Voci di montagna – San Lugano

Proprio là dove la valle di Fiemme si restringe per poi tornare a distendersi in prati e boschi odorosi di resina sorge la chiesa di San Lugano. Risalente probabilmente al 1519, l’edificio è circondato da un cimitero con molte croci in ferro, secondo l’usanza tedesca. All’interno della chiesa, sopra l’altar maggiore, vi è una pala di Antonio Longo di Varena, illustrante, appunto, la leggenda del Santo Patrono.
Nel 424, si dice, Vescovo di Bressanone era un sacerdote di nome Lugano. Uomo intelligente e buono era però malvisto da ungruppetto di fedeli pettegoli ed intriganti. E poichè egli non sembrava ambire nè alla loro compagnia nè ai loro consigli interessati, essi, offesi nel loro orgoglio, tanto fecero e brigarono che le loro calunnie giunsero fino alle orecchie di Papa Celestino I. Subito egli mandò un messaggio a Lugano dove lo rimproverava per sua condotta scandalosa e lo esortava a farne pubblica ammenda. Lugano si sentì profondamente rattristato per tali rimproveri immeritati. Deciso a chiarire la cosa, montò a cavallo dirigendosi verso Roma dove contava di farsi ricevere dal Santo Padre.
Galoppa, galoppa, il Vescovo Lugano giunse nel territorio della Comunità di Fiemme, precisamente al Prà del Mas. Stava proprio
pensando di sostare un poco in quella località deliziosa per lasciar
riposare la sua cavalcatura quando dal bosco sbucò un enorme orso bruno che gli si avventò contro. Lugano, preso alla sprovvista non fece a tempo ad estrarre il pugnale per far fronte alla belva che, resa evidentemente furibonda dalla fame, con una zampata squarciò il ventre del cavallo. La povera bestia emise un nitrito, alto, di terrore, poi rovinò a terra. Il colpo aveva sbalzato di sella il Vescovo facendolo cadere poco più in là . L’orso famelico divorò i visceri del cavallo poi sollevò il testone fissando Lugano. L’uomo, tranquillamente, senza mostrare paura alcuna, gli disse: „Bel guaio hai combinato. Come faccio adesso ad arrivare a Roma, dal Papa, senza cavalcatura? Ma io a Roma devo proprio andarci. E allora sai che ti dico? Tu, che hai ucciso il mio povero cavallo lo sostituirai“. E alzatosi, andò vicino alla carcassa della propria bestia, ne levò i finimenti, poi, come fosse la cosa più naturale
del mondo, li mise all’orso, che si lascið bardare senza ribellarsi. Lugano montò sulla schiena dell’orso. E la bestia, senza nemmeno
attendere l’ordine, si mise in cammino verso Sud. Non avevano però ancor finito di attraversare il Prà del Mas che Lugano, guardando distrattamente fra gli alberi, scorse, nascoste sotto un cespuglio, dodici belle pernici che occhieggiavano fra ramo e ramo. Ridendo felice egli allora gridò: „Oilà belle pernici, noi andiamo a Roma. Volete venire anche voi dal Papa?“
Quasi non avessero atteso che queste parole, le pernici, con un gran frullo d’ali, si alzarono a volo, seguendo il Vescovo. Cammina, cammina lo strano corteo passò monti e pianure, città e paesi. E tutti accorrevano a vedere quello strano cavaliere che cavalcava un orso ed era seguito da dodici pernici. Finalmente, come Dio volle, Lugano giunse a Roma, alla presenza del Papa. Come gli fu dinanzi, dopo avergli offerto le pernici
venute da tanto lontano per vederlo, stese il mantello sopra un raggio di sole che stava scherzando coi mosaici del pavimento, s’inginocchiò e pregò il Santo Padre di scagionarlo dalle ingiuste accuse dei cittadini di Bressanone. Il Papa, convinto della sua sincerità lo benedisse, poi lo fece rialzare invitandolo a tornare fra i suoi fedeli. Così Lugano, rimontato in groppa all’orso, riprese la via del Nord. Purtroppo i suoi calunniatori non si diedero per vinti. Tanto fecero e brigarono che il Vescovo Lugano, un bel giorno decise di abbandonare definitivamente Bressanone. Senza curarsi di portare con sè nè vestiti nè gioielli, rimontato sulla sua fedele cavalcatura, senza voltarsi indietro, abbandonò per sempre il Sudtirolo, dirigendosi invece verso la Valle di Fiemme. Prima di stabilirvisi definitivamente però, volle recarsi nella
Valle Serpentina, nei pressi di Agordo, per liberarla da tutte le serpiÂ
velenose che l’infestavano. Quando vi giunse il sole era alto nel cielo. Ogni piccolo rialzo della valletta, ogni sasso, ogni tratto di terreno scoperto erano letteralmente ricoperti da vipere che si crogiolavano al calore estivo. Lugano avanzò tranquillamente. Attorno a lui fu subito un sibilare, un frusciare, un saettare di viscidi corpicini. Qualunque altro uomo, in quel momento, sarebbe stato sopraffatto dal terrore. Ma Lugano, sorridendo, disse soltanto: „Venite, amiche mie, venite. È tempo che voi abbandoniate questa valle per recarvi in altra dimora“. E proseguì impavido attraverso la valle. Dietro a lui, si mosse un vero esercito di vipere ma nessuna di loro tentò di morderlo. Cammina, cammina, finalmente Lugano giunse ad una profonda spaccatura del terreno. Si scostò e disse semplicemente: „Entrate. “ Ed ad una ad una, le innumerevoli vipere entrarono nella spaccatura scivolando verso il centro della Terra. Come l’ultimo serpentello fu scomparso dalla sua vista, Lugano pose una mano sulla fenditura che, miracolosamente, si chiuse. Si dice che da quel momento, a tutt’oggi, nessun serpente sia più stato visto in val Serpentina.
Compiuto il miracolo, Lugano si diresse, finalmente e per sempre verso la valle di Fiemme. S’inoltrò nei suoi boschi profondi, guardò i ruscelli, attraverso i prati costellati di fiori, s’inerpicò sui monti che la circondano. E lungo il fianco di uno di questi trovò una grotta profonda ed asciutta. Lì si fermò trascorrendo in preghiera e penitenza, come un santo eremita il resto della sua vita. Suoi compagni furono gli animali della foresta e la Beata Vizza che l’assistette, dicono, nei suoi ultimi momenti. Visse solo e lontano dal mondo, ma tutti, in paesi vicini e in paesi molto lontani parlavano di lui come di un santo capace di compiere i miracoli più straordinari.
Quando la notizia della sua morte si propagò, rapida come un baleno, da Belluno accorsero subito alcuni fedeli, decisi a portarne il corpo nella loro città per darvi degna sepoltura. Dopo ore ed ore di cammino estenuante essi giunsero in val di Fiemme, s’inerpicarono sul monte, arrivarono alla grotta dove era vissuto da eremita il Vescovo Lugano.
Entrati, si chinarono per sollevarne il corpo che giaceva immoto sopra la pietra che per tanti anni gli era servita da giaciglio. Provarono in due, provarono in tre, in quattro ma inutilmente. Il corpo, pesantissimo, sembrava addirittura abbarbicato alla terra. Dopo innumerevoli tentativi i bellunesi compresero che Lugano non voleva abbandonare la valle di Fiemme nemmeno dopo morto. Intanto erano arrivati anche dei fiemmesi fermamente decisi a seppellire il Santo eremita in una chiesetta della loro valle. Ma nemmeno loro, per quanti sforzi facessero, riuscirono a staccare il corpo del Vescovo dal masso dove giaceva. Come fare per dargli degna sepoltura? Bellunesi e fiemmesi si consultarono a lungo. Infine si attennero ad una decisione salomonica: i bellunesi, con un colpo d’ascia staccarono il capo di San Lugano e lo portarono ad Agordo dove lo seppellirono nella chiesetta a lui dedicata. I fiemmesi invece, si accontentarono di staccargli un braccio che in seguito deposero in un’urna dentro la chiesa gotica.






