von mas 30.08.2023 11:00 Uhr

Ma insomma, che cosa vogliono ancora dall’Italia ’sti sudtirolesi?

Riflessioni sulla lettura del libro “Il confine sospeso” di Leonardo Alessandro Tridico – un pungente intervento di Fabrizio Rebolia*

Un maso in Sarntal (Foto Manuela Sartori / UT24)

Insomma:

li abbiamo sconfitti nella prima guerra mondiale, e quindi il loro territorio ci appartiene per diritto di preda (vae victis);

durante il fascismo abbiamo portato loro via i cognomi, la lingua, l’impiego e l’identità cercandone di farne, senza successo, degli italiani e ci hanno ricompensato scegliendo di rimaner tedeschi in Germania piuttosto che assimilarsi in Italia;

dopo l’8 settembre hanno flirtato coi nazisti, a differenza degli italiani che da un giorno all’altro sono diventati tutti fior di antifascisti;

per  la solita magnanimità di italico spirito li abbiamo riaccolti in seno al bel Paese anche se di fatto se n’erano andati e loro hanno pure fatto da paravento ai criminali nazisti in fuga (che poi la fuga proseguisse alla volta di Genova o di Roma, questo non prova nulla sulle connivenze italiane) …

insomma una vil razza di ingrati!

 

 

Non solo:

si sono pure permessi di dubitare della serietà e della sincerità delle promesse degli italiani arrivando a chiedere l’ancoraggio internazionale alla loro causa, sollecitando l’intervento della madre Patria – Austria, come se dal 1918 l’Italia non li avesse trattati con i guanti;

quest’ancoraggio è stato poi conquistato a suon di bombe, soprattutto quando l’Italia del dopoguerra ha deciso che quell’assimilazione che non era stata ottenuta con l’olio di ricino ed il manganello, poteva essere ottenuta a suon di immigrazione forzata e di espropri dei terreni agricoli che i sudtirolesi avevano il cattivo gusto di continuare a coltivare, forse anche perché non potevano essere assunti nelle fabbriche italiane …

quando poi abbiamo dato loro (rectius: siamo stati obbligati a dare) quella stramaledetta autonomia, abbiamo pensato bene di annacquarla all’interno della regione Trentino – Alto Adige, dove sapevamo di giocare in maggioranza cosicché loro venivano puntualmente fregati, niente!

Neppure l’autonomia regionale a loro stava ancora bene, e giù altre bombe per far casino e far vedere che c’era gente che aveva il cattivo gusto di non desiderare di essere italiana … ed allora il secondo statuto, le norme sulla proporzionale etnica nel pubblico impiego e, caspita, ma chi si credono di essere questi sudtirolesi che vogliono fare i padroni in casa loro?

 

Poi alla fine di tutto questo percorso, dove a fronte di tre, dico solo tre Presidenti della Provincia autonoma di Bolzano (Magnago, Durnwalder e Kompatscher) abbiamo una moltitudine di Presidenti del Consiglio italiani succedutisi in cinquant’anni (anche la stabilità è un difetto, indice del carattere subdolamente nazista, dei sudtirolesi, l’autore a pag. 194 usa l’espressione “nibelungico”) ci si ritrova con una provincia con uno dei più alti redditi pro-capite d’Italia e d’Europa e quindi ci si chiede perché questi sudtirolesi vogliano continuare a non assimilarsi, a voler essere separati da noi pure nelle scuole, grida scandalizzato l’autore  (dimenticando che oggi in Italia la maggior parte dei genitori che può, manda i propri figli alla scuola privata) e allora, perché questa prosperità?

Non per la quantità spropositata di danaro che l’Italia manda su a Bolzano, come crede in se‘ ogni italiano che si rispetti, visto che verso la fine del libro (pag. 196) si scopre che la Provincia di Bolzano, insieme a quella di Trento (buona vecchia  amministrazione asburgica come eredità comune?) sono contribuenti netti, ossia danno a Roma più denaro di quanto ne ricevano indietro sul territorio. E questa, credetemi, è una notizia per cui val la pena di sobbalzare sulla sedia, perché è una verità così importante che sotto a Salorno nessuno la conosce e la riconosce!

Andrebbero poi precisate tante altre cose, come che oltre che l’insegnamento del tedesco, ne era addirittura proibito il parlare nei luoghi pubblici (“Qui non si sputa e non si parla tedesco” era scritto nei bar) e poi ci si chiede perché volevano andar via … ;

che i sudtirolesi salutarono l’arrivo della Wehrmacht l’8 settembre perché significava il “non partire”, il “non abbandonare tutto”;

che l’agricoltura è in mano ai sudtirolesi perché  questo è  un popolo che si identifica col suo territorio, e con l’amore con cui lo coltiva e lo cura, generazione dopo generazione, mentre nelle industrie sino agli anni settanta (la data del II pacchetto guarda caso) era proibito assumere “i tedeschi” .

 

 

Riassumendo:

un pregio il libro ce l’ha, e cioè il fatto di essere una interessantissima ed inedita cronistoria dell’iter diplomatico – legislativo – burocratico che portò al I e soprattutto al II pacchetto.

Per il resto, dopo aver letto che la ridente località di Cavalese viene collocata in Sudtirolo (pag. 153), mi chiedo se l’autore in Sudtirolo ci sia mai veramente stato.

 

  • Fabrizio Rebolia, assiduo ed attento lettore di UT24, è nato a Venezia nel 1964 e vive a Genova, ma è originario di Garait in Bernstol, dove ha vissuto fino a due anni e mezzo.  E‘ quindi paesano (e  pure lontano cugino)   del nostro collaboratore Domenico Puecher.  Ricorda ancora la casa di famiglia, il maso Pomini dove vivevano il nonno Joseph Hofer  (morto Giuseppe Offer) e  la nonna Katarina Laner (morta Caterina Laner).  Da sempre coltiva  l’amore per le sue origini tirolesi e la conoscenza di tutto ciò che riguarda la storia e le vicende di questa meravigliosa terra.
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