Briciole di Memoria 124: un rosario di figuracce

Una breve analisi sulle tre guerre di indipendenza italiane combattute contro l’Austria e sul periodo storico sino al 1915, prendendo ad esame i fatti come sono avvenuti, epurandoli dalle bugie della storiografia ufficiale italiana al fine di comprendere chiaramente ciò che accadde.
La prima guerra d’indipendenza è stata un’avventura dilettantistica che ha trovato un po’ di spazio solo nelle oggettive difficoltà interne degli austriaci. I piemontesi e i loro pittoreschi alleati peninsulari non hanno fatto granché. Novara è finita malamente con un esercito (quello italiano) in rotta che saccheggia la città e un generale fucilato per tradimento. Nel 1849 l’esercito piemontese, così poco efficace davanti a nemici in uniforme, sfoggia tutto il suo valore bellico contro la popolazione di Genova che il generale La Marmora fa mettere al sacco dalle truppe piemontesi da lui comandate. Dal 5 all’11 aprile 1849, i soldati sabaudi si abbandonarono alle più meschine azioni contro la popolazione civile, violentando donne ed uccidendo padri di famiglia e fratelli che si opponevano allo scempio, sparando alla gente che si affacciava alle finestre e correndo per le strade al grido di: „I Genovesi son tutti Balilla, non meritano compassione, dobbiamo ucciderli tutti“ oppure: „Denari, denari o la vita“, a cui fecero seguito irruzioni e predazioni. Neppure i luoghi sacri vennero risparmiati e le argenterie razziate; i prigionieri, anche quelli che si erano arresi, vennero uccisi o stipati in celle anguste e costretti addirittura a dissetarsi della propria urina. A seguito di quanto accaduto, era consuetudine che le famiglie genovesi non inviassero i figli a prestare servizio militare nei bersaglieri sabaudi.
Nel 1859 fanno tutto i francesi. A San Martino, il comandante austriaco Ludvig von Benedek batte separatamente tutte le unità piemontesi e deve ritirarsi solo per l’esito del contemporaneo scontro di Solferino dove combattono le truppe francesi.
Nel 1860 si fanno guerre contro nemici inconsistenti o “comperati”. Nel Sud il “biondo eroe “combatte solo battaglie inventate, vinte a tavolino, contro un nemico pronto ad arrendersi anche prima che glielo si chieda. Quello napoletano è in sostanza poco più di un esercito da parata (<Vestiteli di rosso o di blu, scapperanno sempre >, diceva Ferdinando II), ma è soprattutto guidato da ufficiali che hanno già fatto una diversa scelta di campo oppure che sono degli incapaci. Nei rari casi di l’esito del combattimento è determinato dalla qualità di alcuni comandanti garibaldini, dall’intervento dei volontari inglesi e dei reparti piemontesi ma, soprattutto, dall’incapacità dei generali napoletani. I generali piemontesi fanno grande sfoggio di marziale virilità bombardando Ancona e Gaeta. Enrico Cialdini e Manfredo Fanti fanno continuare il cannoneggiamento di Ancona per 12 ore dopo la resa.
Il clou è però il 1866: sconfitta su tutta la linea contro un avversario assai più debole sulla carta. L’abisso è raggiunto a Lissa, dove 29 navi italiane (in buona parte moderne e corazzate) si scontrano con 18 antiquati battelli austriaci e perdono due corazzate: una vergogna senza pari. La Marmora e Cialdini, tanto coraggiosi nel cannoneggiare cittadini inermi e nel chiedere che si eviti la via della diplomazia per percorrere quella dell’ “onore delle armi”, scappano davanti a un esercito vero. Anche Bezzecca – narrata come la sola vittoria italiana – è una pia invenzione.
La presa di Roma è una ridicola sceneggiata contro i soldati che hanno l’ordine di non opporre che una resistenza simbolica. Ciò nonostante Bixio continua a cannoneggiare Trastevere per ore dopo che è stata esposta la bandiera bianca. Le guerresche immagini di Porta Pia sono frutto di ricostruzioni fotografiche dei giorni successivi; le eroiche scene di assalti alla baionetta di bersaglieri con le piume al vento sono creazioni di artisti fantasiosi e patriottici. Per cercare si salvare l’onore delle armi italiane si ricorre a Garibaldi, che millanta con grande indulgenza e scarso rispetto per la statistica: “Io, in cento combattimenti non conto una sola sconfitta”. Anche le meraviglie dei garibaldini in Francia sono un parto letterario.
Insomma l’unità è avvenuta senza glorie militari, anzi con un rosario di figuracce.
Non è andata meglio nelle guerre coloniali. In Africa è un disastro dietro l’altro: l’Italia è l’unico paese europeo che riesce a farsi sistematicamente battere in battaglia da forze indigene e a perdere una guerra coloniale. In Eritrea l’Italia arriva a prenderle da uno scalcinato paese africano. A Tien- Tsin, nella spedizione contro la rivolta cinese dei “boxer” del 1900, gli italiani si presentano con la pretesa di essere una grande potenza: per sbarcare devono farsi aiutare dagli alleati perché non sono neppure in grado di mettere a terra le fanterie. La Libia deve essere la consacrazione del ruolo di grande potenza ma finisce malamente: una serie di cocenti sconfitte vengono inflitte da una banda raccogliticcia di ufficiali turchi e di beduini arrabbiati. Nel 1915 gli italiani sono rintanati in cinque città costiere dalle quali non osano uscire.
Tutta la storia militare dell’Italia unita è un rosario di figuracce nonostante l’impegno economico e la gagliardia verbale. In compenso si esercita tutta la possibile bellicosità contro le popolazioni italiane: in poco più di cinquant’anni lo stato d’assedio viene proclamato ben nove volte. Di fatto l’esercito è impiegato soprattutto come forza di polizia in operazione di ordine pubblico.
Bibliografia:
Franco Bampi e Gilberto Oneto „L’insurrezione genovese del 1849.il generale Lamarmora brucia e saccheggia la città“ (edito da „il cerchio“ Rimini 2010)
PatriK Keyes O‘ Clery „La rivoluzione italiana,come fu fatta la nazione( edizioni Ares,Milano 2000 Pag.478
Marco Mondini“Veneto in armi.Tra mito della nazione e piccola Patria.1866-1918″(Libreria editrice goriziana ,Gorizia 2002 ) Pag. 28
Indro Montanelli e Marco Nozza“Garibaldi .Ritratto dell’eroe dei due mondi“(Rizzoli Milano 2002) Pag. 206
Gilberto Oneto „Il guerrone,nefandezze del 1915-18“ ( edito da il cerchio 2015) Pag. 82-83-84






