Voci di montagna – Lo scherzo dell’orco

Tradizione, dal verbo latino tradĕre, ossia consegnare, tramandare. Da secoli generazioni si sono “tradite” il sapere, prima per via orale e poi per iscritto. Tradire il sapere, nasconde appunto quel significato sinistro di tramandare in forma oscura, avvolgendo in forma ermetica la realtà, ammantandola di fascinoso enigma e mistero. Tutto questo caratterizza appunto la leggenda, in cui il quadro reale della vita viene dipinto con i colori favolistici della fantasia, consegnando ai posteri l’opera di un popolo che ha racchiuso in essa la sua storia e i suoi saperi.
Il territorio della montagna da sempre, negli antri delle sue grotte, nei fitti boschi delle sue vallate, nelle strette vie dei suoi paesi inerpicati sulle alture più recondite, offre a chi la popola e a chi la visita il suono di voci indefinite di storie lontane, di inumane esperienze e sovrumane avventure, dove l’irreale si confonde con la verità di popoli che nelle loro leggende mantengono viva la loro essenza.
Una leggenda di Castello di Fiemme racconta lo scherzo di un simpatico e vendicativo orco.
Viveva un tempo, a Castello, una ragazza molto bella che si divertiva a far innamorare tutti i giovani del paese. Trascorreva gran parte della giornata a pettinarsi i capelli, profumarsi le mani, incipriarsi il naso, limarsi, curarsi e dipingersi le unghie e così via.
Ben presto, però, i giovanotti si stancarono di essere menati per il naso e di perdere la testa senza costrutto e pensarono bene di rivolgersi a un orco loro amico che abitava nella foresta vicina a Castello.
-Lasciate fare a me – disse l’orco, dopo essersi fatto raccontare tutte le moine,gli sguardi ammaliatori e le paroline dolci ma senza seguito della ragazza.-Le combinerò uno di quegli scherzetti da ricordare per anni… Eh eh eh!
Qualche giorno dopo la giovane vanitosa, mentre se ne stava in casa a riordinare fiocchi e merletti del suo guardaroba, gettò lo sguardo dalla finestra e vide con immenso stupore grosse e morbide matasse di lana dorata e argentata appese ai rami del ciliegio del suo orto.
“Che sia il regalo di uno dei miei folli corteggiatori?” si disse dopo essersi ripresa dalla meraviglia.”Be’, visto che tra qualche settimana è Pasqua, ne approfitterò per prepararmi il vestito più bello che mai si sia visto a Castello!”
Detto, fatto: la ragazza corse a staccare dal ciliegio tutte quelle matasse preziose,si chiuse in casa e filando, sferruzzando, tagliando e cucendo ebbe tra le mani un abito meraviglioso.
Arrivò la tanto attesa domenica di Pasqua. Com’era buona abitudine, tutti gli abitanti di Castello si assieparono in chiesa, aspettando che cominciasse la messa grande. A pochi minuti dall’inizio della celebrazione, arrivò anche la bella ragazza mostrandosi nel suo bellissimo abito.
La ragazza s’avviò lentamente lungo la navata centrale finché non giunse al primo banco. Nessuno più guardava l’altare, in pochi s’accorsero che il prete aveva lasciato la sacristia per dare inizio alla messa e solo lei, la fanciulla vestita d’oro e d’argento, s’alzò in piedi per accogliere il celebrante.
Proprio allora accadde qualcosa di inaspettato, di incredibile e di scandaloso:quell’abito sontuoso, elegante e prezioso tutto a un tratto perse il luccichio e poi sparì, sciogliendosi come d’incanto e lasciando la poveretta vestita d’una camiciola sdrucita e anche un po’ sporca e d’un paio di mutandoni rattoppati che le arrivavano fin sotto le ginocchia.
“Ecco qual era lo scherzo dell’orco!” pensarono immediatamente tutti i giovanotti raccolti in fondo alla chiesa e scoppiarono in una sonora risata che li obbligo a guadagnare la porta principale e a riversarsi sul sagrato. Di lì a qualche istante ai loro sghignazzi si unì, forte e sonora, l’eco della risata dell’orco, che corse a lungo su e giù per la valle rimbalzando di montagna in montagna.
