von mas 11.07.2019 06:30 Uhr

Briciole di Memoria 123: Incapacità, inettitudine e vergognosa barbarie – parte seconda

L’appuntamento settimanale con Massimo Pasqualini: aneddoti, racconti, ricordi ed immagini dal Tirolo di Lingua romanza.

Incapacità ed inettitudine dei comandi italiani durante i primi giorni di guerra del 1915 e la vergognosa e barbara strage di civili dei paesi „redenti“, uccisi dall’esercito „liberatore“ italiano perché sospettati di spionaggio o per il fatto che erano ritenuti troppo fedeli all‘ Impero Asburgico. Ad ogni capoverso evidenzio i riferimenti dei libri da cui ho preso fedelmente le notizie qui raccontate, in più segnalo anche le pagine in maniera da poter agevolare il controllo dei fatti riportati per chi ritenesse che questi fossero inesatti, falsi o inventati

Il 24 maggio del 1915, a causa del vile tradimento della casa Sabauda, alleata per più di trent‘ anni nella triplice alleanza con l’Austria, l’Italia varca i confini dell’Impero austriaco presidiato e difeso solo in alcuni punti dalle scarsissime forze Asburgiche ma ci vogliono molti giorni per fare pochi chilometri. Il primo giorno di guerra si avanza di soli 6 chilometri in un territorio dove non c’è neppure un gendarme di frontiera. Gradisca, a 19 chilometri dalla frontiera, viene “liberata” il 15 giugno, 13° giorno di guerra.

Racconta nel 1919 il generale bavarese Kraft von Dellmensingen: “Avevamo previsto di sgomberare il Carso e lasciar libera la via verso Trieste. Ciò che fu determinante a cambiar parere e a difendere il terreno palmo a palmo fu la timidità con la quale si svolgeva l’avanzata italiana, specialmente della cavalleria, timidità che dette l’impressione di avere a che fare con un avversario poco aggressivo”. Eufemismi gentili.

Carlo De Biase, L’Aquila d’oro. Storia dello Stato Maggiore italiano 1861- 1945 (Milano: Edizioni del Borghese, 1970), pag.288

 

Che la “passeggiata su Vienna” di Cadorna possa essere un evento che gli austriaci ritengono possibile lo prova anche il fatto che l’ammiraglio Anton Haus, comandante della flotta imperiale, prepari lo spostamento del suo quartier generale da Pola a Cattaro.  “Nell’ imminenza di un possibile occupazione, gli enti militari imperial-regi di Trieste avevano iniziato lo sgombero dalla città, ma al 1 di giugno erano tutti al loro posto perché gli austriaci, vedendo la lentezza dell’avanzata italiana, s’erano convinti che non era il caso di muoversi dal Carso ed accettare la guerra sull’Isonzo”.

Gerardo Unia, il caso Airaldi. Un generale cuneese si oppone al massacro dei sui soldati sul Carso della Grande Guerra (Dronero: L’Arciere, 2002), pag.34

 

Partito pieno di entusiasmo, il Regio Esercito incontra le prime propaggini del sistema difensivo austriaco all’inizio di giugno: in poco meno di venti giorni passa dalla guerra di (guardingo) movimento a quella terribile di trincea. Gli austriaci tirano un respiro di sollievo e hanno tutto il tempo per trasferire sul fronte sguarnito dei rincalzi. Il numero delle loro divisioni cresce a 14 a metà giugno con 4 brigate autonome grazie all’arrivo dei reparti tolti dagli altri fronti, meglio addestrati e più esperti, cui la sconfitta russa di Gorlice contribuisce a dare entusiasmo. A questi si aggiungono nel mese di maggio più di 25.000 volontari provenienti dalle provincie alpine della Germania, che si presentano per difendere Carinzia e Tirolo. Sloveni, croati e serbi accolgono la guerra con entusiasmo in senso opposto a quanto sperato: vedono l’Italia come un invasore straniero e si prestano a opporre una difesa molto determinata. “Era l’odio e il disprezzo per gli italiani che riuniva in unico affezionato partito gli umori di slavi e austriaci ad animare le trincee, non certo la passione di combattere insieme”.

Domenico Quirico, Generali. Controstoria dei vertici militari che fecero e disfecero l’Italia (Milano: Mondadori, 2006), pag.263

Per gli italiani tutto diventa più difficile: sembrano psicologicamente schiacciati dalla gelida accoglienza delle popolazioni “liberate” da cui si aspettavano un festoso tripudio; non solo, nei villaggi sloveni il clima è di ostilità. Cade una certezza: non si viene a liberare ma a occupare, e molti -soprattutto fra gli ufficiali impregnati di entusiasmo interventista – subiscono una specie di shock. Le “italianissime” popolazioni del basso Friuli collaborano con entusiasmo alla costruzione di barricate per rallentare gli italiani nei primi giorni di guerra e accolgono ovunque con freddezza e porte sprangate i “liberatori”. In una lettera del deputato Federazon a Salandra si ipotizzano giustificazioni (“La striscia del Friuli orientale in cui si era ora estesa la prima avanzata delle truppe italiane è la parte più fedele agli Asburgo, anzi, l’unica parte austriacante delle terre irredente”) e di fronte all’ostilità locale si lascia andare in una amara considerazione: “Questi sono dunque, si chiederebbe, i fratelli che aspettavano ansiosi le nostre armi liberatrici”.

Piero Melograni, Storia politica della Grande Guerra 1915-1918(Bari: Laterza, 1972),pag. 30-31

 

Giovanni Comissio descrive l’entrata degli italiani a Cormons: ”Alla sera potemmo girare per il paese pieno di soldati, entrammo in un’osteria, dove le donne, seccate dalle nostri voci che ordinavano da tutte le parti, avevano gesti di noia per la nostra venuta. Questo ci eccitò malamente e si diceva: Così ci trattate dopo che siamo venuti a liberarvi! Ma quelle ci voltavano le spalle e poco mancò che non le bastonassimo”.

Aurelio Lepre.“Italia addio? unità e disumanità dal 1860 a oggi (Milano Mondadori,1994), pag. 121

Si è ossessionati dal sospetto che i locali siano tutti spie, sabotatori e traditori, e che facciano ogni sorta di segnali agli austriaci: basta una lanterna a una finestra o il rintocco di una campana per scatenare paure e isterismi. Sei paesini vicino al Monte Nero sono distrutti perché si dice che i contadini abbiano aperto il fuoco contro i soldati italiani; si sostiene che dei civili avrebbero sparato su soldati del 42 reggimento sotto il monte Mrzli: i carabinieri prelevano 61 uomini dal paese e li fucilano. Tutti gli altri, comprese donne e bambini, sono mandati in campo di concentramento.

John R. Schindler, Isonzo. Il massacro dimenticato della guerra (Gorizia: Libreria Editrice Goriziana, 2002), pag. 84-86

 

In seguito ad atti ostili, i carabinieri prelevano gli abitanti di Ladra, Nero, Ursina (Vrsno), Libussina, Smast e Kammo e li inviano alla deportazione. A Dresenza il 13 giugno 1915 viene fucilato tale Simon Koren, di 65 anni, con l’accusa di spionaggio: la vittima è un sordomuto. 27 civili sono fucilati nelle retrovie perché sospettati di spionaggio.

Marco Pluviano e Irene Guerrini, Fucilate i fanti della Catanzaro. La fine della leggenda sulle decimazioni della Grande Guerra (Udine: Gaspari Editore, 2007), pag 197,202,207,211 e 213

 

Nove persone sono fucilate a Villesse e a Mossa e sei contadini al ponte di Idrsko vicino a Caporetto con l’accusa di spionaggio.

Franco Ceccotti (a cura di), “Un esilio che non ha pari”. 1914-1918. Profughi ed emigrati di Trieste, dell’Istria (Udine: Libreria Editrice Goriziana, 2001), pag.82

 

Scrive Benito Mussolini il 15 febbraio 1916: “No. Questi sloveni non ci amano ancora. Ci subiscono con rassegnazione e con malcelata ostilità. Pensano che noi siamo di “passaggio”; che non resteremo”. E’ interessante quell’ancora…

Citato in: Camillo Pavan, Caporetto: storia, testimonianze, itinerari (Treviso: Pavan Editore, 1997), pag. 389

 

L’isterismo raggiunge punti di involontaria comicità: un ordine del generale Cavaciocchi impone la distruzione di “tutti i piccioni viaggiatori o domestici, di qualunque specie e razza”.

PieroMelograni, Storia politica della Grande Guerra 1915-1918 (Bari: Laterza, 1972), pag 29-31

 

Il timore e il sospetto dominano negli atteggiamenti dei militari italiani: i comandi non hanno alcuna conoscenza della realtà umana del territorio, vengono dall’ esperienza coloniale; anche qui sono accolti male e si comportano come fossero in Libia o Eritrea: vedono trappole e spie dovunque e usano contro la popolazione dei territori occupati il pugno di ferro. La repressione è durissima soprattutto nei confronti dei sacerdoti, non solo nelle terre “liberate” ma anche in quelle italiane da tempo: nella diocesi padovana sono una ventina quelli accusati di antipatriottismo o spionaggio, nel maggio del 1918 quindici di loro sono ancora internati.

Nino Agostinetti e Pierantonio Gios, “Introduzione” a : Andrea Grandotto, Diario di un prete internato 1915-1916 (Roana: Istituto di Cultura Cimbra, 1984), pag 20-21

 

I profughi che si allontanano dalle zone di guerra, sia per la lingua tedesca o slovena sia per antiche famigliarità di contatti e di lavoro con i paesi tedeschi sono considerati potenziali spie austriache e trattati come tali.

Silvana Battistello, Profughi nella Grande Guerra (Valdagno: Gino Rossato Editore, 2007)

Non è la felice passeggiata di primavera descritta da irredentisti, poeti e patrioti: è l’inizio di un doloroso e sanguinoso calvario che schiaccia tutte le facili illusioni della vigilia. Il generale Carlo Porro nel maggio 1915 aveva detto sicuro a Bissolati: “Saremo a Vienna per Natale”. Il pessimo esordio è coerente con la gestione di Luigi Cadorna dei primi 39 mesi di guerra: le sue convinzioni tattiche sono basate sulla contrapposizione in linea e su criminali attacchi frontali che sistematicamente si trasformano in terribili macelli. Non c’è alcun tentativo di penetrazione o di aggiramento, nessuna idea di sbarcare alle spalle delle linee nemiche o di colpire lungo la costa dalmata giocando sulla superiorità navale italiana. Il 23 giugno 1915 Cadorna scatena la prima offensiva sull’Isonzo con 28mila morti; sono 37 mila nella seconda fra l’11 luglio e il 8 agosto.

Davanti a questi numeri, Salandra a settembre prospetta per la prima volta di uscire dalla guerra. Cadorna nel gennaio 1916 scrive a casa: “Chi avrebbe immaginato una catastrofe di questo genere e così lunga?” Gente così gioca con la vita di centinaia di migliaia di uomini. Naturalmente c’è chi non condivide questi metodi: il colonnello Giulio Douhet prepara una dettagliata relazione per il ministro Bissolati e la consegna all’ex-sottosegretario Gaetano Mosca, in visita di fronte alla fine di settembre 1916. Ma il deputato smarrisce o (come si sussurra) viene derubato del plico da agenti che da tempo sorvegliano il Douhet. Il documento finisce nelle mani di Cadorna che apre subito un’inchiesta che si conclude con il deferimento del Douhet al tribunale militare e con la sua condanna alla destituzione e a un anno di prigione per insubordinazione.

Danilo Veneruso,“ La grande guerra e l’unità nazionale.Il ministero Boselli“ (Torino: SEI,1996), pag.117.

 

Questo fu l’inizio della guerra di „liberazione“ della nostra gente e delle nostre terre, perpetrato dal „fraterno“ conquistatore italiano.

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