Briciole di Memoria 108: A guerra finita…

Nella memoria popolare si sono tramandati alcuni episodi, riguardanti i soldati asburgici che non accettarono la condizione di prigioniero di guerra. Qui riporto alcuni episodi riguardanti eventi accaduti dopo quel fatidico 3 novembre del 1918 in Val di Sole, quando l’esercito austriaco fu obbligato a deporre le armi da un armistizio che entrava in vigore, per l’esercito italiano, solo il 4 novembre.
Questi fatti sono riportati nel libro „Preséna 1915-1918“ di Marco Ischia e Carlo Refatti, nel libro „Adamello. Storia e fascino di cento vette“ di Roberto Maino e Romano Lunelli, e in „Storia e storie delle valli del Noce“ di don Fortunato Turrini.
Il primo accadde a Fucine, il 5 novembre, quando tre soldati austro-ungarici erranti spararono sul tricolore issato a casa Zanella. Si accese così una colluttazione nella quale i tre finirono catturati e, fucilati ancora lo stesso giorno, furono sepolti nel cimitero militare di Ossana.
Un’altra sparatoria, anche se con un esito non così tragico, che si ebbe il 4 novembre a Malè, tra i soldati italiani e i locali Standschützen asserragliati nella loro caserma e per niente decisi a deporre le armi.
Un altro episodio racconta di una pattuglia in fuga, in cerca disperata di abiti civili con i quali confondersi tra i valligiani, che fece saltare il ponte presso Vermiglio e, nei boschi vicino a Celledizzo, si scontrò con i soldati italiani che ebbero la peggio. La pattuglia riuscì a raggiungere il nuovo confine e a salvarsi dalla prigionia. Le divise dei soldati furono ritrovate nel 1919 in una malga di val di Rabbi ai piedi di cima Venezia.
Non mancano eccessi da parte dei soldati dell’esercito italiano, come la distruzione della bandiera degli Standschützen di Rabbi, attaccata alla coda di un cavallo e tirata fino a Malè, o il terribile incendio della canonica di Ossana, come riportava nelle proprie memorie il cappellano militare italiano Don Primo Discacciati.
Dalle memorie lasciate ai discendenti del barone noneso, allora Primo Tenente dei Tiroler Kaiserschützen Carlo de Cles, emerge una vicenda purtroppo in quei giorni molto comune: quando il reparto del tenente de Cles depose le armi, egli, dinanzi ad un ufficiale italiano probabilmente l’irredentista Ezio Mosna, gli consegnò la propria pistola, ma quest’ultimo pretese anche il binocolo che aveva al collo. A nulla valse spiegare che il binocolo era un effetto personale: l’ufficiale italiano gli puntò la pistola alla fronte e se lo fece consegnare.
Al Passo del Tonale, il tenente degli alpini Giovanni Fumagalli di Bergamo ebbe una vivace discussione con un sottufficiale del “Nizza Cavalleria”, impegnato a strappare le decorazioni ai prigionieri austro-ungarici che via via gli sfilavano davanti il 3 novembre del 1918 : <Razza di cialtrone [intervenne energicamente Fumagalli], non ci vuole molto coraggio ora a prendersela con gente che non può reagire>. In difesa di quel vile sottufficiale intervenne un altro “cavaliere”, il capitano Filiberto di Savoia, duca di Pistoia e il Fumagalli , avvertito da un capitano degli alpini sull’identità del personaggio che aveva di fronte, dovette lasciar perdere.
Per ultimo voglio concludere con quanto scrisse a decenni di distanza dai fatti, il reduce Gustavo Varesco di Bellamonte, che con gli Standschutzen di Cavalese combattè su Cima Busazza e sul Monte Cèrcen. Egli riferì allo storico Heinz von Lichem, che ne parla nel libro „La guerra in montagna 1915-1948“: <L’unica cosa che ancora desidero , è che almeno questa verità sopravviva alla babele dello sfacelo della vecchia Austria e rimanga per l’avvenire: quei soldati non sono stati sconfitti sul campo. Questa è l’unica giustizia che io mi aspetto dalla storia, è l’unico riconoscimento che noi, soldati di un esercito tramontato, pretendiamo dai nostri discendenti >.






