Briciole di Memoria 128: A Forte Verle inizia la guerra
Sono le 18. Le ombre avvolgono lentamente le conche boscose e le valli che stanno davanti al forte. Sulle cime del Mandriol e del Pizzo Leve, però batte ancora il sole.
Sono libero dal servizio. Potrei stendermi sul letto per leggere o dormire. Invece, insieme all’aspirante Wolf, non mi muovo dalla torretta-osservatorio e scruto le verdi colline, le foreste di pini, divenute adesso “paese nemico” e il bianco nastro della strada che corre verso l’Italia.
Nulla. Nessuno scoppio lacera la grande pace, nessun movimento di uomini è percepibile. L’uragano si scatenerà questa notte, quando la nebbia ci toglierà la visuale. Un po’ deluso scendo per la scala di ferro e attraverso il corridoio che serve gli obici giugno nel corpo centrale del forte. Qui, regna già quella notte che per un anno intero non dovrà più abbandonarci. Tutte le aperture sono sbarrate con lastre di acciaio e le lampade mascherate: lampade a filamento di carbonio, che spandono una tenue luce rossastra. I motori elettrici lavorano e nell’androne gira un ventilatore.
Improvvisamente alcuni uomini fanno irruzione nel locale.
– Che cosa succede?
– Allarme per i serventi agli obici. C’è l’ordine di aprire il fuoco.
Il grande momento è, dunque, giunto. Mi affretto a risalire sulla torretta-osservatorio. Un sergente mi dice che su Pizzo Leve è apparsa la fanteria italiana.
Segnali d’allarme.
– Cupola 13!
Calcoli silenziosi. La gigantesca volta d’acciaio che ci sovrasta si alza, si abbassa su la sua corona di rulli. Qualcuno grida delle cifre: “Direzione… alzo… inclinazione…”. Sulle scalette brillano alcune lampadine. Il capo pezzo manovra i congegni di punteria. Lancette ed aste si spostano, la bocca del mostro si abbassa silenziosamente, la cullata scivola su un lato. Una granata scompare nella camera di scoppio, mentre vien collocato il cartoccio.
In questo preciso attimo una strana impressione s’insinua in me. Penso che le cinque persone le quali, me compreso, si trovano nella torretta, stanno per commettere un delitto terribile. L’uomo vicino all’affusto tiene in pugno la morte. Quello che sta per accadere non potrà venir mai più cancellato.
Un tuono: il primo colpo è partito!
Segnali di allarme.
– Fuoco!
Uno strappo alla cordicella, un rombo fragoroso. Il pezzo rincula, per tornare poi in posizione di sparo. La cullata viene aperta e un fumo irritante esce dalla camera di scoppio.
Il dado è tratto. Irreparabilmente. Il caporal maggiore Aschenbrenner si svolge verso di me, sorridendo. Nuove cifre. I congegni di punteria girano. Un altro ordine.
– Fuoco!
Una granata sibila non so dove. Aschenbrenner guarda col cannocchiale: egli è il solo che possa vedere quello che sta succedendo fuori. L’angolo sinistro della sua bocca è contratto, un occhio chiuso, come se stesse facendo profonde riflessioni.
A un tratto grida:
– Corrono, corrono!
– Dove? Chi?
Accosto l’occhio all’oculare. Una macchia scura ondeggia davanti a me per qualche attimo. Poi riesco a distinguere delle rocce, dei ciuffi d’erba e due masse nere. Uomini!
A lenti passi discendo nelle casematte. Ho l’impressione di aver commesso un delitto.