von mas 06.11.2017 06:08 Uhr

Caporetto – Kobarid 4: cambiando punto di vista, insieme a Luigi Sardi

Luigi Sardi racconta la Storia:  quella che, anche “da noi” e ancora oggi,  non si legge sui testi scolastici.

Poi era arrivata la battaglia della Baisnizza. Secondo il pensiero del comandante del Regio Esercito Luigi Cadorna doveva sfondare il fronte austriaco e raggiungere Trieste: fu un bagno di sangue, una nuova strage e fra i soldati si riprese a canticchiare «il general Cadorna ha scritto alla Regina, se vuoi veder Trieste, guardala in cartolina». Alla vigilia di quello scontro, una delegazione dei Soviet era stata ricevuta con tutti gli onori a Torino e subito gli operai scesero in sciopero.

baisnL’America era entrata in guerra, ma era ancora molto lontana; la guerra dei sottomarini tedeschi aveva raggiunto l’apice, la Russia usciva dal conflitto, la rivoluzione d’Ottobre era alle porte, Austria e Germania potevano cominciare a ritirare truppe dall’Est per schierarle sul fronte Occidentale e su quello italiano dove soffiava un vento di protesta che non fu mai rivolta.

Però la tremenda battaglia scatenata sull’aspra pietraia della Bainsizza aveva spaventato gli austriaci. Compresero che un’altra spallata avrebbe infranto le difese sconvolte dai terrificanti bombardamenti delle artiglierie. E chiesero aiuto ai tedeschi mentre alcuni dirigibili lanciavano sui centri del nord Italia, volantini a documentare che nelle città, per domare le proteste, era stato proclamato lo stato d’assedio, riportando anche il discorso pronunciato il 12 luglio alla Camera dal giornalista e socialista Claudio Treves con quel «Signori del mio governo e di tutti i governi d’Europa, udite la voce che sale da tutte le trincee:  essa detta l’ultimatum della vita alla morte: il prossimo inverno non più in trincea» che per i militaristi divenne lo slogan del disfattismo e del tradimento ma per i soldati al fronte, una speranza.

Il 2 agosto del 1917 il Comando Supremo dell’esercito austriaco inviava una nota con il timbro riservatissimo a tutti gli ufficiali intitolata «Stanchezza della guerra» che arrivò nelle mani dei servizi segreti del Regio Esercito mentre il principe Sisto di Borbone, fratello dell’imperatrice d’Austria e uomo di fiducia debaisll’Imperatore Carlo continuava la sua missione per cercare una via verso la pace incontrando, segretamente quanto inutilmente, il presidente di Francia Raymond Poincaré. In Italia, di fronte alla enormità delle stragi, aveva ripreso forza la voce di neutralisti, clericali, socialisti e allora venne mobilitata la magica matita di Achille Beltrame che in un paginone de La Domenica del Corriere disegnò l’immagine di una popolana che accompagna il figlio, con il moschetto bene in vista, alla tradotta e la didascalia recita: «Parti tranquillo, figlio mio. Non piango. Piangerei se ti sapessi vile».

Proprio dopo la battaglia della Bainsizza i Carabinieri Reali che nelle grandi città avevano il compito di consegnare alle famiglie dei Caduti la lettera con la tragica notizia, venivano presi a sassate. Allora quell’incombenza venne assunta dai parroci che assieme alle parole di conforto portavano, qualche volta, speranze di pace dilatando il partito di quanti, appreso il messaggio del Pontefice, invocavano la fine della guerra.

I preti da una parte, la propaganda dei partigiani dei Soviet dall’altra, contagiarono le truppe o meglio quei soldati in licenza che venendo in contatto con la popolazione civile e con le loro famiglie trovavano le stesse privazioni sopportate al fronte. Mancanza di viveri, di vestiario, di combustibile, di armi, di equipaggiamento bellico giubaistificarono quel mormorio, divenuto malcontento, sedizione, disfattismo riassunto nello slogan «il prossimo anno non un uomo in trincea». Dopo le repressioni degli scioperi, l’immagine dei Carabinieri subì un altro duro colpo quando si apprese che sul Piave, al tragico Ponte de Priula, fucilavano i soldati in ritirata. Per il fronte interno era necessario tenere alta l’immagine di quei soldati «usi morir tacendo» e Beltrame sulla Domenica disegnò due uomini dell’Arma colpire il tenente generale prussiano Albert von Berrer comandante del LI corpo d’armata speciale mentre entrava a Udine.

In realtà l’ufficiale che a differenza di Cadorna, incollato nel suo ufficio da dove dirigeva la guerra a furia di circolari, era fra i suoi soldati in prima linea, venne ucciso dal bersagliere Giuseppe Morini di Civitavecchia. Insomma, un’altra veniale bugia della propaganda.

Cresceva la piaga dell’accaparramento di generi alimentari, dei profitti di taluni industriali, del disagio denunciato da molti parlamentari di fronte ad un Governo “più preoccupato di tener tranquilli i socialisti che di infondere maggior vigore nella condotta della guerra e incapace di controllare l’operato di Cadorna». Tutto sfociò in un aspro dibattito parlamentare. Era mercoledì 24 ottobre. Il Corriere della Sera usciva con un titolo a tre colonne «I tedeschi compaiono sulla fronte italiana» annunciando che le artiglierie nemiche avevano iniziato «con incredibile violenza» il bombardamento delle linee italiane dell’Isonzo.

Mentre quel disastro di enormi proporzioni si abbatteva a Caporetto, il governo presieduto da Paolo Boselli si dimetteva. L’Italia piombava nel caos.

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