von mas 26.11.2022 18:30 Uhr

Un libro al mese: Dagli Schützen la salvezza – 4

“Il mondo degli Schützen è quello che consente al cuore d’Europa di continuare a battere” si legge nelle prime pagine del libro di Elena Bianchini Braglia “Dagli Schützen la salvezza – Il cuore nel cuore dell’Europa”. Oggi ne pubblichiamo gli ultimi stralci: “Dopo anni di guerra, il Trentino non ha eroi. Quel misero premio di consolazione, dopo tanta morte, un ceppo, un po’ di onore. Nulla. Per chi muore dalla parte sbagliata l’onore diventa onta.” – “Proprio nelle ore decisive per il destino del Tirolo, vede la luce l’uomo che più di ogni altro legherà il proprio nome e ogni istante della propria vita a quella terra smembrata e offesa, nel vano tentativo di riscattarla, con ogni mezzo: Jörg Klotz”

Foto: Il Mondo degli Schützen

Il 10 settembre 1919 la Pace di Saint Germain stabilisce che la parte meridionale del Tirolo sarà assegnata al Regno d’Italia. Usciti dalla “Grande Guerra” i trentini si ritrovano italiani. Il clima politico è completamente cambiato. Gli irredentisti, che non erano che una sparuta minoranza, ora stanno sostituendo la vecchia classe dirigente, i nazionalisti della Legione Trentina iniziano l’epurazione dei concittadini ritenuti ostili.

Molti saranno minacciati e perseguitati. Molti perderanno il posto di lavoro. Gli insegnanti che in passato erano stati fedeli all’Austria, ricevono ad esempio questa comunicazione: «I volontari della Val Lagarina decisi a non tollerare negli Istituti cittadini la presenza di persone indegne per il loro attaccamento servile all’Austria di cui diedero innumerevoli prove, La invitano ad astenersi dal riprendere l’insegnamento, anche se eventualmente offerto dalle Autorità militari, certo ignare del suo passato, e la pregano di allontanarsi dalla nostra Città»

Si tenta di far diventare italiani i trentini con la paura. La gente non è per lo più soddisfatta del cambiamento, anzi molti rimpiangono il vecchio governo, ma per non rischiare il posto di lavoro, o peggio la prigione, cercano di adeguarsi, in silenzio (…)

Elia Gionghi di San Lorenzo in Banale, all’epoca ragazzo, ricorda che «papà non era contento per come la guerra si era conclusa, anzi, che io ricordi, nessuno lo era: prima della guerra, sotto l’Austria, si stava bene» e aggiunge che «in ogni caso non si doveva farsi sentire e criticare la nuova situazione. Papà, per allontanare sospetti, aveva messo bandierine dell’Italia alle finestre di casa»
.
Gli italiani dunque arrivano, si impongono con le minacce su un popolo che non li vuole, e cominciano a cancellare tutto quello che ricorda il passato austriaco. Racconta Silvia Dalponte, poi emigrata nel New Jersey: «Sono nata il 10 giugno 1896 a Vigo Lomaso, ove ho vissuto fin dopo la prima guerra mondiale… E ho visto l’arrivo delle truppe italiane. Quando entrarono a Vigo hanno voluto fare la cerimonia di bruciare la bandiera austriaca. La mia famiglia abitava in piazza e un ufficiale domandò della nostra bandiera, ma mia madre chiaramente non voleva dargliela. Poi ha dovuto. Quella bandiera,gialla e nera, l’aveva fatta lei. Un colore era di stoffa di cotone, l’altro di stoffa di lana. Quando l’hanno incendiata il cotone bruciò, ma la lana no. Gli italiani erano rabbiosi, ma noi contenti perché non bruciava… Dovettero andare a prendere della benzina»

Con la Grande Guerra i Trentini perdono tutto. Dovrebbero poter pensare come tutti a piangere l’immane numero di morti, a curare i feriti, a ricostruire le case. Ma loro, rispetto agli altri, hanno un problema in più. Non hanno più una patria. O meglio ne hanno una diversa, che assorbe tutte le loro energie. Energie che devono essere spese, sprecate a fingersi italiani e a fingersi contenti. A sforzarsi di dimenticare il passato, di cancellarne ogni traccia. Nessun rimpianto è permesso, e nemmeno ricordi. I costumi tradizionali finiscono nei bauli, le bandiere con l’aquila sarà meglio non conservarle, se gli italiani le trovano le bruciano. Dopo anni di guerra, il Trentino non ha eroi. Quel misero premio di consolazione, dopo tanta morte, un ceppo, un po’ di onore. Nulla. Per chi muore dalla parte sbagliata l’onore diventa onta  (..)

Su come ricordare i caduti della prima guerra mondiale si susseguono le discussioni. È giusto onorare il sacrificio di quei morti? Certamente sì, ma il problema di spiegare per quale patria sono morti frena lo zelo di molti. Per paura, per pigrizia, per opportunismo, per ideologia. In ogni caso, è meglio evitare l’argomento.

Già nel 1916 l’Amministrazione provinciale del Tirolo ha cominciato a raccogliere i nomi dei caduti. Vuole ricordare i nomi di “tutti gli eroi tirolesi caduti sul campo dell’onore” in un Albo d’onore del Tirolo (“Das Tiroler Ehrenbuch”). Nel febbraio 1920 per completare l’opera viene chiesta la collaborazione di un primo gruppo di comuni trentini che inviano gli elenchi. Alcuni sindaci però rifiutano. Il sindaco di Levico spiega di non ritenere opportuna «l’inscrizione in un libro d’onore tirolese dei soldati di Levico morti per una causa che non era certo la loro, inscrizione poco corrispondente alla memoria di tanti di essi». Quando, poi, nel giugno dell’anno successivo, viene inoltrata la medesima richiesta ad altri comuni l’autorità politica
blocca l’iniziativa.

E così, sui Trentini morti in guerra con l’uniforme austro-ungarica cala il silenzio. O addirittura la condanna.  Il podestà di Mori non vuole realizzare un monumento ai caduti in guerra, nonostante siano stati ampiamente raccolti i fondi necessari, e spiega che essi «sia pur quali inconsci strumenti, hanno brandito le armi contro la patria». Anche a Cles, Levico, Riva, Rovereto e Trento la popolazione ha offerto il proprio contributo per realizzare un monumento, e la cifra necessaria è stata raccolta e superata, ma poi nulla è stato fatto.

(…)

 

Proprio nelle ore decisive per il destino del Tirolo, vede la luce l’uomo che più di ogni altro legherà il proprio nome e ogni istante della propria vita a quella terra smembrata e offesa, nel vano tentativo di riscattarla, con ogni mezzo. È l’11 settembre 1919, e lui è l’ultimo degli otto figli del fabbro Anton Klotz e di sua moglie Rosa. Nasce a Walten, piccolo paese arrampicato a 1250 metri di altitudine che racchiude gli ultimi abitati prima del passo Jaufen, in Val Passiria. Viene chiamato Georg, poi per tutti sarà Jörg (…)

Nel giugno 1946 ricorre il 150° anniversario del solenne voto al Sacro Cuore. Il voto stesso prevedeva di celebrare ogni anno la ricorrenza con processioni in tutta la regione. La neonata Compagnia Schützen della Val Passiria vuole dunque partecipare, con abiti tradizionali, al raduno che si terrà a Bolzano. Ci sono alcune difficoltà pratiche da affrontare in breve tempo. Non è ad esempio facile la ricostruzione fedele dei costumi, dato che non ne esiste alcun esemplare. Occorre poi una bandiera, e le poche sopravvissute, nascoste in qualche baule o in qualche sagrestia, sono lacere. Don Jörgl consiglia di utilizzare come bandiera lo stendardo della chiesa. Per i costumi, si cercano ovunque parti di abiti da poter riadattare. Il calzolaio Pircher presta degli stivaletti simili a quelli indossati dagli Schützen a inizio secolo. I cacciatori procurano le piume di gallo cedrone. Il giorno della processione dalla Val Passiria, fra lo stupore dei paesani, parte all’alba per Bolzano un gruppo di circa venti uomini in abito tradizionale, innalzando lo stendardo della Chiesa. Dopo la processione, molti si avvicinano al gruppo, chiedono informazioni, esprimono il desiderio di partecipare. Si decide così di ricostituire il Corpo degli Schützen e di fondare Compagnie in tutta la regione (…)

Durante un viaggio in treno da Bolzano a Merano, nell’ottobre 1948, Jörg incontra Rosa Pöll, maestra di Ulfas. Ad attirare subito la sua attenzione è l’abito tradizionale nero e rosso indossato dalla donna. L’impressione di trovarsi di fronte a un’anima affine è immediata. Nell’aprile del 1950 Georg Klotz e Rosa Pöll si sposano. Saranno i primi a indossare per la cerimonia la nuova Tracht della Val Passiria.

(…)

Sabato 24 gennaio 1976, un giorno come tanti, deve raggiungere gli amici e non lo fa, lo trovano sdraiato nel bosco. E cinque giorni dopo, giovedì 29 gennaio, torna a casa. Nella bara. Le delegazioni degli Schützen sudtirolesi attendono sul Brennero il convoglio funebre. Al passaggio del furgone nero che trasporta la salma salutano e abbassano le bandiere con i veli a lutto. Anche gli ufficiali italiani rivolgono il saluto militare (…) Nel pomeriggio di sabato 31 gennaio sei Schützen si caricano sulle spalle il feretro e aprono il corteo che accompagna Jörg alla chiesa di St. Leonhard per l’ultimo saluto alla sua gente. Che è tanta, tantissima.  È tutto un popolo che sfila ordinato e silenzioso sotto la neve, è il Sudtirolo che rende omaggio all’uomo che lo ha difeso, pagando con il carcere e l’esilio. Jörg Klotz ha amato la sua terra fino a rinunciarci. Quello è stato il sacrificio supremo, andarsene dal Sudtirolo, non poterci più tornare, fino ad ora. “Jörg Klotz era ritornato a casa. Non aveva combattuto invano» riflette la figlia Eva. Ha impedito che i Sudtirolesi fossero emarginati, ha salvato la Heimat, il suo sacrificio ha insomma posto le basi per un futuro migliore. Se non verrà sprecato, si potranno  sfruttare le opportunità di un’Europa dei Popoli e delle Regioni tradizionali!

Ecco dunque l’eredità di quell’uomo temuto, odiato, amato, tradito e diffamato. Un’eredità semplice, come semplice in fondo era lui. Sprecarla sarebbe davvero sciocco. Etichettare un uomo simile come terrorista, sarebbe altrettanto sciocco. E incomprensibile. Jörg Klotz ha condotto la sua battaglia senza mai fare, far fare o proporre atti violenti su altri esseri umani. Ha condotto una battaglia di semplice difesa della propria terra. Ha pagato in prima persona un prezzo molto alto.

Se Jörg Klotz è un terrorista, come possiamo difendere da tale accusa un Giuseppe Mazzini, che organizza attentati contro le persone, che manda giovani idealisti a uccidere e a morire, senza mai peraltro esporsi in prima persona? O un Giuseppe Garibaldi, che raggruppa un migliaio di privati cittadini, sognatori, sbandati, studenti e galeotti, per andare a invadere uno Stato sovrano senza alcuna dichiarazione di guerra? O quegli stessi garibaldini che, una volta sbarcati al sud, si sono dati ad azioni di saccheggio tali da essere paragonati ai vandali? Come spesso accade si usano pesi e misure diverse a seconda delle convenienze. Così accade che qualcuno si trova ad essere eroe e qualcuno terrorista, e se si vanno a guardare bene i fatti non c’è modo di capire il perché. Anzi, un ingenuo che non conosca i significati misteriosi che la retorica attribuisce a parole, e che si limiti a valutare i fatti, potrebbe anche essere sfiorato dalla singolare idea che Mazzini e Garibaldi siano stati terroristi, Jörg Klotz no.

(…)

 

Il cuore del continente europeo è una piccola regione di montagna. I popoli che vi abitano, a contatto con una natura splendida e aspra, sono da questa spontaneamente portati a conservare uno stile di vita semplice e sobrio, concreto ma al contempo intriso di elementi spirituali. Pur inseriti a pieno titolo e in modo positivo nella modernità, riescono a mantenere un attaccamento quasi geloso e assai fecondo agli usi e ai costumi del passato. E ne ricavano un’identità forte, un senso della vita che gran parte dei cittadini europei, isolati e atomizzati, ha irrimediabilmente perso.

Le Compagnie Schützen come abbiamo visto hanno sempre lottato e oggi più che mai lottano per la conservazione di questi valori che nei secoli, pur nelle diversità fra regioni e popoli, hanno dato anima al vecchio continente. E se ora l’Europa è assopita in un sonno di morte, serve un catalizzatore di energia, uno shock, un’iniezione vitale. E non potrebbe, questa energia vitale, giungere proprio da quel cuore che ancora batte nel cuore dell’Europa morente? Non potrebbe venire dalla vivacità culturale, dall’attaccamento alla terra e ai valori, dall’esperienza viva degli Schützen? Se oggi all’Europa burocratizzata manca un’anima, non occorre più di qualsiasi altra cosa, l’esempio di chi l’anima non l’ha voluta perdere?

(..)

Attaccato e calunniato, svilito e deriso, il mondo degli Schützen ha saputo reagire oggi con la stessa energia di un tempo. Il coraggio e l’abnegazione che in passato hanno messo in difficoltà gli eserciti napoleonici, la straordinaria prontezza che nei primi mesi della Grande Guerra ha permesso di salvare il confine dall’inatteso attacco dell’alleato che voltava gabbana – «l’Italia traditora» -, emergono oggi nella resistenza a un nemico diverso, meno violento ma più subdolo, e altrettanto pericoloso.

L’attacco insidioso della modernità, sferrato al cuore d’Europa non con le baionette, ma con le armi infide di una cultura seduttiva e decadente, minaccia l’identità dei popoli tirolesi, che tuttavia ancora resistono. Oggi il mondo degli Schützen è vivo, anzi è in espansione. Auguriamoci che l’esempio di questa espansione possa valicare il confine del cuore e si estenda a tutte le membra della vecchia Europa, favorendo il salutare risveglio. Perché i prossimi anni saranno decisivi.

O l’Europa ritrova le identità dei suoi popoli e l’anima di un continente, o morirà per sempre. E noi tutti con lei.

Elena Bianchini Braglia,  scrittrice e ricercatrice, direttrice della rivista “Il Ducato”, si occupa di storia, di radici, di identità.  Ha pubblicato diversi saggi e numerosi libri.  Modenese,  ha saputo raccontare non solo  le vicende ma l’anima stessa del Ducato Estense, legato a filo doppio alla Casa d’Austria.   “Dagli Schützen la salvezza” è uscito a maggio 2021.

E’ possibile trovarlo  in libreria o sul web; il libro  può essere richiesto anche via mail direttamente   alla casa editrice Terra e Identità di Modena (info@terraeidentita.it)

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