Voci di montagna – Una strega bruciata

Tradizione, dal verbo latino tradĕre, ossia consegnare, tramandare. Da secoli generazioni si sono “tradite” il sapere, prima per via orale e poi per iscritto. Tradire il sapere, nasconde appunto quel significato sinistro di tramandare in forma oscura, avvolgendo in forma ermetica la realtà, ammantandola di fascinoso enigma e mistero. Tutto questo caratterizza appunto la leggenda, in cui il quadro reale della vita viene dipinto con i colori favolistici della fantasia, consegnando ai posteri l’opera di un popolo che ha racchiuso in essa la sua storia e i suoi saperi.
Il territorio della montagna da sempre, negli antri delle sue grotte, nei fitti boschi delle sue vallate, nelle strette vie dei suoi paesi inerpicati sulle alture più recondite, offre a chi la popola e a chi la visita il suono di voci indefinite di storie lontane, di inumane esperienze e sovrumane avventure, dove l’irreale si confonde con la verità di popoli che nelle loro leggende mantengono viva la loro essenza.
Generazioni e generazioni d’uomini sono passate sopra il primitivo ponte che scavalca la Fersina, congiungendo Canezza con la Valle dei Mocheni. Circa mille anni fa, un gruppo di pastori padani,risalì la vallata alla ricerca di una nuova patria. Piantarono le loro tende sugli erti declivi, osservarono felici il bestiame che si saziava con l’erba folta e profumata del prativo. Si sa che i nuovi gruppi etnici, a qualunque razza appartengano non portano con sè soltanto oggetti necessari e materiali, ma anche un patrimonio spirituale fatto di ricordi, di insegnamenti, di precetti religiosi, di leggende.
Oggi nella vallata si narra ancora una storia che si pensa si
possa attribuire a quel primo stanziamento umano.
Un tempo viveva un contadino, proprietario di un alto monte.
Sulle sue pendici egli soleva mandare, d’estate, il proprio bestiame,
sorvegliato da un pastore, affinchè diventasse più grasso e vigoroso. A mezza costa, sotto un alto castagno, egli aveva fatto costruire una capanna affinchè il custode delle proprie bestie potesse avere
un riparo per la notte. Come avrete già capito i suoi affari andavano
molto bene. In pianura egli aveva una bella casa, una brava moglie,
tanti bambini biondi.
Passata l’estate, alle prime avvisaglie d’autunno, tutta la famiglia sooeva affacciarsi di buon mattino al balcone per poter avvistare di lontano le mandrie che scendevano dalla valle dei Mocheni
tutte infiorate e guidate da un pastore felice di poter finalmente far
ritorno a casa. Un anno però uomo e bestie furono attesi invano. I giorni passarono uno più fresco dell’altro, la
neve imbiancava già le cime, ma di bestie e pastore manco il segno.
Finalmente il contadino si decise a risalire il monte per vedere cosa fosse successo.
Cammina, cammina, finalmente, sparse qua e là su tutti i prati scorse le proprie bestie. Questa vista gli fu di gran sollievo. Ma e il pastore? Per quanto scrutasse all’ingiro non riusciva proprio a scorgerlo. Finalmente giunse davanti alla capannuccia. Picchiò un gran colpo alla porta, ma nessuno gli rispose. Esitando, la spalancò… dinanzi a lui giaceva, steso per terra, il corpo del pastore morto. Spaventato il contadino corse a valle a dare la notizia. Probabilmente il pover’uomo si era sentito male, non aveva fatto a tempo a uscire per chiamare aiuto… chissà.
L’anno seguente il contadino dovette cercarsi un altro pastore.
Lo trovò ma, all’autunno, quando cominciò a spiare verso la valle
dei Mòcheni l’arrivo del bestiame, non scorse nessuno. Passò un giorno, ne passò un altro… finalmente si decise a risalire il monte.
Cammina, cammina, gli sembrava di rivivere un terribile incubo.
Proprio come un anno avanti le sue bestie erano sparse in tutti i prati della montagna, incustodite. Del pastore nessun segno. Giunse alla capanna, bussò, entrò… l’uomo era steso a terra cadavere.
A quella vista il poveretto credette d’impazzire. Quella capanna doveva essere maledetta. Non era possibile che due ragazzi sani e robusti vi morissero nelle medesime circostanze, a poca distanza uno dall’altro, di morte naturale.
Strappandosi i capelli per la disperazione, egli si precipitò a valle gridando la triste nuova. I compaesani rimasero allibiti: un fatto del genere non si era mai sentito. Ma forse … chissà, poteva anche darsi che i due ragazzi avessero voluto assaggiare qualche frutto velenoso… Il terzo anno, però, lassù sul monte, morì, nello stesso
modo anche un terzo pastore. E da quel giorno nessuno volle più occuparsi del bestiame del ricco contadino. Chi diceva che la sua capanna fosse stregata, chi che egli fosse in combutta con gli assassini, chi che fosse maledetto da Dio. La stagione ormai era piuttosto avanzata e le sue mandrie stavano ancora rinchiuse nelle ampie stalle. Il pover’uomo non sapeva più dove sbatter la testa. Un giorno egli scorse, per le strade del paese, un ragazzo straniero. Speranzoso gli si avvicinò e gli chiese se sarebbe stato disposto a condurgli le mandrie su quel monte, lì nella valle del Mocheni, e a sorvegliarlo
per lui durante tutta l’estate. Il compenso
sarebbe stato buono: cento scudi d’oro.
Il ragazzo, che non conosceva i precedenti della vicenda, accettò tutto contento.
《Bene,》 gli disse il contadino 《domattina presentati a casa mia.
Ti aprirò la stalla e ti darò un acconto per il lavoro.》
Poi frandosi le mani se ne andò. Il pastorello, ben deciso a festeggiare la sua buona sorte, entrò in un’osteria e si ordinò un boccale di vino. L’oste e j pochi clienti lo squadrarono un poco diffidenti, ma il ragazzo non ci fece caso. La sua gioia era tanto grande che raccontò a tutti il gran caso capitatopli. Sennonché, con sua sorpresa, invece di sentire esclamazioni di meraviglia, o frasi di congratulazione vide i musi dei suoi ascoltatori allungarsi di un buon palmo. Invece che ad una festa sembrava di trovarsi ad un funerale.
E Cuorcentento (d’ora in pol chiameremo così il nostro pastorello)
che soleva dire chiaramente in faccia a tutti quel che pensava, rinfacciò ai presenti d’essere degli invidiosi.
Allora essi un po‘ titubanti, un po‘ malignetti, con l’aria di far
una gran buona azione, spiattellarono al ragazzo la verità. Egli rimase un po‘ sovrappensiero. Se la faccenda veniva spiegata in quella maniera … behl allora cento scudi non erano poi troppi.
《Scappa》, lo consigliarono tutti. Ma la speranza di svelare un
mistero, di esser partecipe di un’avventura straordinaria avevano
ormai incantato il ragazzo più ancora che non l’alto compenso offertogli. Così si raddrizzò sulla snella personcina, si buttò all’indietro, con gesto strafottente il berrettino con la piuma e disse, squa-
drando uno ad uno i suoi interlocutori:
《Io invece accetto. 》 E se ne andò a dormire.
Al mattino seguente, puntuale, si trovò davanti alla casa del contadino. L’uomo gli aprì, gli consegnò il bestiame e qualche soldo poi con l’aria di chi dovrebbe parlare e non può cominciò a bofonchiare:
《Mi raccomando, se bussano, non aprire…e… ah!… non
mangiar funghi… ehm! ehm!… ricordati di dir sempre le tue preghiere…》
Il ragazzo gli spalancò in viso due occhioni carichi d’ironia e con una vocetta dolce, dolce, gli disse:
《Non abbiate timore, io non finirò ammazzato come gli altri vostri pastori.》
Poi, senza curarsi oltre del suo sbalordito padrone, con un 《ih!》
energico e con una grande frustata in aria mise in moto la mandria.
Va, e va, il ragazzo e le sue bestie giunsero al ponte sulla Fersina, lo passarono, cominciarono a inerpicarsi lungo i ripidi pendii del monte. Arrampica, arrampica, su quel prati costellati di fiori e di farfalle sembrava che il tempo non passasse neppure. Ma invece venne sera. Gli enormi castagni e i noci cominciarono ad allungare la loro ombra contro gli intrusi, quasi volessero inchiodarli al suolo.
Ma il ragazzo rise delle loro speranze.
La luna era già alta nel cielo quando, finalmente, egli giunse alla capanna.
Spalancò la porta ed entrò: nel centro vi era il posto per accendere il fuoco, di lato una panca, un tavolo. Per dormire avrebbe ammucchiato delle foglie secche in un angolo. Tutto normale
dunque. Che da qualche parte vi fosse un insetto velenoso? Il pastorello scrutò ovunque, spazzò bene il pavimento: niente,
Allora, poichè egli era stanco e di assassini e malefizi non vi era neppure l’ombr, decise di andare a dormire. Per maggior sicurezza chiamò dentro la capanna anche il suo fedele cane da guardia,
sprangò la porta e poi si addormentò come un angioletto. Venne
svegliato, il giorno seguente, da un sole sfolgorante che aveva già
tinto d’oro tutti i prati all’ingiro. Il ragazzo uscì ed andò a sorvegliare le mandrie. In questo modo passarono il primo giorno, Il secondo e molti ancora. Il pastorello badava a non coglier bacche, temendo che ve ne fossero di velenose, faceva attenzione acchè, nella
sua capanna non penetrassero bisce o insetti velenosi. A volte si
sentiva un po‘ ridicolo. Pensava:
《Sembra quasi che io non abbia mai vissuto in montagna. Si di-
rebbe che questo pezzetto di Paradiso mi incuta una paura terribile!
Eppure … eppure, in quest’oasi di tranquillità sono morti ben tre
uomini. E non credo proprio che sia stato il padrone ad ucciderli,
con quella faccia da pan dolce. E poi, perché?》
Il mistero gli venne svelato verso la fine dell’estate. Era sera, una di quelle sere di settembre che tingono di viola le cime dei monti, facendo rabbrividire, nei prati, i teneri colchici. Egli, ben chiuso nella sua capanna, stava preparandosi una polentina di mais sopra il fuoco, col cane accucciato a fianco. Ad un tratto la bestia divenne irrequieta, ringhiò. Certamente stava arrivando un estraneo. Il pastorello appoggið l’occhio ad una fessura fra tronco e tronco, spiando i dintorni. A pochi metri di distanza vide una vecchiaccia gobba e sbilenca, con una scopa in mano… una strega. Comprese che
quella e solo quella era l’assassina dei tre pastori che l’avevano preceduto.
Ma poichè era un ragazzo coraggioso ed intelligente, lì per lì ideò il modo per sbarazzarsene liberando nel contempo l’intera valle da quella maledizione. Nel frattempo anche il cane, che gli era
venuto appresso, aveva scorto l’intrusa e abbaiava a più non posso.
La vecchia si fermò. Il pastorello, con quanta voce aveva in corpo,
fingendo una sicurezza che non aveva, gridò:
《 Brutta donnaccia, se non sei il diavolo, entra: io mi chiamo Io stesso.》
《Volentieri, entrerò proprio volentieri 》 stridette la maledetta,
《ma prima lega quel tuo cane. Sai, mi fa tanta paura》
Il ragazzo prese un filo sottile e debole e legò il cane.
Poi corse ad aprire la porta:
《Entrate nonna,》 disse, 《 ho legato il pane con una catena di ferro: non vi farà alcun male》 ed arretrò rapidamente di alcuni passi, fino al centro della stanzetta, dove ardeva un bel fuoco.
La vecchiaccia credendosi sicura del fatto suo, si precipito dentro brandendo un coltello, tentando di colpire il pastore.
Il cane, al veder il suo padrone minacciato, con un lievissimo
sforzo spezzò il filo che lo teneva legato e si gettò sulla strega azzannandola. Svelta come il fulmine ella si liberò precipitandosi all’aperto. Cane e ragazzo le corsero dietro.
Nell’ansia di fuggire, lei si era lasciata sfuggire la scopa, perciò doveva liberarsi dei suoi inseguitori correndo sulle proprie gambe che, ahimè, erano piuttosto arrugginite. Ciononostante fece miracoli. Stracci al vento, la strega correva sui prati come un turbine, il cane e il ragazzo dietro. Corri, corri, ormai era calata la notte ma il pastorello, che brandiva una torcia accesa non perdeva di vista
l’ansimante vecchia. Alla fine la sua gioventù ebbe la meglio. Conuna mano riuscì ad agguantarla mentre il cane le azzannava la veste tenendola ferma. Per la strega non sembrava vi fosse più ombra
di speranza. Perdendo la propria scopa, infatti, aveva perso anche gran parte del proprio potere. Provò a biascicare qualche formula magica. Non accadde niente. Allora, al colmo della disperazione,
continuando a divincolarsi, cominciò a gridare:
《Aiuto, sorelle, aiuto. 》 Il ragazzo le avvicinò la torcia ai capelli che presero subito fuoco.
《Aiuto, sorelle aiuto, sto bruciando!》 gridava la strega.
Dai boschi lontani, dalla cima del monte le consorelle le risposero in coro:
《Chi, chi ti fa del male?》
《IO STESSO!, 》 urlo con quanto fiato aveva in gola la strega.
《Beh?,》 le venne risposto, 《se non ti diverte, smettila!》 E
sdegnate, le altre streghe se ne andarono per i fatti propri, senza nemmeno andar a vedere cosa succedeva lì in quel prativo a mezzo monte
Fu cosi che una strega bruciò in val dei Mocheni, tanti e tanti secoli fa, lasciando di se stessa solo il ricordo.






