Un libro al mese: Da Hofer a Klotz, nel segno dell’Heimat – 5

Se non fosse una cupa tragedia, l’annuncio della morte di Luis Amplatz, il ritrovamento del suo corpo, la fuga ovviamente rocambolesca di Peter Hoffmann, insomma di Christian Kerbler, potrebbero apparire come una comica. Per raccontarla era stata convocata una conferenza stampa. Le vicende sudtirolesi preoccupano e angosciano gli italiani, si intuisce che Amplatz è stato tra i protagonisti dell’ondata terroristica – o patriottica a seconda dei punti di vista – dell’inizio degli anni Sessanta, non si capisce come sia morto.Â
L’interesse giornalistico è comunque enorme: a Bolzano arrivano gli inviati speciali delle grandi testate, fra di loro il famoso Egisto Corradi, uno dei pochi giornalisti a raccontare la rivolta ungherese degli anni 50; soprattutto era un professionista molto autorevole del Corriere della Sera. Era arrivato di mattina sull’auto del giornale guidata da un autista e con lui c’era un giovane vivacissimo giornalista in funzione di segretario; sceso in un’importante albergo del centro, aveva incontrato Guido Trivelli, co-direttore dell’Alto Adige, per avere notizie sugli accadimenti del Sudtirolo ed era in prima fila alla davvero affollata conferenza stampa, salutato con differenza dal Questore di Bolzano. Ecco, qualcuno ricostruisce con molta enfasi l’irruzione nel fienile, il ritrovamento del corpo, la cattura del Hoffmanm quel „Ha sorpreso gli agenti che lo stavano trasferendo da Merano a Bolzano, ha fatto sbandare l’auto ed è fuggito nella notte„.
Nei vaghi ricordi di quel momento spicca l’immagine dei poliziotti che „prontamente ripresi e balzati dall’auto finita contro un paracarro, hanno sparato …“. Si sente benissimo quel „Scusi, ma non era previsto?“ seguito da una sorta di bolgia vocale perché in molti non avevano capito cosa poteva essere successo in fondo alla sala…
Accanto al giornalista-segretario c’era un dipendente dell’Alto Adige che dal marzo del 1959 e nella redazione di Trento faceva le brevi di cronaca nera, soprattutto gli incidenti stradali …
Ecco l’idea, forse banale ma pratica, con quel „andiamo a vedere il luogo dell’incidente“, subito accolto con un „Sì. ma devo chiedere all’inviato che sta salendo sull’auto del giornale per tornare all’albergo“. L’inviato annuisce il giornalista-segretario è molto soddisfatto, sale sulla Lambretta del collaboratore annunciando „il pieno lo paga il giornale“ e un pieno in quell’epoca non era cosa da tutti i giorni. Si parte per cercare lungo la strada il luogo dove l’auto della polizia era sbandata, doveva esserci una traccia, un paracarro o il tronco di un albero o un muretto con il segno di un impatto della sbandata… Niente! Si torna indietro, si percorrono alcuni chilometri a piedi: non c’è traccia di incidente.
E allora si va in questura per fotografare l’ammaccatura sulla carrozzeria dell’auto della polizia,  che non è possibile vedere perché sequestrata per ordine della magistratura. „Ma una fotografia non cambia nulla“ e allora c’è un bonario suggerimento: „Lascia perdere, cosa vuoi, un’ammaccatura…„
Poi si saprà che l’avvocato Hugo Gamper, difensore degli interessi della vedova di Amplatz, una donna descritta come molto fiera e molto coraggiosa, aveva fatto fotografare paracarri, alberi, muretti, recinzioni che costeggiano la strada per Merano, dove secondo i resoconti Kerbler era schizzato fuori dall’automezzo dopo aver aggredito l’autiere. Fotografe bastevoli a dimostrare che nessuna auto aveva sbattuto da qualche parte. E‘ invece certo che il giorno stesso della fuga, quando all’indomani del tragico agguato nel fienile, il sicario aveva raggiunto – o meglio, era stato accompagnato a – Zurigo era salito su un aereo per Londra. Gamper aveva scoperto anche l’albergo dove il killer aveva soggiornato prima di sparire per materializzarsi per un attimo a Città del Capo alla giornalista Mezznotte.
(…)
In quel periodo si cominciano a diffondere voci e sospetti sui maltrattamenti, ma meglio dire gravissime violenze sulle persone arrestate in odore di terrorismo. Ma sessant’anni fa per noi, per i cronisti che tutti i giorni e più volte al giorno di mattina e di notte entravano liberamente nelle caserme dell’arma, negli uffici delle questure e nei palazzi di giustizia, era impensabile a sospettare che in quei luoghi, ritenuti santuari della legalità , si potessero commettere crimini e violare i diritti più elementari dei cittadini.
E cosi la sorpresa fu davvero enorme quando, in una seduta del consiglio regionale, Hans Dietel, esponente della SVP mostrò sventolandola una camicia strappata e chiazzata di sangue. Affermerà che era indossata da un sudtirolese, bastonato a sangue durante un interrogatorio.
E quello delle violenze, delle percosse , delle torture sembra – leggendo oggi le pagine del quotidiano Alto Adige dell’estate del 1961 – scivolar via fra incredulità , smentite e reticenze. In carcere a Verona nel dicembre del 1964 morì Sepp Kerschbaumer, in carcere morirono Anton Gostner e Franz Höfler; certo due sudtirolesi, lasciando a Trento la prigione di via Pilati, proprio sulla soglia del numero 6 raccontarono ad un cronista di essere stati spogliati, costretti a restare a lungo in piedi, duramente picchiati in una caserma nell’arma. Nella redazione di Trento nel giornale Alto Adige quella notizia suscitò perplessità , venne discusse e solo parzialmente pubblicata.
Poi il 3 agosto con il titolo „Magnago e la camicia“, il giornale pubblicò un’intervista all’Obman: nel testo si legge che il presidente „non ha voluto confermare le affermazioni di Innsbruck sul famoso indumento insanguinato appartenente a un ufficiale degli Schützen interrogato (sic!) dai carabinieri
/…).
Le denunce delle sevizie ci sono e così a Trento nell’estate del 1963 comincia il processo, in un tribunale dove vengono portati in manette, legati con una lunga catena, quei tirolesi che accusano gli imputati, tutti uomini dell’armaÂ
I tirolesi sono assistiti dall‘avvocato Sandro Canestrini. Il processo si conclude con l’assoluzione di 8 carabinieri, l’amnistia per altri due e la soddisfazione di Flaminio Piccoli che, in un fondo pubblicato sull‘Adige „tesse le lodi alla giustizia italiana“
Luigi Sardi, nato a Como nel 1939, è stato giornalista ed inviato speciale del quotidiano „Alto Adige“ dal marzo 1959 fino all’agosto 2008. Dall’osservatorio privilegiato del giornale ha tratto gli spunti per scrivere una trentina d libri. Questo è uscito nell’estate del 2020 ed è facilmente reperibile in libreria o presso la casa editrice Curcu Genovese di Trento.
Altrimenti è possibile contattare direttamente l’autore alla mai luigi.sardi@virgilio.it; oltre a poter inviare questo e gli altri suoi libri agli interessati, Luigi Sardi è sempre disponibile a partecipare a serate di presentazione






