von mas 17.12.2022 18:30 Uhr

Un libro al mese – Cesare Battisti: una fine cercata? – 3

 Torniamo a parlare delle opere di  Giuseppe Matuella e, attraverso il secondo dei suoi libri su Cesare Battisti, completiamo il viaggio fra documenti e letture per una riflessione.  Oggi il terzo stralcio: „Il vedere quindi un Cesare Battisti che si trovava sempre nei posti più esposti e pericolosi porta seriamente a pensare che l’uomo era lì perché si voleva fosse lì“ – „L’irredentista trentino  si sarebbe lasciato catturare, avrebbe cercato la ‚bella morte‘  …  „Forse abbiamo sbagliato“

L’idea di levarsi di torno in qualche modo l’uomo Battisti, pensiamo sia più che evidente e abbastanza dimostrabile. IBattisti quando l’8 gennaio 1916 fu “comandato” a Verona, al Comando della 1° Armata, si presentò anche se a malincuore. Era destinato all’Ufficio informazioni per un tempo di circa 40 giorni che avrebbe impiegato come accompagnatore di commissioni incaricate di ispezionare il fronte di Val d’Adige. Proprio in quell’occasione molto significativo risulta il primo impatto con l’ufficiale al quale si presentò, facendo notare la sua “speciale posizione” perché ne tenesse conto nell’assegnare il compito. Questi, nonostante si trovasse davanti Battisti in persona, rispose seccamente, anzi: «Duro come un tedesco», se vogliamo usare le più significative parole di Battisti stesso. «In attesa di più alti compiti, bisogna faccia il servizio regolare».

Va da subito precisato che Cesare Battisti, nel 1916, risiedeva già da circa due anni in Italia, l’aveva attraversata tutta ripetutamente predicando la guerra a fianco dei più bei nomi del nazionalismo, come D’Annunzio e Federzoni, aveva conosciuto molta gente e si era fatto conoscere, per cui poteva vantare conoscenze a tutti i livelli come abbiamo descritto anche in queste pagine. Quindi un Battisti molto introdotto e che sicuramente, dopo la spedizione punitiva della primavera del 1916, aveva anche di certo inghiottito il rospo della sua “messa in disparte” proprio nel momento in cui, con le sue informazioni, avrebbe potuto evitare all’esercito italiano la botta e quel mezzo disastro subito causa l’ingenuità dei Comandi. E questo lo supponevano pure gli alti Comandi, quelli che avevano appunto “messo da parte” Battisti, ignorando i suoi suggerimenti e rifiutando ogni contatto.

Il vedere quindi un Cesare Battisti che si trovava sempre nei posti più esposti e pericolosi, nonostante si sapesse che una sua cattura da parte del nemico voleva sicuramente dire una condanna a morte per capestro, porta seriamente a pensare che l’uomo era lì perché si accettava e si voleva fosse lì! Non esiste giustificazione né attenuante alcuna in merito, anche se si volesse addebitare quanto successo poi al puro caso, coincidenza sfavorevole o altre cose del genere, questo non sarebbe credibile … Ciò doveva essere ben a conoscenza dei suoi superiori, nel momento in cui gli ordini venivano emanati.

Quindi veramente giuste, ben dosate e sagge le parole di Gaetano Salvemini, che in merito alle la responsabilità dell’Italia nella cattura e conseguente morte di Cesare Battisti per mano austriaca, affermava: «Lo stato italiano non si prodigò sufficientemente alla difesa del Battisti sul fronte, riservando l’uomo, data la sua importanza per il periodo post-bellico nella risoluzione politica dei problemi trentini in un Trentino irredento. La cattura di Battisti sul monte Corno dimostra quanto detto, tanto è vero che per nascondere questo caso il fascismo volle utilizzare la figura del Battisti martire, per contornare il messaggio nazionalista, e ciò pesò non poco sulla immagine che oggi si ha di Battisti come trentino, come irredentista, come autonomista»

Ancor più significative le parole di Battista Adami, volontario trentino nella “guerra di redenzione” che nel 1966 scrisse in merito alla cattura di Battisti quanto segue: «Perché Battisti fu catturato? Perché non si pose in salvo finchè era in tempo… La visione del campo di battaglia, la lettura delle notizie e delle varie versioni coincise con l’incontro che mi parve fortuito capitatomi proprio in quei giorni con un cittadino di Bologna, quassù in villeggiatura, il quale, graduato allora di fanteria,  aveva fatto parte di uno dei reparti di fanti che, occupata la Sella di Monte Corno con azione di sorpresa da parte del battaglione alpini «Vicenza» cui Battisti apparteneva, avrebbero dovuto accorrere di rincalzo …  L’antico graduato bolognese mi parlò di tradimento, che non fu se non inadeguata preparazione per cui quei reparti di fanteria, nuovi del luogo e per di più di notte in terreno boscoso e accidentatissimo, perdettero l’orientamento e finirono ai piedi dello strapiombo del Corno senza saper più da quale parte girars

Quel “nuovi del luogo” suona decisamente male se andiamo a vedere le testimoniante dei responsabili l’operazione tentata per la conquista del Monte Corno, in quanto alcuni appartenenti ai due battaglioni di fanteria, avevano già percorso quei sentieri, altri invece dovevano rimanere addirittura agganciati alla compagnia di marcia di Battisti. Questo particolare dimostra che era impossibile smarrire il percorso, e come sono arrivati alla meta gli alpini di Battisti, con quelli dovevano esserci pure i fanti di rinforzo. Chiaro che l’Adami cerca di attenuare al massimo il giudizio per ovvie ragioni, però anche in questo caso vien confermata l’osservazione fatta sopra, cioè che la vita di un uomo come Battisti (per l’Italia) doveva essere protetta in modo più confacente, e non buttata allo sbaraglio con impressionante leggerezza. Parlare di leggerezza appare limitativo. Altre riflessioni e altre ipotesi sembrano possibili

Stefano Biguzzi, nella sua monumentale opera “Cesare Battisti”, scrive: «A questo punto i presupposti per una idealizzazione del personaggio, per una memoria che
trascolorasse nella leggenda ci sono tutti. E difatti non appena la tragedia consumatasi tra le mura del Buon Consiglio emerge in tutta la sua epica grandezza, la figura del volontario irredento, icona dell’intervento, che dopo aver combattuto valorosamente “solo su una cima, alto nel cielo e nella battaglia” affronta la morte offrendosi al martirio, si trova inserita a pieno titolo, né avrebbe potuto essere altrimenti, nella dimensione del mito. E’ un mito in cui Battisti rivive ed è offerto agli italiani come simbolo della nazione in armi e testimone di amor di patria che si sublima nel sacrificio supremo, come modello dell’eroe che fa olocausto di se per indicare al suo popolo la via del riscatto e incarnazione di quella continuità di quegli ideali del Risorgimento che doveva legittimare il conflitto elevandolo
al rango di quarta guerra di indipendenza. Ma è anche un mito, aspetto quest’ultimo da non sottovalutare, che costringe Battisti nell’immagine dell’eroe-martire … Difficilissima da interpretare per tutti in spirito di verità, le sinistre e le destre, quella sua vita e quella sua morte: socialista e irredentista; sovversivo e patriota. Molto meglio gettare su tutto, l’alone del mito; anzitutto rimuovendo quella circostanza, agra e scomoda per tutti, che Battisti non era un nazionalista, ma un militante della sinistra, il deputato socialista e anticlericale di Trento. […] E’ un suddito austro-ungarico che ha tradito lo Stato di cui faceva parte, per giunta non da semplice cittadino, ma da parlamentare; e quello Stato lo ha preso processato, condannato e impiccato come traditore. C’è tutto un blocco non dichiarato di sentimenti dell’uomo d’ordine, prima moderato, più tardi fascista, che rimane quanto meno a disagio di fronte a questa situazione di fatto. Il reato di tradimento c’era, Battisti è stato davvero un cittadino (o, più grave ancora, un suddito) in rivolta: ha passato la frontiera, ha attizzato il fuoco per tutta Italia contro l’Austria, e poi le è andato volontariamente contro, vestito con la divisa di un altro esercito. Né il generale Cadorna, né i difensori della legalità, né il blocco d’ordine, potevano intimamente consentire e trovare leciti comportamenti così eversivi. Scontentando il grosso della sinistra, che rimane neutralista, l’irredentismo del ribelle trentino non è fatto per piacere sino in fondo neppure alle destre vecchie o nuove»

Commento profondo quello di Biguzzi che analizza in maniera convincente e molto realistica la figura battistiana inserita in un contesto tutto particolare. L’uomo Battisti fu accettato per quel che in quel frangente sapeva dare per un certo fine, ma non fu accettato per quello che era!

(…)

Pure interessante in questo contesto riflettere su un documento recente, un’intervita a Vincenzo Calì, apparsa sul “Trentino” del 9 settembre 2015 a cura di Paolo Piffer. Calì in sintesi, afferma che l’irredentista trentino  si sarebbe lasciato catturare, avrebbe cercato la “bella morte”, deluso da come stavano andando le cose, convinto interventista all’inizio, ma poi, come tanti altri intellettuali europei, seppur per motivi diversi, sopraffatto da un massacro inenarrabile …  Nelle ultime lettere scrive che la guerra sta facendo del Trentino un cimitero, dice al figlio Gigino (futuro sindaco di Trento e deputato alla costituente) di non arruolarsi e di pensare invece alla ricostruzione. Rispetto alla sua scelta interventista, durante il conflitto matura la consapevolezza che la guerra altro non sia che morte e disperazione. Mica che non lo sapesse ovviamente, ma la realtà del fronte lo turba profondamente»

Comunque a seguito di queste considerazioni, in chiusura dell’articolo, Calì accenna alla famosa frase trasmessa da Battisti alla moglie Ernesta Bittanti, e questa in punto di morte alla figlia Livia. Frase molto pesante anche se composta da sole tre parole: «Forse abbiamo sbagliato»

Dopo questa breve esposizione, che va a confermare il nostro vedere, ripetiamo che se è giusto sforzarsi di capire, comprendere l’uomo nelle sue contraddizioni, decisamente più difficile è assolverlo dalle sue responsabilità, dai suoi errori. Battisti, un giornalista, addentro nella politica, che non si rende conto di cosa voglia dire “guerra!”. Lui, che mentre da quasi un anno sul fronte russo (Galizia) e sul fronte occidentale, si svolgevano battaglie grandiose che sacrificavano milioni di morti e feriti, continua il suo lavoro per portare l’Italia in conflitto con l’Austria. Non possiamo dimenticare il tono dei suoi discorsi in giro per l’Italia, e i ben due tentativi a distanza di pochi mesi per creare il “casus belli”. Comportamenti non improvvisati, sorretti da una ideologia della “guerra giusta”, il cui prezzo però è la rovina e la disperazione di tanta gente che la pensava diversamente e aveva ben altri progetti per la propria vita. Pensiamo allo stesso tempo, con mente lucida, pacata e responsabile, al destino di tanti soldati italiani e  contemporaneamente al destino della nostra popolazione. Popolazione che dopo aver vissute le tragedie della guerra, chi come profugo, chi come muto testimone, viene costretta ad assistere ad un secondo scempio della propria terra che, dopo circa due anni dalla fine della guerra stessa, permetteva all’irredento amico di Cesare Battisti, Ottone Brentari, di pronunciare parole di fuoco per attirare l’attenzione di quel complesso informe di carte e di persone che si suole chiamare “Governo” e il soccorso pubblico. Il Tirolo subalpino veniva infatti depredato di tutto poteva essere riutilizzato e venduto, disseminato perfino in Sicilia da una schiera di speculatori «Quassù corsi come le jene sui cimiteri». E come ricorda Bruno Pederola: «In nessun luogo però il Genio Militare è riuscito ad essere pari alla sua fama ingloriosa quanto in Trentino. Qui infatti ha rubato tanti milioni quanti nessuno può immaginare».  Ed oltre a portare via tutto l’asportabile: «Dopo quasi due anni di sovranità italiana, a fronte di una necessità valutata attorno ai tre miliardi, il Trentino ricevette “45 milioni a spizzico”, il resto ha fatto tutto da solo, ricostruendo fino all’estremo limite delle risorse territoriali»

(…)

Che la morte, anzi “la bella morte” se la sia cercata volontariamente, o che la morte abbia cercato lui, poco importa. A questo punto sembra scontato che il credo di Battisti abbia subito un tracollo dovuto a tanti fattori che gli si erano presentati. Tornare indietro neanche pensarlo, e poi per andare dove? Avrebbe fatto la figura dello smarrito, e poi l’Austria aveva ormai un conto non da poco da presentargli. L’Italia? Forse anche la delusione nei confronti dell’agire italiano aveva superato ogni limite sopportabile e può anche darsi che non si sentisse più in grado di combattere per questo. Dimettersi e rientrare nell’ombra? A questo punto la cosa diventava davvero difficile, si giocava la reputazione, si troncava il futuro e probabilmente non gli sarebbe neanche stato permesso in quanto si era ormai troppo compromesso nel giro, e come abbiamo visto, qualcuno lo stava tenendo particolarmente d’occhio, per certi motivi. Troppa gente aveva dei conti in sospeso nei suoi confronti e la posta che aveva giocato era troppo alta, alta a tal punto che era impossibile ormai riscattarla. Quindi preclusa ogni via d’uscita e pensando anche a una famiglia che avrebbe avuto di più da un padre-marito, martire ed eroe, che da un disperato con ogni via preclusa, ne trasse le debite conseguenze e giocò l’ultima carta rimastagli, quella dell’eroe.

Chi vuole acquistare „Cesare Battisti – Una fine cercata“ e non riesce a trovarlo in libreria, può rivolgersi alla casa editrice Publistampa Arti Grafiche di Pergine Valsugana, oppure direttamente all’autore Giuseppe Matuella (anche contattandolo via mail: giuseppe.matuella@gmail.com)

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