von mas 17.02.2017 06:06 Uhr

Trento, il Bondone, la funivia, il turismo… una storia infinita.

Il 2017 sarà l’anno del rilancio per la montagna di Trento. L’ennesimo, dice Luigi Sardi

È il maggio del 1946, l’Europa è appena uscita dalla Seconda Guerra Mondiale, anche  a Trento cumuli di macerie segnano i luoghi dei bombardamenti,  nei loro abiti laceri tornano i prigionieri di guerra. Il pane è ricco di crusca e scarso di sale, è difficile coniugare il pranzo con la cena, trionfa la borsa nera, non c’è lavoro, scarseggiano gli alloggi,  mentre a Parigi i Quattro Grandi discutono se cedere Trieste alla Iugoslavia e il Sudtirolo all’Austria.

Ma in quel mese segnato da emergenze di ogni tipo, a Trento si parlò di «interesse turistico» sul Bondone «montagna da sfruttare come patrimonio paesaggistico in tutte le sue complesse, rare e varie capacità collegandolo alla città con mezzo rapidissimo, costruendo un’attrezzatura complementare a quella della città con grandi ristoranti, impianti di sciovie e strade».

Era già successo alla metà degli anni Trenta quando, inserendo l’aeroporto di Gardolo nella rotta Milano-Monaco di Baviera, era stato progettato un collegamento funiviario con Riva del Garda passando attraverso le Viotte. La funivia si doveva realizzare utilizzando i cavi delle teleferiche impiegate nella prima guerra dal nostro esercito per allacciare, tratta dopo tratta, la stazione ferroviaria di Trento con il fronte del Passo del Tonale e la stazione di Mattarello con gli Altipiani.

Attorno al futuro del Bondone si apre un intenso dibattito. Si propone  uno stabilimento per i bagni di fieno in quelle caserme che alle Viotte furono dell’esercito. Ci si chiede se sia meglio una funivia oppure una funicolare, si illustrano i pregi di un impianto funiviario che parta dalla località Muredei – a quell’epoca in aperta campagna – «con un tracciato di 2280 metri, 1100 metri di dislivello, 5 minuti di viaggio e un trasporto di 300 persone/ora, e  Trento potrà avere una tra le più belle e ardite funivie consolidando in pieno le sue caratteristiche di città alpina e di centro turistico”.

Si accavallano le proposte. L’industriale Mariano Lubich e Nino Graffer,  il pioniere degli impianti a fune, scrivono: «Abbiamo chiesto l’autonomia. Dimostriamo coi fatti questo nostro desiderio, la nostra volontà di fare e saper fare, che di parole se ne sono fatte anche troppe. La costruzione della funivia sia la dimostrazione tangibile del nostro risveglio».

Si entra nel campo finanziario proponendo una lotteria per raccogliere i fondi necessari e suggerendo «una vasta e moderna propaganda per il Bondone attraverso un film che metta in valore le bellezze naturali della nostra montagna».  A Trento, città vocata all’alpinismo, «si dovevano portare e proiettare tutti i film che avevano come tema la montagna» – un’idea che qualche anno più tardi diventerà il Festival dei film della montagna e dell’esplorazione.  Poi così come era esplosa, la passione funiviaria si spegne.

Solo parole che, nell’attesa infinita del rilancio del Bondone, occuparono le pagine dei giornali.  Inutilmente, da allora fino ai giorni nostri.    La funivia ancora non c’è.  L’autonomia, per ora, resiste.  

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