von mas 08.03.2021 11:45 Uhr

Chiarina, che morì due volte

RADICI: Storia & Storie di Maurizio Panizza – Per l’otto marzo, Maurizio Panizza ci narra la storia di Chiara Curti ved. Beltrami, prima massacrata dal suo assassino, poi “uccisa” dalla comunità in cui viveva.  Quella che pubblichiamo oggi è una versione ridotta di quella contenuta nell’ultimo libro pubblicato dallo scrittore-giornalista un po’ detective,  che  da molto tempo collabora con UT24. Si tratta di “Trentino da raccontare”, una raccolta di circa 30 “storie” che l’autore ha ricostruito dopo lunghe indagini d’archivio, disponibile in tutte le librerie.  

Per quasi un secolo, nulla si è saputo di un efferato omicidio compiuto in Trentino, lungo un sentiero di montagna che dalla chiesa di Montalbano di Mori porta a Nomesino, un piccolo paese della Valle di Gresta. Ora un’inchiesta rivela i particolari di quel delitto.

Era il 30 ottobre del 1929 quando una donna di 42 anni veniva orrendamente ferita a morte da uno sconosciuto lungo quel sentiero. Se di quell’omicidio fino ad oggi si sapeva ben poco, ora finalmente, grazie alla scoperta degli atti d’indagine presso la Corte d’Appello di Trento, è possibile ricostruirne la storia, dopo avere indagato anche presso gli archivi del Tribunale di Rovereto, nel Comune di Ronzo Chienis, di Rovereto e in quello di Mantova. Una storia triste che ci riporta ai nostri giorni, al tema dei condizionamenti sociali, dell’emancipazione della donna e a quello della violenza. Una storia in cui, a distanza di quasi un secolo, si fondono e si confondono, ancora una volta, amore e morte, verità e mistero.

Coloro che dalla chiesa di Montalbano di Mori percorrono l’antico sentiero che sale verso Nomesino, in Val di Gresta, giunti a mezza montagna, nei pressi di una località chiamata “Prea de la farina”, a un certo punto si imbatteranno in una vecchia lapide che li lascerà sbigottiti. Sulla pietra sono incise queste testuali parole: “Qui cade colpita a morte da mano assassina il 31.10.1929 – Beltrami Chiarina n. Curti d’a 42 – Chi legge prega per lei – i figli posero”. 

  • Lapide a ricordo di Chiarina Beltrami

Chi fosse la vittima e come avvenne l’uccisione lo possiamo desumere da notizie frammentarie rimaste nella storia della comunità di Mori e rintracciabili in qualche vecchio opuscolo riguardante la borgata. Ad esempio, leggendo le poche annotazioni riportate nel 2005 dalla rivista “Campanò” potremmo apprendere che “La donna, residente a Nomesino, vedova di guerra e madre di quattro figli, tre maschi e una femmina, in una giornata piovigginosa, sul confine fra Mori e Nomesino fu colpita alla testa con un pezzo di ferro a forma di croce. Fu il messo del comune di Pannone a trovarla, ma non poté fare nulla per salvarla. Il paese fu sconvolto da quella terribile morte”.

La tragedia fu talmente grande che in poco tempo si preferì rimuovere per dolore o per vergogna il ricordo stesso di quella povera donna massacrata “da mano assassina”. Neppure recenti indagini fra la gente del posto, condotte da chi scrive, hanno dato alcun esito se non la ripetizione approssimativa di quel poco che già si conosceva, accompagnata in qualche caso da uno strano disagio per il fatto di voler resuscitare quell’antica vicenda.

Eppure, a distanza di novant’anni, questa è una storia che reclama ancora se non una giustizia improbabile, quanto meno un minimo di verità. Una storia che raccontando di un cippo abbandonato in mezzo al bosco, mai nessuno, fino ad ora, era riuscito ad indagare nel tentativo di fare luce sulla triste vicenda della povera Chiarina Beltrami

 

 

  • Chiarina Beltrami con i suoi figli

Cercando di colmare quel vuoto, nel contesto di un lavoro promosso dal Comune di Mori e su invito di alcuni storici, mesi fa mi sono messo all’opera.  Per prima cosa ho cercato fra le notizie de “Il Brennero”: durante il Regime tutti i giornali erano stati chiusi d’autorità per cui sostanzialmente l’unico quotidiano rimasto in Trentino era appunto “Il Brennero”, l’organo del Partito Nazionale Fascista. Dopo aver sfogliato invano il “Brennero” in lungo e in largo dall’edizione del 31 ottobre sino alle pagine del 31 dicembre, la speranza di trovare qualche indizio era praticamente sfumata. Se non che, quando ormai stavo per rinunciare, nella cronaca di Trento del giorno 5 novembre rinvenivo finalmente un breve articolo sull’omicidio.

Spronato da quel primo successo che confermava in parte quel poco che già si sapeva, mi sono rivolto prima al Tribunale di Rovereto e successivamente alla Corte d’Appello di Trento, per poter consultare il fascicolo giudiziario.  Il primo documento che si affaccia al grosso faldone, appena aperto, è un verbale della “Legione Territoriale dei Carabinieri Reali” – Stazione di Mori.

E’ datato 1 novembre 1929, quindi due giorni dopo l’omicidio. In esso si legge in premessa: Verbale di lesioni gravi seguite da morte, riportate da Curti Chiara, vedova Beltrami, a scopo di rapina e di arresto di BUZZACCHI Glauco Giuseppe come autore di detti reati”. Chi sia tale Buzzacchi lo apprendo con enorme sorpresa più avanti, dopo che il verbale avrà ricostruito, tramite i testimoni, la scena del delitto: “E’ nato il 19 febbraio 1890 in Mantova, colà domiciliato, residente in Rovereto, Via 2 novembre 3, cementista disoccupato, venditore ambulante di stoffe a tempo perso e pregiudicato, secondo il di lui detto, per truffa e già ricoverato da ragazzo in casa di correzione per furto”.

Secondo la testimonianza di un familiare, poi, troviamo scritto che “Chiarina Beltrami era partita da Nomesino alle ore 8,30 e doveva recarsi in Mori per effettuare dei pagamenti. Aveva preso seco L. 500,00, in 4 biglietti da L. 100; uno da L. 50; L. 30 in argento e L. 20 circa in nichel e rame”. Lo stesso riferisce poi che alcune settimane prima la povera donna aveva avuto una proposta di matrimonio da un venditore ambulante e che quasi in contemporanea l’uomo aveva chiesto in prestito alla Beltrami 300 lire per ritirare della merce a Milano. Aggiunge, inoltre, che la donna “non aderì alla proposta di sposalizio e che non gli dette il prestito richiesto”.

Nelle pagine seguenti troviamo un’importante deposizione, quella della figlia della povera Chiarina, secondo la quale, alla domanda se fosse stato il Buzzacchi a ridurla in quello stato, “essa, non potendo parlare, annuì con il capo in segno affermativo”.  L’uomo viene rintracciato ed interrogato: fornisce degli alibi che vengono smentiti: per questi motivi, proseguono i carabinieri, Abbiamo dichiarato in arresto per omicidio il Buzzacchi e lo abbiamo tradotto a Mori”.

Nel frattempo, la mattina del giorno seguente giunge alla stazione dei carabinieri il seguente documento: “Il sottoscritto medico comunale, attesta che Beltrami Chiara di anni 43, ferita d’arma da taglio come risulta dall’attestato denunzia, è morta ai 31/10/1929, ore 24, per anemia acuta e commozione cerebrale, senza mai avere ripreso conoscenza. Firmato, dott. Enrico Less”.

  • Nel dossier della Corte d'Assise di Trento, pure alcune fotografie che ricostruiscono con un figurante la scena del delitto.

Ma chi era la povera Chiarina Beltrami così brutalmente ammazzata su quel sentiero nel bosco? Di sicuro era una donna laboriosa, una madre coraggio che allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, mentre il marito Kaiserjäger era già prigioniero in Russia, era stata costretta a partire come profuga in Boemia assieme ai quattro figli e a una cinquantina di suoi compaesani. Nel 1919, rientrata a Nomesino a guerra finita, Chiarina attese invano il ritorno del suo sposo: la sua ultima lettera era stata spedita il 20 agosto 1918 da Kirsanov, poi più nulla. Cinque anni dopo, perse ormai le speranze, la donna avviò la procedura per ottenere la dichiarazione di morte presunta dopo aver preso in mano le redini della sua famiglia dandosi da fare per continuare ad allevare da sola i suoi figli e a fornire loro di che vivere. Determinata, la Chiarina, anzi “emancipata”, come chiameremmo oggi una come lei. Una donna di famiglia economicamente sopra alla media, indipendente,  che sapeva destreggiarsi bene nei campi così come negli affari con i creditori, con il Comune, la Cooperativa e la Cassa rurale. Fin troppo libera, forse, a tal punto da attirare su di sé la malignità delle bigotte e l’invidia di chi quell’autonomia la apprezzava sommessamente in privato e la condannava in pubblico.

E di Giuseppe Buzzacchi cosa possiamo dire in più di ciò che già sapevamo? Di famiglia povera, a 14 anni è in casa di correzione; a 15 viene condannato per furto, a 20 – mentre si trova in Svizzera – per lesioni; e poi a Brescia per truffa… Tutto ciò, a quanto pare, sembra deporre contro l’arrestato, compresi anche alcuni testimoni che dichiarano di aver visto quella mattina sul sentiero, poco avanti alla povera Chiarina, un uomo che seppur nascosto da un berretto calcato sulla fronte poteva corrispondere perfettamente all’imputato.

Ma fra i documenti della Corte d’Appello rinveniamo con grande sorpresa due lettere molto significative che sembrano smentire tutto l’impianto dell’accusa. Sono quelle che Chiarina e Giuseppe si erano scritti una quindicina di giorni prima, dopo essersi incontrati per caso il 3 ottobre nell’osteria di una certa Poli Luigia, a Mori. Dalle loro parole si comprende che fra i due era iniziata una tenera relazione e che a breve si sarebbero incontrati di nuovo. Chissà forse proprio dalla condizione della donna non libera di decidere della propria vita, scaturì la spinta di guardare in un certo senso oltre i confini del suo paese e ad intrecciare una storia amorosa proprio con quel Buzzacchi, un forestiero, che da quei condizionamenti, quanto meno era del tutto estraneo. Alla luce di queste due lettere, scritte in un italiano a volte approssimativo, ma ricco di sentimento, sembra ora difficile pensare a un omicidio ad opera di quell’uomo che sembrava veramente innamorato.

Tuttavia gli inquirenti sono di parere opposto, per cui sulla base dei numerosi indizi a suo carico si spalancano le porte del carcere di Rovereto al presunto omicida.

 

Il Buzzacchi si proclama sempre innocente e sinceramente legato alla vittima, ma rimane in cella in attesa di giudizio, sino a quando accade un colpo di scena. Infatti, vengono sentiti nuovi testimoni i quali dichiarano “di avere notato l’imputato a Rovereto la mattina del 30 ottobre dalle ore 10 alle 11.45”, esattamente alla stessa ora in cui, sopra Mori, veniva consumato il delitto. Anche i testimoni cominciano ad avere dubbi e l’accusa inizia a scricchiolare:  alla fine la corte “dichiara il non luogo a procedere per insufficienza di prove nei confronti dell’imputato e ordina la sua immediata scarcerazione”.

Così, Glauco Giuseppe Buzzacchi esce libero dal carcere il 19 aprile 1930, quasi sei mesi dopo il suo arresto. Qualche giorno più tardi prenderà le sue poche cose e all’insaputa di tutti salirà su di un treno con un biglietto di sola andata per la Francia dove rimarrà per vent’anni, forse nelle fila della Legione Straniera.

Per quanto riguarda la povera Chiarina, per lei, purtroppo, non ci fu mai giustizia e il dubbio se il suo amante fosse stato veramente anche il suo assassino sarebbe rimasto per sempre senza risposta. Un dubbio che come il resto della storia sarebbe ben presto svanito nelle pieghe del tempo e della memoria lasciando dietro di sé, a testimonianza di quell’assurda tragedia, solo una piccola lapide grigia, quasi illeggibile, lungo un ripido sentiero ormai perduto nel bosco.

  • Maurizio Panizza - ©Cronista della Storia - maurizio@panizza.tn.it ©Copyright - Maurizio Panizza. Tutti i diritti riservati. La riproduzione, la pubblicazione e la distribuzione, totale o parziale, del testo e/o delle fotografie originali sono espressamente vietate in assenza di autorizzazione scritta.
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