von Vanessa Pacher 25.08.2022 11:43 Uhr

Voci di montagna- Il ciabattino di Predazzo

Leggende di tesori nascosti…

In una sera d’autunno giunse a Predazzo un ciabattino. Egli era molto giovane e proveniva da Venezia, sua città natale. Poiché il freddo precoce preannunciava l’approssimarsi di un inverno eccezionalmente rigido, egli decise di fermarsi nella borgata trentina fino a primavera. Trovata una camera in affitto vi sistemò, tutto allegro, il proprio deschetto e cominciò a lavorare di spago e lesina in attesa della bella stagione, quando avrebbe potuto riprendere il
proprio viaggio. Come molti giovanotti di tutti i tempi e di tutti i luoghi egli infatti era fermamente deciso a fare il giro del mondo.
Ma si sa come vanno le cose: l’uomo propone e Dio dispone. Il caso volle che un bel mattino, una biondina passasse sotto le finestre del nostro ciabattino, che egli la scorgesse, che lei lo guardasse e che i due si innamorassero. Così in primavera il giovanotto invece di rimettersi in cammino si sposò. La giovane coppia si stabili in una casetta ai margini del paese. Da quel giorno, puntualmente, ogni anno, la famigliola veniva rallegrata dalla nascita di un bel bambino.

Purtroppo il lavoro non era molto ed il povero ciabattino diveniva sempre più triste al vedere i propri figli crescere in povertà. Spesso sospirava ricordando la città natale e diceva alla moglie: Vivessimo a Venezia, invece che in questo paese sperduto fra i monti, allora si che farei fortuna! Li vi sono dame eleganti e bei cavalieri che saprebbero apprezzare le fini scarpette che so confezionare. Invece adesso mi tocca preparare solo zoccoli e scarpacce per questi zoticoni».
Un giorno la moglie, dopo essere rimasta per un poco pensierosa, gli disse:
Invece di lamentarti tanto, prepara tante paia di pantofoline, scarpette da ballo, scarpine da cavaliere. Poi, riponile in un sacco e va a Venezia a venderle. Chissà che tu non possa tornare a casa con un bel gruzzolo».
Il ciabattino, allegro e riconoscente per il buon suggerimento ricevuto, si mise subito al lavoro. Taglia e cuci in meno di un mese riuscì a preparare un numero sufficiente di scarpette e di pantofole. Poi, come gli aveva suggerito la moglie, le stivò, baciò affettuosamente la sua donna ed i bambini e, tutto allegro, partì per la città natale. Cammina, cammina, finalmente giunse a Venezia. Era una bellissima giornata, l’acqua del Canal Grande, solleticata dal vento sembrava cantare una sua misteriosa canzoncina
tutta inviti e promesse. Fatto sta che, con sua gran meraviglia, il pover’uomo, verso sera, si ritrovò con il sacco vuoto ed un bel gruzzolo in tasca. Tutto felice, pensò bene, prima di ritornare sa, di fermarsi in una locanda per concedersi una lauta cenetta.  Dopo un poco giunse alla locanda dei suoi desideri. Entrò e, tutto soddisfat-
to, si sedette ad un tavolo in attesa che l’oste gli servisse la cena. Ben presto però la sua attenzione venne attirata da due strani messeri avvolti in neri mantelli che stavano confabulando fra loro in un angolo. Stranamente sembrava che tutti cercassero di tenersi alla larga da essi. Così, quando un garzone venne a chiedergli che desiderasse mangiare, il ciabattino di Predazzo gli chiese:
«Giovanotto, mi sapreste dire chi sono quei due e perché tutti hanno paura di loro?»
Il ragazzo postosi rapidamente un dito sulle labbra ad indicare silenzio, mormorò: «Si dice siano due maghi ».

«E con questo?» replicò allegramente il nostro uomo. Cosa
possono fare a gente onesta come noi? »
A Tutto,» replicò il ragazzo chinandosi maggiormente verso di lui, ucciderci o renderci immortali, miserabili o ricchi sfondati. Ma adesso basta, signore, con queste chiacchiere. Essi potrebbero indovinare che stiamo parlando di loro e vendicarsi. Invece vi porterò subito la vostra minestra». E, svelto, svelto, sparì in cucina.
Le chiacchiere del ragazzo però avevano fatto perder l’appetitomal ciabattino che, facendo finta di niente, continuò a tener d’occhio i due ospiti misteriosi. Quasi contro la sua volontà, quando essi uscirono s’alzò egli pure seguendoli a una certa distanza. Ormai la notte era calata su Venezia e solo la luna illuminava, a tratti, le vie.
Silenziosi e guardinghi, scivolando lungo i muri, i due maghi percorsero innumerevoli calli, attraversarono molte piazzette, salirono e scesero tante scalinate. Ormai il ciabattino di Predazzo non li seguiva più per curiosità ma spinto dalla speranza che essi, involontariamente, lo conducessero in un luogo conosciuto, fuori da quel
labirinto dove gli sembrava di essersi perduto da troppo tempo.
Cammina, cammina, ad un tratto svoltato l’ennesimo angolo, i due maghi sparirono. O almeno così credette il nostro pover’uomo che dapprima si mise a correre nel tentativo di raggiungerli, poi, accortosi che l’eco gli rimandava soltanto il rumore dei propri passi, tornò indietro pensando di aver infilato la strada sbagliata, poi,
finalmente, si fermò mettendosi attentamente in ascolto. Fu così che giunse fino a lui uno strano brusio. Sembrava che numerose persone parlassero animatamente ma sottovoce in fondo ad un andito buio. Facendosi coraggio, il nostro ciabattino, tentando di fare il meno rumore possibile, varcò l’entrata misteriosa, inoltrandosi lungo quello che sembrava essere un corridoio. Lo guidavano le voci, sempre più vicine ed un lontano chiarore. Pian, piano, tastando i
muri per guidarsi meglio e badando a non inciampare, egli giunse fino in fondo al corridoio, svoltò a destra… se non fosse stato svelto a nascondersi dietro una colonna, dove rimase ad occhi spalancati per la sorpresa, non osando quasi respirare, certamente egli sarebbe stato scoperto. Dinnanzi a lui, in una grande sala illuminata dalle fiammelle di numerose candele, stavano sei o sette uomini
tutti egualmente vestiti: portavano indumenti di lino bianco coperti da una tunica di lana nera ed un cappello a punta pure di lana nera. Sul petto e sul copricapo erano ricamate, con filo d’oro e d’argento, stelle e segni misteriosi, mentre alcune parole, in caratteri ebraici, erano ricamate con filo rosso. Le loro scarpe, in pelle bianca d’agnello, portavano dei disegni eseguiti con la penna d’oca intinta nel cinabro. Il ciabattino allungò il collo tentando di afferrare altri
particolari di quella strana messinscena. Potè così vedere che alla base del cappello, tutti avevano scritto «Gibor » sul davanti, «Eloy a sinistra, « Adonè» a destra, «Jahovach» di dietro. Ad un tratto uno dei maghi zittì perentoriamente gli altri e, levatosi in piedi, agitando un ramo biforcuto di nocciolo iniziò un lungo discorso che al ciabattino risultò pressochè incomprensibile.
Finalmente riuscì a comprendere che il mago stava parlando di tesori nascosti in certi luoghi. La sua attenzione si acuì ancor quando udi fare il nome del proprio paesello. Aguzzò le orecchie e riuscì ad afferrare le seguenti parole: «Predazzo, valle di Fiemme, casa di Rizzoldi, segnata con una croce sulla facciata davanti, al primo piano, quartiere a sinistra, sotto il focolare della cucina, grande tesoro».
Queste parole fecero balzare in gola il cuore del povero ciabattino. Egli conosceva quella casa, conosceva le persone che l’abitavano. Possibile che effettivamente, proprio lì esistesse un tesoro nascosto? E se esisteva era necessario scoprirlo prima che sul posto arrivassero quei maghi vestiti in modo tanto assurdo. Chissà che, per una volta tanto, la fortuna non avesse deciso di assisterlo?
Guardingo ed emozionatissimo, il ciabattino riguadagnò silenziosamente l’uscita. Con sorpresa si accorse da un lieve chiarore che l’alba stava sorgendo. Senza attendere oltre tentò di uscire da quel labirinto di calli dove si era cacciato seguendo i maghi. Finalmente, come Dio volle, si ritrovò in aperta campagna. Di lì si diresse verso nord ovest, sperando di essere sulla via giusta. La speranza metteva le ali ai suoi piedi. Per tre giorni e tre notti egli camminò quasi ininterrottamente concedendosi solo qualche breve riposo. Attraversò così, quasi in sogno la pianura, s’inoltrò nelle valli alpine, giunse in vista di Predazzo.
Lacero e stanchissimo entrò in casa sua e, posto in mano alla moglie il gruzzolo guadagnato vendendo scarpine, si precipitò nuovamente all’aperto senza rispondere alle domande della donna sbalordita.
Casa Rizzolai sorgeva poco distante. Impaziente l’uomo vi si diresse cominciando a battere gran colpi alla porta per farsi aprire.
«Ih! che fracasso, » esclamò con voce fessa il suo amico Bepele, aprendo il battente. Senza rispondergli il ciabattino penetrò in casa e cautamente si rinchiuse la porta alle spalle. Poi, sottovoce, per tema di venir udito dai vicini, gli raccontò la propria avventura. Il vecchietto lo stette a sentire sovrappensiero, poi, scuotendo la testa dubbioso, disse:
L’unica cosa che ci resta da fare è spostare il focolare per vedere se sotto esiste veramente un tesoro. Ne dubito, ma se esiste faremo a metà».
Senza attender oltre i due compari andarono in cucina e cominciarono a smantellare il focolare. Lavora, lavora, man mano che il tempo passava essi diventavano sempre più ansiosi. Finalmente, quando l’ultima mattonella venne spostata si presentò ai loro occhi una pietra liscia. L’alzarono e scorsero una cassettina di ferro arrugginita. Con mani tremanti, l’afferrarono, la portarono sulla
panca, ne forzarono il coperchio… era piena di monete d’oro.
Felici e commossi i due uomini si abbracciarono. Poi, lealmente divisero a metà il tesoro che permise loro di trascorrere nell’abbondanza il resto della vita.

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