sua bellezza irradiava luce interiore e la forza, necessaria per conquistarla, rendeva saldi gli animi.
I cinque erano in quel particolare stato d’animo quando Pire fece comparire una bottiglia di grappa, ne bevve un lungo sorso e la passò agli altri. Finito il giro, la bottiglia gli fu restituita, ormai mezza vuota. Guardando il fuoco e asciugandosi con la manica i baffi e la barba, ancora umidi di grappa, il bracconiere badiotto disse con voce solenne: «Credo sia meglio se rientriamo domani mattina in Austria. Non ce la faremo mai ad arrivare a Bolzano nelle prossime settimane – nella sua voce non c’era traccia di paura o di debolezza, solo di infinita stanchezza – gli italiani stanno in guardia e noi potremmo resistere dei mesi nascosti in alta quota, ma la cosa non ha senso. Ci sfiniremmo solamente e, anche se dovessimo colpire qualche obiettivo, rischieremmo di arrivarci spossati, senza viveri e con poche munizioni e, soprattutto, con le vie di fuga verso l’Austria tagliate. Con questo non voglio dire che dobbiamo arrenderci e rinunciare alla nostra lotta, ma non ritengo sensato andare inutilmente allo sbaraglio».
Ritter era deluso e sfiduciato. … La sua guerra, la loro guerra, era una guerra di nervi, fatta di tradimenti e di imboscate. La loro permanenza di nemmeno tre settimane nel Tirolo settentrionale ne era stata la prova: nessuno era quello che sembrava. Agenti italiani, americani e sovietici si erano
intromessi in quel conflitto e la stavano sporcando, vanificando gli sforzi del gruppo di lanciare un forte messaggio alla popolazione sudtirolese perché resistesse, si battesse e non si facesse fagocitare dagli italiani e dalla loro cultura. La popolazione civile, in molti casi, li aveva anche aiutati, ma la maggior parte aveva paura ed era capace di sostenerli solo a parole.
Anche se non voleva ammetterlo neppure a se stesso, probabilmente la sua guerra era iniziata con l’assassinio di Ulrich Schwarzenberg. Se non fosse avvenuto, forse lui non sarebbe mai sceso in campo, per lo meno non così presto e non in quella maniera. Erano partiti in quarta, assetati di sangue, per vendicare la morte di un loro amico; ma le vendette, in genere, sono dettate dall’emozione e dai sentimenti, e non dalla logica. Avevano cominciato senza piani precisi, alla ventura, e si erano poi trovati invischiati in giochi più grandi di loro. Ma erano stati capaci di reagire con fierezza e determinazione, dimostrandosi all’altezza della situazione e spiazzando completamente gli avversari, anticipandone le mosse e battendoli sul loro terreno. Avevano contro migliaia di uomini, bene armati e ben nutriti, e loro erano solo in sette, pieni di coraggio e di voglia di spaccare il mondo, ma pur sempre in sette. Due di loro erano caduti, combattendo faccia a faccia contro il nemico, e Willi non riusciva a fare a meno di sentirsi, anche se solo in parte, responsabile di quelle morti. Se si fossero preparati meglio e se si fossero organizzati con più professionalità , probabilmente
Rudolf e Bernhard sarebbero stati ancora vivi. Considerò poi di aver messo in pericolo pure due donne che, anche se in maniera completamente diversa, erano legate a lui e alle sue decisioni.
Convenne pure lui che, a quel punto, l’unica cosa sensata da fare sarebbe stata quella di rifugiarsi di nuovo in Austria: lo avevano detto senza mezzi termini anche i suoi amici. Se ne avessero avuta voglia, avrebbero potuto ricominciare la guerra, ma in un’altra maniera e in un secondo tempo. Non era una resa, la loro, ma il desiderio di prendersi una pausa di riflessione. Gli assassini di Uli erano stati vendicati, spie come Sebastian Bacher e Arnold Keller erano state neutralizzate e i reparti speciali italiani erano stati umiliati.
Da quando si erano mossi – era il Sabato Santo ed erano passate solo sei settimane – avevano lasciato un’impressionante scia di sangue dietro a loro, e la gente ne avrebbe parlato a lungo. Ma, come accade sempre nella storia, avrebbe anche dimenticato presto, e la situazione sarebbe rimasta quella di prima: era giunto il momento di ritirarsi e di riflettere
(…)
Peter DisertorI è nato a Trento nel 1950; dopo aver compiuto gli studi classici a Bolzano e Milano si trasferisce sul lago di Garda, dove tuttora vive. Â
Il suo romanzo „Dolomiti di piombo“ è stato pubblicato nel 2007 e successivamente riproposto al pubblico nel 2018 da Delmiglio Editore. Ora è uscita anche l’edizione il lingua tedesca, per i tipi della casa editrice Effekt!  dal titolo „Anschlag auf Bozen“
Chi non trovasse il romanzo in libreria, può richiedere la versione desiderata direttamente agli editori: DELMIGLIO   oppure  EFFEKT!
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