Pivko consegna tutto: le dislocazioni delle piazzuole delle artiglierie, le postazioni delle mitragliaci dei reparti vicini al suo che, composti da soldati austriaci, soprattutto da Schützen, che ovviamente non partecipano al tradimento ma possono essere spazzate via in pochi minuti dal fuoco delle artiglierie italiane. Indica i camminamenti d’accesso a Carzano, fa preparare il legname per un ponte da gettare sul torrente Maso, riceve l’oppio da aggiungere nel rancio della sera dell’attacco che secondo il lessico di ogni esercito, era stato “ottimo e abbondante” perché portato dagli italiani.
Pivko sceglie gli ufficiali cechi che dovevano, in punti prestabiliti, attendere i soldati italiani e guidarli in avanti, verso la vittoria. Sono oltre quarantamila i fanti ammassati per l’azione. Ci sono pezzi di artiglieria montati su autocarri, colonne di Bersaglieri ciclisti pronti con i rincalzi, automitragliatrici, persino pattuglie di nuotatori nel caso di attraversamenti del Brenta. I congiurati cechi avevano fatto le cose in grande riuscendo a mantenere il segreto totale e Cesare Pettorelli Lalatta fece distribuire ad ogni colonna attaccante, carte topografiche della zona disegnate da Giuseppe Frizzi che, a guerra finita, diventerà a Trento un famoso avvocato.
Ma gli italiani, in osservanza al segreto imposto per l’azione, non sono stati sufficientemente informati, non possono sapere che quell’azione sarà decisiva, non sono abituati al combattimento o men che meno ad una avanzata notturna. Gli uomini della prima ondata, i Bersaglieri del 72° battaglione, calzano scarpe di gomma per non fare rumore ma non hanno mai preso parte ad un combattimento. Non sanno che saranno attesi e guidati da soldati con la divisa e le armi del nemico. Temono una imboscata e appena entrato in Carzano dove vengono catturati i bosniaci addormentati dall’oppio, l’ufficiale che li comanda farà addirittura arrestare Pivko. I Bersaglieri dovevano correre in avanti; si mossero fra mille cautele, lentamente, troppo lentamente: “Sembravano un’enorme biscia che avanza” come si legge nelle note di Pettorelli. Si arroccarono sul piazzale della chiesa di Carzano. E non si mossero più, perché nel buio della notte, nelle trincee occupate dal nemico, tutti temevano una terribile trappola.
Ecco, i bosniaci addormentati dall’oppio, sono trasportati nell’interno della chiesa. Sono 200, e quei prigionieri saranno l’unico, in verità misero, successo di quella notte dove si poteva cambiare il corso della storia. Poi si scatenò la battaglia.
A Strigno, nel grande casermone, gli ufficiali del Regio Esercito troppo lontani dalla linea del fuoco per capire cosa stesse accadendo, all’improvviso ordinano la ritirata anche se nella battaglia potrebbero intervenire i quarantamila fanti di rincalzo che avrebbero sgominato il nemico e così i Bersaglieri arroccati fra le macerie di Carzano sono tagliati fuori mentre vengono assaliti da reparti austriaci racimolati in tutta fretta e inferociti dal tradimento dei loro commilitoni. La battaglia finisce all’alba del 18 settembre. Gli italiani superstiti, spossati, spaventati, feriti vengono fatti prigionieri. Incolonnati, vengono tradotti prima a Borgo poi a Trento quindi nel campo di prigionia di Gardolo. Alcuni di loro saranno fotografati nella via principale di Borgo dove oggi si apre il Caffé Roma.
I feriti meno gravi vengono raccolti alla vecchia fontana, la “alter Brunnen” situata a ridosso del Montegiglio. Bevono l’acqua fresca e zampillante, si ripuliscono dal sangue e dal terriccio, ricevono qualche cosa da mangiare. Poco perché già nella primavera del 1915 le condizioni alimentari in terra d’Austria erano davvero precarie. Sulle sponde del torrente Maso, sul terreno devastato dalle artiglierie, attorno ai varchi dei reticolati, fra le macerie dell’abitato, nella chiesa, vengono raccolti i corpi dei soldati Caduti. Quegli degli italiani sepolti in una fossa comune. I corpi degli austriaci nel cimitero allestito nel giardino di Palazzo Buffa. Da ricordare che vennero identificati i corpi di 14 Schützen uccisi in quella notte.
Ci sono fiumi consegnati alla memoria per le battaglie che hanno segnato l’Europa nell’epoca della inutile strage: l’Isonzo, il Piave, il San nella Galizia, la Marna. Anche il torrente Maso, affluente in Valsugana del Brenta, adesso mormora le parole del ricordo di quella battaglia del 17 settembre del 1917, volutamente ignorata per quasi un secolo. Adesso a Carzano, dove la pietà degli uomini ha vinto gli antichi rancori, la bella chiesa raccoglie il ricordo di tutti i Caduti. Nel segno della pace. Nel nome della fratellanza.