Attraverso l’obiettivo: Il fiume
Amo passeggiare, specialmente immerso nella natura rigogliosa delle nostre montagne, e mi piace osservare, guardarmi attorno con attenzione e cercare di immortalare i momenti significativi con la mia macchina fotografica, o semplicemente scattando una fotografia mentale di un momento, di un avvenimento. Passeggiare in silenzio o anche in compagnia, una compagnia intelligente che ti pone domande, aiuta a riflettere.
Camminando e parlando è uscita una metafora davvero interessante: “La vita è come un fiume che scorre verso il mare. Il fiume però non ha un percorso lineare, fa delle curve, ha delle anse, a volte fa dei salti, e, specialmente la sua acqua non ha origine tutta nella sua sorgente, ma si arricchisce dei suoi affluenti, che a volte sono fiumi, a volte torrenti impetuosi di montagna, a volte semplici e piccolissimi rivi”.
Questa frase mi ha fatto pensare e dovrebbe farci riflettere tutti: noi non siamo solo il frutto maturo che nasce dal nostro tronco, non fioriamo da soli e traiamo nutrimento dal terreno in cui le nostre radici affondano. Un terreno ricco, la presenza d’acqua e di luce, influenzeranno in modo significativo la nostra germogliazione; la presenza di api che impollinano i fiori sarà poi determinante nel definire il valore del raccolto.
La nostra vita è un’esempio perfetto di queste sinergie tra diversi individui e piani del reale: noi siamo ciò che siamo, perchè veniamo al mondo fatti in una certa maniera, ma anche perchè abbiamo relazioni sociali con altri uomini, diversi da noi, che con la loro diversità ci arricchiscono, alimentano il nostro flusso vitale, talvolta in modo lento, che quasi non ce ne accorgiamo, a volte in modo forte ed impetuoso come una cascata che potentemente spezza il ritmo lento dello scorrere delle acque.
Il nostro essere in un certo modo è frutto di tutto l’insieme delle influenze e degli stimoli esterni che interagiscono col nostro io più profondo ed originario. Quindi noi siamo figli della nostra terra, della nostra tradizione, della nostra storia e necessariamente dobbiamo confrontarci con essa.
Noi fluiamo, cambiamo in continuazione, diveniamo, e la nostra vita è uno scorrere continuo verso il mare, che, fuor di metafora, dovrebbe rappresentare l’origine e la fine, l’alfa e l’omega, del ciclo vitale. Ma cos’è questo mare ? E’ un’immagine che rappresenta bene con il suo essere indefinito, eppure estremamente concreto e materiale ad un tempo, tutto il complesso dello scibile umano, dell’esperienza e conoscenza del nostro genere. Noi attingiamo da esso la nostra origine, come nel ciclo naturale dell’acqua, e ad esso facciamo ritorno, quando abbiamo finito di scorrere, ed in esso ci dissolviamo come unità singola, ma lo arricchiamo con questa dissolvenza della nostra unicità, diventando a nostra volta origine di un nuovo ciclo vitale. La nostra esperienza non va persa, si trasforma, diviene altro da sé e alimenta un nuovo ciclo vitale. La fisica moderna ci insegna che nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma, diventando altro da sé.
Se questo vale per l’umanità intera a maggior ragione tale ragionamento assume maggior valore quando ragioniamo della nostra piccola comunità: noi facciamo parte della stessa storia che studiamo, la modifichiamo e la arricchiamo con la nostra esperienza esistenziale unica ed inimitabile. Questo spiega il valore della memoria, non solo individuale, ma anche collettiva. La memoria e il ricordo acquisiscono ancora maggiore valore proprio se guardati in quest’ottica circolare, che non ha nulla a che fare con la visione positivista tecnologica, impersonale e mondialista, oggi imperante.
In un mondo come quello attuale il singolo si dissolve nella sua unicità, perde valore in quanto tale, per diventare un atono meccanismo di una macchina produttiva, votata la suicidio. Mentre in un’ottica olistica la dissolvenza della singolarità individuale non avviene attraverso la dimenticanza dell’unicità, bensì attraverso la memoria trova una nuova vitalità all’interno della storia della comunità d’appartenenza.
Un popolo che voglia rimanere vivo, che non voglia soccombere alla logica neopositivista del dominio della tecnica, deve per forza trovare il suo fondativo nella memoria: essa sarà l’argine che indirizzerà il flusso dello scorrere delle singole esistenze, indirizzandole verso il mare, permettendogli di trovare un senso e di diventare parte integrante di un’unicuum sovra-personale, una sintesi hegeliana, capace, come ultima evoluzione dello spirito del popolo, di mantenere vivo w affermare i valori di tutte le individualità che la compongono, senza perdere la loro unicità.
Un popolo che voglia sopravvivere ai tempi bui che stiamo attraversando deve per forza spezzare la logica dominante dell’anonimato tecnologico, per riproporre con forza il valore della storiografia, del localismo, della singolarità. Uun popolo che vuole sopravvivere, ed evolversi, che voglia fluire, deve per forza trovare una sua sede dove poter scorrere, come farebbe un fiume: gli argini che gli permettono di procedere nel suo cammino son la tradizione e la memoria, uniche ancore che lo escludono dalla logica dominante dello sradicamento, la logica nichilista della contemporaneità.