Briciole di Memoria: Una domenica intrisa di sangue

“Solo pochi di noi ricordano la tragedia del 24 aprile 1921, registrata nella storia della nostra terra come la domenica di sangue, la Blutsonntag. Ciononostante, questo drammatico episodio non si è ancora trasformato in un avvenimento storico che noi ricordiamo e le cui vittime noi onoriamo: la morte del maestro Franz Innerhofer sotto il piombo fascista”.
Con questa frase il carismatico leader della Sudtiroler Volkspartei Silvius Magnago aveva ricordato il maestro di Marling in quel 25 aprile del 1971 quando a Bolzano, in Piazza del Municipio, parlò assieme ai rappresentanti dell’Anpi, l’ Associazione nazionale dei partigiani e gli esponenti della Dc, del Psi e del Pci: l’unica volta dal 1946 che ha visto la partecipazione dell’Obmann ad una commemorazione della Resistenza con un discorso pubblicato a cura di Perspektiven, una realtà culturale tesa a creare una maggior conoscenza della storia dei due gruppi etnici.
Il discorso di Magnago è, probabilmente, la più importante ricostruzione di quell’avvenimento che racconta “il primo, orribile segno di un’epoca che ha portato miserie indescrivibile non solo sulla nostra terra, ma su tutta l’Europa e sul mondo”. Continua Magnago: “Bolzano offriva l’aspetto della serenità. La rinascita economica dopo le conseguenze della Grande Guerra e del trattato di pace aveva portato alla Fiera di Bolzano, la Bozner Messe detta anche Fiera di Primavera, “un’aria di festa”, forse la prima dopo la tragedia della Inutile Strage e “alla lieta inaugurazione, la popolazione tedesca del Sudtirolo era accorsa nei suoi tradizionali costumi. Centinaia e centinaia di compatrioti, uomini, donne e bambini vestivano gli abiti tipici delle loro vallate; bande musicali e gruppi di valligiani si erano dati convegno per esprimere, dopo la sensazione di depressione che comprensibilmente era stata provocata dall’annessione [al Regno d’Italia], la volontà di esistere e la fiducia del popolo sudtirolese di voler vivere nel nuovo Stato, in libertà ed in pace, di svilupparsi e di affermarsi”.
C’era anche un altro avvenimento che aveva spinto alla massiccia mobilitazione le genti da Salorno al Brennero. A Innsbruck c’era stato un plebiscito che chiedeva l’annessione del Tirolo alla Germania e alla Bozner Messe si era deciso di raccogliere le adesioni – ovviamente solo fra le genti di lingua tedesca – per la separazione dall’Italia. L’idea aveva messo in allarme i fascisti di Bolzano che per telegrafo avevano allertato le federazioni della Lombardia e del Veneto, soprattutto di Verona, Brescia, Mantova e poi Ferrara e Bologna.
Manipoli sempre sul piede di guerra, visto che quella era epoca di violentissimi scontri con gli “arditi del popolo” i reduci di fede socialista, gli anarchici in una Italia, soprattutto quella del nord, piegata dalle enormi privazioni della guerra, prostata dalla disoccupazione, popolata da giovani uomini che dall’ Isonzo al Piave, dal Montello al Grappa avevano conosciuto solo il mestiere delle armi e l’odio contro il tedesco. Ed erano sopravvissuti. Ed erano i vincitori ma smobilitati, si erano trovati senza un mestiere e un futuro. C’ erano già stati molti morti e feriti a Firenze, Empoli, Casale per un inestricabile succedersi di provocazioni, violenze, rappresaglie culminate nello spaventoso attentato commesso nella sera del 23 marzo a Milano, al teatro Diana, dove una bomba piazzata da anarchici individualisti che volevano uccidere il questore Giuseppe Aurelio Gasti aveva massacrato 21 persone scatenando rappresaglie così violente da indurre Mussolini a scrivere sul Popolo d’Italia : “Nessuno dei fascisti deve assumersi il compito di iniziative individuali che possano gettare una luce meno simpatica sul fascismo”.
A Bolzano era già arrivato Achille Starace, l’Ardito del Veliki, nome di un costone del San Gabriele sopra Gorizia, teatro di furibonde battaglie, il “sergente del fascismo”, il fondatore del fascio di Trento che diventerà il segretario del Pnf, il Partito Nazionale Fascista e aveva assunto il comando di squadre di picchiatori per poter dare, anche questo lo ha scritto Magnago, “con la scusa della difesa della Nazione, una prima prova di forza non contro la popolazione tedesca del Sudtirolo, che era pacifica, ma contro le forze dell’ordine per dimostrare in che misura le orde fasciste dominavano la strade e potevano tenere in scacco le forze democratiche”.
Il 24 aprile, in piazza Walther von der Vogelweide ci fu il primo atto della manifestazione di violenza. Si narra – ma forse è una leggenda, però curiosa – che quelli della “Volante Rodella”, una formazione di tre reduci residenti a Montichiari che avevano combattuto nelle Fiamme Nere e diventati picchiatori comparivano fra Verona e Mantova negli assalti alle cooperative rosse, a l canto “se non ci conoscete guardateci dall’ alto – noi siam le fiamme nere dei battaglion d’assalto”, irruppero nella piazza a bordo di un sidecar Stucchi con una mitragliatrice piazzata sulla struttura laterale e spararono una raffica contro il Duomo.
“Fu il segnale. Piombarono su un pacifico corteo di sudtirolesi e quando furono messi in difficoltà dalla folla, impugnarono le pistole e le bombe a mano”.
Continua Magnago: il maestro Franz Innerhofer di Marling “era venuto a Bolzano quale componente della sua banda musicale portando un gruppo di ragazzi che indossavano i vivaci costumi tirolesi. Quando scoppiarono i tumulti, la preoccupazione dell’Innerhofer fu quella di portare in salvo i ragazzi lungo via Museo e via della Roggia. Uno gli stava particolarmente a cuore, il piccolo Hans Theiner, che aveva potuto venire a Bolzano solo dopo le particolari insistenze del maestro presso i genitori”. Lo sospinse fino al Palazzo Stillendorf vicino alla Chiesa del Sacro Cuore, “luogo che giudicava come il più sicuro per il suo protetto. Ma le squadre fasciste si erano radunate anche lì, videro Innerhofer e gli spararono attraverso le sbarre del cancello”.
Una pallottola colpì il maestro “che cadde nel suo sangue sul primo scalino della scala che porta ad un corridoio, ma il piccolo Hans era salvo” e venne portato via da quel luogo da Menz Popp.
“Franz Innerhofer resterà sempre per noi un particolare simbolo ammonitore; era stato ucciso solo perché apparteneva ad una minoranza, dagli aderenti ad un gruppo politico che avevano iscritto sulle loro bandiere la violenza e l’oppressione. La libertà ebbe in Franz Innerhofer la prima vittima. La vittima successiva della dittatura fascista fu la libertà stessa”.
Mancava un anno alla Marcia su Roma e Benito Mussolini raccontò quella giornata sulle pagine del quotidiano Il Popolo d’Italia scrivendo che i manipoli fascisti si erano difesi dall’aggressione dei nostalgici dell’Austria e aveva aggiunto: “In Italia ci sono più di centomila fascisti pronti a distruggere e cancellare il Sudtirolo piuttosto che consentire che sia ammainato il Tricolore che sventola sulla Vetta d’ Italia”
In un altro articolo sempre su Il Popolo d’Italia avvertiva che “bisogna schiacciare i crani tedeschi… un migliaio di scarponi fascisti si stanno allenando per questo compito. Giù le mani dal Brennero”. Forse in quel giorni il futuro Duce decise non di italianizzare ma di fascistizzare il Sudtirolo, azione cominciata subito dopo la Marcia su Roma.






