Briciole di Memoria 28: non per soldi ma.. per denaro! – parte seconda

Volete sapere perché Benito Mussolini da socialista anti-interventista divenne dalla sera alla mattina uno strenuo sostenitore dell’entrata in guerra dell’Italia contro l’alleato Austriaco? Per un milione di lire (cifra veramente esorbitante per l’epoca) pagata dal governo francese, Mussolini vendette se stesso ed il suo giornale alla logica di una guerra imperialista di conquista verso il proprio alleato! I Francesi mandarono il denaro in Svizzera, da qui fu inviato al giornale Il Resto del Carlino, quindi girato a Mussolini.   I particolari nell’interessante scritto di Luigi Sardi „Quando la Francia pagò gli interventisti italiani“: oggi la seconda parte. Â
Perché Mussolini da neutralista, da pacifista diventa interventista mettendo, nel chiedere la guerra all’Austria, la stessa forza giornalistica impiegata fino a pochi giorni prima nell’invocare la pace? Nel novembre 1914 si diffuse la notizia che Mussolini aveva ricevuto danaro dalla Francia. Mussolini smentì sdegnato. Ma è certo che in quel periodo i francesi pagavano. Parigi voleva l’intervento dell’Italia nella guerra, voleva che finisse il passaggio di merci destinate alla Germania attraverso il valico di Chiasso e la Svizzera, soprattutto voleva l’apertura di un nuovo fronte, certamente secondario come in effetti fu quello italiano, ma capace di strangolare gli Imperi Centrali.
Negli anni successivi si stabilì, però la questione non suscitò scandalo, che molti uomin
i politici italiani ricevettero sovvenzioni dalla Francia per perorare la causa dell’intervento dell’Italia nella guerra. Chi furono quegli uomini che per denaro spinsero l’Italia nell’Inutile Strage? Certamente la Francia finanziò la corrente e i tribuni interventisti e un aspetto interessante si trova negli atti del XLI Congresso di Storia del Risorgimento italiano che si tenne a Trento dal 9 al 13 ottobre 1963 nel Castello del Buonconsiglio.
Convegno straordinario perché molti eminenti storici italiani, austriaci e francesi, che convennero nell‘ assemblea mai pubblicizzata perché quelli furono i giorni della tragedia del Vajont, avevano combattuto nella Prima Guerra Mondiale. Nessuno meglio di loro era in grado di ricostruire minuziosamente tutti i capitoli della tragedia.
In particolare Georges Dethan, uno dei sovrintendenti dell’Archivio del ministero degli Esteri di Francia, rivelò come dal diario, inedito, di Robert de Billy, consigliere dell’ambasciata francese a Roma, risulti che Mussolini andò a Palazzo Farnese «Gli archivi del Ministero degli Affari Esteri hanno recentemente acquisito un documento importante sulla questione dell’entrata in guerra dell’Italia. Si tratta delle memorie, manoscritte, del conte Robert de Billy, che si trovava fra il 1914 e il 1915 come segretario dell’ambasciata di Francia a Palazzo Farnese a Roma. Nei documenti del conte si legge: non si deve dimenticare il ruolo importante giocato dai giornali per l’entrata in guerra dell’Italia. Ad un certo momento era parso che, senza il fervente sostegno che la stampa aveva assicurato ai protago
nisti della rottura con l’Austria, poteva avvenire un’esitazione e, chissà , un ritorno al passato. L’aspetto più rimarchevole, mi pare essere il contenuto del primo incontro con Mussolini. Questi, avendo rotto con i socialisti, aveva fondato «Il Popolo d’Italia». Un giorno, a mezzogiorno, nei momenti della battaglia dell’Yser, Mussolini andò a trovare il conte Billy a Palazzo Farnese. Con aria concitata, lo rese partecipe delle sue difficoltà  finanziarie. Il conte gli diede immediata assicurazione e si incaricò di convincere Barrére, cosa che non fu facile. L’ambasciata di Francia mise mano al portafoglio, ma Barrére interruppe quella relazione, che gli era sempre pesata. In effetti, Barrére aveva sentito un pericolo nell’interventismo italiano. Egli, alla vigilia del 24 maggio 1915, scriveva: «Nazionale nell’essenza, impregnato dello spirito tradizionale del Risorgimento, il movimento interventista ha assunto una forma inedita, al tempo monarchica e antiparlamentare».
Conferma Renzo De Felice nel suo straordinario lavoro attorno alla figura del Duce, che «Mussolini si rivolse a Barrére solo dopo l’uscita del Popolo d’Italia e che l’ambasciatore francese si dimostrò dapprima riluttante a concedere il finanziamento, dato il carattere sovversivo dell’azione mussoliniana. Più che a Roma, l’accordo venne raggiunto a Parigi, grazie all’aiuto dei socialisti francesi che facevano parte del governo». E che, come tutti i socialisti degli stati in guer
ra avevano sepolto le teorie pacifiste nel nome delle rispettive patrie in pericolo. Scrivendo le sue memorie, una trentina d’anni più tardi, Robert de Billy faceva eco ai presentimenti dell’ambasciatore Barrére. Per lui, la lotta tra neutralisti e interventisti, della quale era stato testimone, «aveva permesso ai nazionalisti di riconoscere che c’era una feconda collaborazione da intraprendere con i patrioti socialisti di Mussolini, ed è per questo che la descrizione psicologica dei mesi che precedettero il maggio 1915, contiene una indicazione non trascurabile per lo studio delle origini del fascismo».Â
Più o meno in quei giorni Battisti, Tullio Marchetti ed altri progettarono di attaccare una casermetta della gendarmeria austriaca in una zona sopra Cividale per mettere Roma di fronte al fatto compiuto. Erano state raccolte le armi necessarie, affidate a gruppi di uomini che si dovevano addestrare. La data dell’attacco venne fissata per i primi giorni dell’aprile del 1915, ma il progetto venne abbandonato per l’evolversi della situazione politica generale. La guerra contro l’Austria era ormai alle porte.






