“Amore mio, uccidi subito questo Garibaldi!”
Continuò così, tra moglie e marito, il carteggio fatto di lettere vivaci, passionali e battagliere che si scambiarono tra il gennaio e l’agosto del 1866. Un carteggio raccolto pazientemente dalla bisnipote Isabella Bossi Fedrigotti e tradotto dal tedesco per poi trasformarlo in un geniale quanto affascinante romanzo epistolare. Lui, Fedrigo Bossi Fedrigotti, di sicura fede asburgica arruolato volontario negli Ussari di Francesco Giuseppe, è testimone di tante vicende che hanno contrassegnato quell’anno con le sconfitte del Regno d’Italia a Custoza e a Lissa mentre le camice rosse garibaldine cercavano di “resistere” nel Tirolo del Sud (Trentino).
Scrive il 15 luglio: “Mio amore, stamattina alle cinque e trenta siamo saliti a Tione. Una marcia faticosa, poveri cavalli a cui tocca fare da muli. È la tecnica della guerriglia, marce continue, spostamenti da un punto all’altro, mai fermi, la specialità di Kuhn (il generale Franz Kuhn von Kuhnenfeld al comando delle truppe volontarie provenienti dalle valli tirolesi, ndr). Ma Garibaldi riesce ad essere dappertutto: ci sconfigge con le marce continue a cui ci obbliga. Abbiamo visto le camicie rosse tutto il giorno, occupano le alture intorno, fanno paura, in alto, lontanissimi ma chiaramente rossi.” (…)
“Ma si prepara qualcosa: forse, finalmente, combatteremo anche noi volontari, rimasti finora a riposo. Kaiserjäger e Schützen hanno già avuto parecchi scontri con i garibaldini. Ma cosa servono tante piccole vittorie nei monti se al nord i prussiani occupano la Boemia, la Moravia e, forse, domani anche Vienna? (…)
Oggi la marcia tra le montagne è stata bella: mi ha fatto bene. (…) Qui in alto mi ricorda Bloshof. Soltanto che le malghe sembrano più povere di quelle tirolesi, i sassi scuri, il legno delle pareti inchiodato alla meglio, quasi mai fiori alle finestre. (…) Arrivederci mia dolce, ma non so a quando: sembrava già vicino un nostro incontro ma Garibaldi non vuole. Ti bacia le mani il tuo fedele Fedrigo. (continua)
